Capitolo 3

277 19 5
                                    

La sede del Consiglio si trovava all'interno di uno di quei palazzoni antichi al centro di Roma. Luigi aveva detto chiamarsi Palazzo di Giustizia e vi si poteva accedere sia dal ponte Umberto I, che loro stavano attraversando proprio in quel momento, oppure da Piazza Cavour.

Lo stabile, che sembrava oscurare l'intero cielo grigio sopra di loro, era infinitamente elegante e immensamente monumentale e tanti altri avverbi che non avrebbero potuto descrivere la maestosità di quel posto.

I due cacciatori che le precedevano, così come lei e Matilde, non indossavano la divisa, di conseguenza passarono semplicemente come turisti, o dipendenti, o chiunque altro potesse accedere in quel posto senza essere fermato ai controlli. I fratelli Schiarelli si diressero a passo deciso verso un ascensore.

«È la prima volta che entro dentro un ascensore» disse Matilde, la bocca spalancata mentre guardava gli alti, altissimi soffitti.

«Anche io» rispose Altea.

L'interno dell'ascensore era dorato e c'era un grande specchio. Luigi schiacciò il tasto –2 e l'ascensore iniziò a scendere con un leggero sobbalzo. Quando le porte si aprirono con un sonoro din, Altea rimase... sorpresa.

L'architettura della sede del Consiglio era decisamente diversa da quella del resto del Palazzo. Era fredda e anonima, tutta sui toni del grigio, con lastre di vetro e metallo e una reception in marmo bianco.

Dietro il bancone c'era una ragazza intenta a scrivere delle cose e un uomo dietro di lei rovistava nel mobile alle loro spalle, cercando chissà quali documenti. Mentre l'uomo indossava la divisa dei cacciatori, la ragazza aveva un semplice tailleur bianco, elegante e sobrio. I capelli erano legati in una coda di cavallo alta e tirata, le labbra sottili, gli occhi da gatta ben truccati.

«Lu'» la salutò velocemente Luigi.

«Luigi» rispose lei senza che nemmeno avesse avuto bisogno di sollevare lo sguardo dai fogli.

Al nome di Luigi l'uomo dietro la receptionist si girò per dare un'occhiata e il suo sguardo incuriosito si posò per qualche istante su lei e Matilde. Altea non aveva mai visto una persona con la pelle così scura. Era del colore del cacao più amaro, le labbra erano le più carnose che avesse mai visto e per un attimo si chiese come sarebbe stato morderle. I capelli erano tagliati talmente corti da sembrare un tatuaggio perfetto disegnato sulla calotta cranica, gli occhi neri come la notte. Ed era alto. Molto alto.

Si rigirò quasi subito e Altea ebbe l'impressione che in quei pochi secondi avesse fatto un check completo delle due matricole.

«Falco vi aspetta in ufficio» lo avvertì Lu'.

«In ufficio?» chiese Andrea.

«Non si sono riuniti?» domandò Luigi subito dopo.

Solo allora la ragazza sollevò i suoi occhi ben truccati dai documenti.

Aveva un naso dannatamente perfetto, ma quando era bambina doveva aver sofferto di acne perché la sua pelle, specialmente sulle guance, era irregolare e con piccoli ma profondi solchi che aveva cercato di coprire fin troppo bene con quello che Altea credeva potesse essere del fondotinta o della cipria.

La ragazza guardò prima i cacciatori, poi le ragazze, e nel farlo le sue sopracciglia assunsero quella posizione tipica di quando si considera una persona importante quanto la polvere sui mobili.

«Sì. C'è in corso un'altra riunione che non potevano rimandare, così Falco si è proposto di occuparsi della faccenda» spiegò tornando a guardare i suoi documenti, rendendo assolutamente chiaro che la faccenda di poca importanza erano lei e Matilde. Intanto il ragazzo dalla pelle scura se ne andò. «Vuole sbrigare la cosa in fretta, così che possiate occuparvi del caso, voi e le ragazze nuove.»

L'ora bluDove le storie prendono vita. Scoprilo ora