50- Quel filo che ci unisce

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Che questo epilogo
sia solamente
l'inizio di una vita intera.


Il cielo sopra Denver era tinto delle luci del tramonto, come un quadro perfetto in una cornice imbrattata. Ammetto che, in quel frangente di tempo, la mia mente era piena zeppa di pensieri ai quali non riuscivo completamente a dare un filo logico, eppure... eppure c'erano, e mi stavano facendo tremare il cuore in un odo che non credevo possibile.

Ero agitata, sarebbe inutile negarlo, fu per questo che mi ritrovai a chiudere gli occhi in cerca di serenità.

«Rose, eccomi qui.»

Quando, poco dopo, aprii gli occhi per mettere a fuoco la figura davanti a me, Ryan era già seduto al mio fianco su quella fredda panchina. «Dov'è Summer?»

«L'ho lasciata dai tuoi genitori, avevo bisogno di parlarti senza avere nei dintorni una scusa per distrarmi ed interrompere il discorso» dissi io mettendomi seduta in modo tale da averlo difronte a me. Lo vidi guardarmi confuso, ma in cuor mio avevo una vera e propria difficoltà nell'incominciare quel discorso.

Ognuno di noi veste di segreti che si è cucito addosso, e se ve ne sono alcuni più facili da gestire e di cui spogliarsi... ce ne sono altri che, per quanto sono stati cuciti su di noi, non riusciamo mai a toglierci di dosso veramente. Avrei potuto fingere, tirare avanti una vita tenendo un segreto diviso tra me ed il mio cuore, ma volevo smetterla di nascondere delle cose a Ryan. Fu per questo che, improvvisamente, ebbi quello slancio di forza tale da permettermi di prendere un respiro profondo e, subito dopo, di iniziare il mio racconto.

«Non so se te lo ricordi, ma i giorni prima dell'incidente la mia salute fisica non era delle migliori.»

«Sì, me lo ricordo bene, avevi preso un virus intestinale di quanto io sappia.»

«Così eravamo convinte io e la mamma...» dissi alzando lo sguardo verso il suo cercando di infondermi un po' di forza solamente sorridendogli. «Non te l'ho detto, ma erano diversi giorni che passavo le giornate rigettando anche l'anima e no, non c'entravano nulla i miei problemi alimentari, quelli vennero dopo.»

Lui mi guardava impaziente di sentirmi proseguire, così cercai la sua mano e la strinsi nella mia, cercando così quel briciolo di forza in più che mi sarebbe bastato per proseguire. «Arrivò la sera prima dell'incidente in cui, mamma, mi convinse di fare una cosa. Forse sarebbe stata una scemenza, ma in fin dei conti perché non farlo?»

Misi la mano nelle tasche della mia giacca e, senza dire nulla, estrassi l'oggetto che, fino a poche ore prima, era rinchiuso nella scatola dei ricordi.

«Quello è...» iniziò a dire lui con occhi sgranati, ma vedendo che non era in grado di terminare la frase decisi di farlo io al posto suo.

«Sì, Ryan, questo è un test di gravidanza» dissi con occhi lucidi fissando il piccolo oggetto che tenevo tra le mani. «La mattina stessa dell'incidente la mamma mi convinse a farlo, e così feci...» dissi porgendoglielo tra le mani. «...e così risultò positivo.»

Lui alzò lo sguardo verso il mio, sorpreso di sentire ciò che gli avevo confessato. Ma non volevo che si facesse strane idee, così mi convinsi a dire di getto tutta la verità. «Ero al settimo cielo seppur fossi tremendamente spaventata. Non sapevo cosa avresti scelto di fare, Ryan, eravamo ancora tanto piccoli per un figlio... ma qualsiasi cosa avresti fatto io l'avrei tenuto, con o senza di te. Mamma era l'unica a saperlo, e seppur fosse anche lei incredula non esitò a dirmi che mi sarebbe stata accanto sempre. Te l'avrei detto al mio ritorno, non volevo comunicartelo nella fretta di dover partire oppure per telefono... ma poi ci fu l'incidente, ed il resto già lo sai.»

Gli passai il test chiedendomi se l'avrebbe davvero preso, e ammetto di essere rimasta stupita quando, oltre ad afferrarlo, lui si mise accanto a me accarezzandomi il ginocchio con la mano libera. «Quando mi svegliai dal coma il mio primo pensiero fu lui, nostro figlio, ma quando chiesi all'infermiera se fosse successo qualcosa... lei mi disse che io non ero mai stata incinta.»

