40- Sotto al sole di L.A.

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«Guardami, sono io, gli anni non mi hanno poi cambiato così tanto sai?
Sono sempre lo stesso,
forse un po' più scalfito,
con qualche anno di più,
con qualche timore in meno
e con aspetti nuovi da conoscere.
Però guardami, osservami bene,
perché dietro ogni nuova crepa
il mio cuore continua ad urlare il tuo nome.
E non importa quanto io ora sia adulto
se poi, davanti a te,
continuo a volerti stringere a me
per non perderti ancora.»



«Benvenute a Los Angeles bellezze!» Disse Dylan non appena scendemmo dalle nostre auto davanti all'hotel in cui avevamo prenotato. Una struttura di almeno dieci piani s'innalzò davanti a noi, e per poco non rimasi a bocca aperta notandone l'immensità. Per carità, a Denver palazzi simili non mancavano, era pur vero però che quella struttura urlava "ricchezza" e "maestosità" da ogni angolo. Essendo che i suoi genitori erano i proprietari dell'albergo, i ragazzi avevano avuto l'idea di usufruirne per passare le vacanze così tanto bramate. Avevamo terminato gli esami nei giorni precedenti, e fortunatamente ognuno di noi aveva ottenuto voti ottimi. Dylan un po' meno, ma questi sono dettagli.

«Non ci credo, è tutto così, così...»
«Così maestoso, piccola Miller?» Disse il biondo con il suo solito tono divertito interrompendo mia sorella. «E non hai visto come mi trattano i dipendenti, sono pur sempre il figlio dei proprietari no?»
«Sii meno egocentrico, Stevens» disse Jacob affiancandolo e dandogli una pacca sulla spalla. «Coglione eri e coglione rimani, poco contano i soldi che possiedi.»

Era ben chiaro a chiunque di noi che, a livello economico, Dylan era senz'altro fortunato. Figlio di due degli imprenditori più importanti di Denver aveva già il suo ruolo in quel mondo, eppure era così semplice, così spontaneo... era umile, e sapeva scherzare sull'argomento senza sembrare appariscente o montato. Sapevamo tutti che stava scherzando in quel momento, lo conoscevamo troppo bene per credere il contrario, e quando non ci scherzava su non apriva nemmeno l'argomento.

«Lopez, a te le ragazze vanno dietro solo perché parli lo spagnolo, altrimenti non ti si cagherebbe nessuna. Non essere invidioso di me per la mia bellezza, non tutti hanno la mia stessa fortuna e, evidentemente, mentre io ero in fila a quando veniva distribuita la bellezza tu eri intento a prendere l'ultimo poster rimasto in edicola dei Beatles.»

«Ah quindi è molto richiesto per la sua indole argentina il qui presente Jacob Lopez?» Chiese mia sorella facendomi ridere. Quando mi accorsi del suo sguardo omicida nei confronti del povero Jacob, per poco non scoppiai, specialmente per l'espressione rabbiosa di lui rivolta a Dylan che, come se non bastasse, continuò imperterrito il suo discorso.

«Sapessi quante! Giusto l'altro giorno una ragazza gli si è avvicinata al corso di matematica per dargli il suo numero. Quando si è sporta per darglielo le si vedeva anche l'anima, che ribrezzo.»
«Dylan...» disse Jacob guardandolo truce, ma mai quanto mia sorella stava guardando lui.

«Son felice per te, amico mio...» disse lei avvicinandosi a Jacob e dandogli una pacca sulla spalla. «...spero che ce la farai conoscere un giorno!»

«Così come io spero che tu ci faccia conoscere il ragazzo di cui mi parlasti pochi giorni fa...» dissi io avendo una malsana idea improvvisa.
«Ragazzo?!» Dissero lei e Jacob in contemporanea, ma solo attraverso uno sguardo mia sorella riuscì a capire il mio piano e, quindi, si limitò a dire: «Oh beh vero, Charlie! Anche lui è impaziente di conoscerti sorellina mia.»
«Charlie? E chi cazzo sarebbe ora questo?» Chiese Jacob guardandola truce. Lei invece, affiancandosi a Dylan alla porta d'ingresso, si limitò a fargli un occhiolino dicendo: «Sicuramente qualcuno migliore della tua cara fiamma.»

Quando lei e il biondo entrarono, seguiti da Jacob che invece continuava a porle domande su questo fatidico Charlie, io mi voltai verso la mia migliore amica che, in silenzio, era accanto a Brendon in completo imbarazzo. Nonostante il mese passato ancora non erano riusciti a chiarire tra loro, e sapevo che lasciarli soli sarebbe stata la cosa più giusta, ma non in quel momento.

Nel ricordo di noi dueDove le storie prendono vita. Scoprilo ora