29- Quella fiamma che c'incendia

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"Amami, ora e per sempre.
Amami e basta, stai al mio fianco,
che solo così
torno a respirare davvero."





Ogni attimo di spensieratezza andrebbe colto, come potesse essere l'ultimo. Ogni secondo in cui proviamo gioia, felicità, un'irripetibile frenesia che non vede l'ora di uscire allo scoperto andrebbe preservato, conservandolo negli spazi della nostra anima dedicati a prendersi cura di quei momenti.

La vita, nonostante le sue imperfezioni, è già una vittoria di suo, sta a noi impegnarci affinché possa divenire una raccolta inedita di momenti vissuti.

Perché la vita, lèssi una volta, non va compresa, ma solo vissuta.

Se ci si impegna a comprenderla si trascorrerà un'esistenza intera a non viverla nemmeno, nella vana speranza di poterne capire ogni sfumatura. Credo, che ogni tanto, bisogni semplicemente cercare di vivere il momento, di avere il coraggio di accantonare la razionalità, il buon senso, la consapevolezza che qualcosa potrebbe andare storto, riuscendo non solo ad accantonare questi pensieri, ma ad accogliere l'imprevedibilità della vita a braccia aperte, consapevoli che sì, il rischio di una caduta è sempre dietro l'angolo, ma anche del fatto che non importa un ginocchio sbucciato quando, innanzi a noi, si ha la possibilità di poter finalmente vedere l'essenza della vita, racchiusa in attimi che sapevano semplicemente di esistenza.

Io, che avevo passato anni a raccogliere conquiste personali da poter inserire nei traguardi della mia (ancora) breve vita, mi ero sempre imposta di saper individuare i miei limiti, di non uscire mai dalla mia cosiddetta "comfort zone", ricordando che il mondo sapeva essere un posto crudele, e solo quando si era sicuri di poterlo affrontare bisognasse correre il rischio del brivido, del mistero, dell'ignoto.

Mi ero auto imposta di non rischiare, mai, troppo intimorita da una possibile sconfitta che sarebbe servita solo a devastarmi del tutto.

Avevo sempre amato la vita, pensare che potessi essere libera di volare senza che nessuno riuscisse a bloccarmi le ali, amavo sapere di poter amare, di poter vivere, di poter volare per il mondo anche senza un paio di ali.

Poi mamma e papà andarono via, mimetizzandosi tra quelle stelle che avevo imparato ad amare con tutta me stessa, e lì compresi che per la prima volta, la vita, si stava prendendo gioco di me.

Non presi la macchina per circa sette mesi dopo quell'incidente. Ogni volta che entravo in un'automobile mi sentivo soffocare, sentivo le loro urla, percepivo addosso quella scheggia di vetro, avvertivo il peso del mondo che ancora un'altra volta mi stava cadendo addosso.

Con la paura di prendere l'auto si aggiunse, banale dirlo, quella di poter pensare anche solo di guidarla, un'automobile. Non presi la patente proprio per questo, consapevole che invece non ci avrei messo nulla a poterla prendere assieme a una macchina tutta mia.

Ero terrorizzata dall'idea dei pericoli che potevo correre guidando, così mi limitai ad accantonare l'idea di essere libera di poter uscire quando volevo, anche solo per fare un giro tra le strade di Denver.

Erano passati già due mesi da quel giorno che passammo in compagnia di Emily e Robert, due mesi di alti e bassi, di esami all'università che non mi davano tregua, di studio ininterrotto e uscite con i miei amici nel fine settimana.

Nonostante tutto, ero felice. Come non lo ero da molto tempo.

Io e Ryan passavamo sempre più tempo assieme, tanto che iniziai a chiedermi se non facesse prima a trasferirsi da me visto il tempo che passava a casa mia. Io, che per lui avevo accantonato la paura che potesse ferirmi ancora, ora stavo mettendo da parte ancora una volta i miei timori, le mie paure, i miei stessi attacchi di panico.

Nel ricordo di noi dueDove le storie prendono vita. Scoprilo ora