Ryan tornò a guardarmi negli occhi ancor più incredulo di prima, alternando poi lo sguardo tra me e il risultato positivo del test.

«Com'è possibile?»

«Il test che mi è stato venduto era scaduto, quindi il risultato era sballato. Non sono mai stata incinta davvero, lo dicevano i controlli che mi avevano fatto durante il coma, e seppure in me non ci fosse mai stato davvero... io mi sentii di aver perso anche lui.»

«Chi altro lo sa?» Mi chiese con occhi lucidi.

«Nessuno, le uniche a saperlo eravamo io e la mamma» dissi asciugandomi gli occhi dal pianto. «Non era mai stato reale, quindi perché dirlo al mondo? Tu però meritavi di saperlo, e seppur a distanza di anni... te l'ho voluto dire, non potevo vivere senza confessartelo.»

Quando alzai il mio sguardo nel suo però, lo trovai perso nel vuoto in preda a decide di pensieri diversi, ma sapevo qualora quello che predominava sugli altri.

«Non darti alcuna colpa, Ryan, non potevi saperlo. Te l'ho negato io, come potevi aiutarmi se non ne avevi alcuna idea?» Dissi io mettendomi difronte a lui e prendendogli il viso tra le mani. «Per favore, non ho bisogno di questo, ora. Volevo solamente che tu lo sapessi, meritavi di esserne a conoscenza... se fosse esistito davvero, tu saresti stato il padre, in fin dei conti.»

Per evitare che continuasse a torturarsi con le proprie mani lo strinsi forte a me, cercando di placare quel flusso continuo di pensieri che non potevano fare altro che distruggerlo, e solo in quel preciso istante mi ritrovai a pensare di essere finalmente libera.

Libera dalla necessità di nascondere sempre quello che sentivo.
Libera dalla paura che le mie paure potessero essere usate contro di me.
Libera dalla voglia di non lasciare a nessuno il modo di conoscermi davvero.

Solo grazie al suo abbraccio, Ryan riuscì a farmi provare quella libertà di cui avevo bisogno da una vita intera, perché io dei segreti ne avevo sempre fatto la mia casa e per abbandonarli del tutto mi ci volle un'enorme forza di volontà... ma infondo sta tutto qui. Dobbiamo comprendere solamente che non sempre tutto viene per dolerci, che non tutti coloro che fanno parte della nostra vita sono destinati ad andar via da questa. Abbiamo bisogno che, in un mare di persone di persone che incroceranno continuamente il nostro cammino, siamo davvero destinati a trovare coloro che ci sapranno rimanere accanto prendendosi cura di noi e, soprattutto, destinate a percorrere il nostro stesso cammino.

Ogni tanto, compresi in quel momento, bisogna solamente mettere a tacere le voci nella propria testa e lasciare modo al cuore di fidarsi, perché se lui sente la necessità di farlo... allora non siamo destinati a sbagliare, ed io in Ryan trovai quel qualcuno di cui avevo bisogno per poter lasciare al mio cuore il modo di respirare davvero, senza timore che potesse andar via, e a conferma di ciò arrivarono poi le sue parole.

«Non so cosa siamo destinati a vivere, Rose, e non so se posso davvero agire sul nostro destino... ma ti prometto una sola cosa: che sia lontani oppure vicini, io sarò sempre la spalla su cui potrai contare per aggrapparti per qualche istante. Potrai sempre contare su di me, in qualsiasi modo la vita ci si presenterà, perché se una cosa posso darla per certa è che, da te, io non voglio allontanarmi. Non voglio lasciarti da sola, non voglio vederti affrontare i tuoi problemi senza nessuno accanto. Io ora sono qui, e lo sarò per sempre, ti fidi di me?»

Quella stessa domanda, spesso, può essere un vero e proprio colpo al cuore per molti. Coloro che hanno la costante paura di essere feriti non sanno mai davvero se sia il caso o meno di esporsi totalmente a qualcuno, ed io quel timore lo avevo sempre avuto. Se posso darvi un consiglio, però, è quello di dare retta al vostro cuore. Se sentite la necessità di liberarvi dalle vostre paure ma la vostra testa vi urla di non farlo, fatelo. Fatelo sempre.

Fu proprio dalla voglia di avere qualcuno su cui poter contare che, per la prima volta nella mia vita...

«Sì, Ryan, scelgo ancora di fidarmi di te.»

Nel ricordo di noi dueDove le storie prendono vita. Scoprilo ora