Capitolo 12

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Come da accordi, Altea e Matilde si incontrarono a Piazza Venezia.

Era notte fonda, ma la città era ancora piena di vita, le macchine continuavano a girare, i ragazzi a cantare e il cielo quella sera era particolarmente pieno di stelle. Tutta quella vita intorno a lei metteva Altea di buon umore.

La cicatrice sulla piega del gomito sinistro sembrava particolarmente pesante sotto il giubbotto, e nel tragitto dal cinema a lì si chiese cosa avrebbe significato per lei. Si era messa nei guai? O serviva veramente per proteggerla?

Léandre aveva detto che grazie a quella cicatrice poteva sapere sempre dove trovarla, mettersi in contatto con lei anche se a dividerli fossero state intere nazioni. Era una cosa positiva? Si sentiva violata nella sua privacy? Forse proprio in quel momento stava leggendo la sua mente. Eppure, prestando attenzione, non sentiva dentro di sé quella presenza fredda e nebulosa, quindi in quel momento doveva essere da sola.

Matilde arrivò poco dopo Altea e si sedette accanto alla sua amica, sulla grande scalinata bianca. La guardò e prima ancora che Altea potesse parlare, esclamò: «L'hai trovato.»

Non era una domanda, ma Altea annuì ugualmente.

«Com'è?»

«Non l'ho visto» rispose Altea. «Lui mi ha parlato... qui.» Ticchettò due dita sulla tempia. «Può impossessarsi delle persone. Ne ha il completo controllo» raccontò. «Mentre guardavo il film delle persone mi si sono avvicinate e hanno iniziato a parlarmi, ma non erano loro. Era lui che li usava... come giocattoli. È stato...»

Matilde rimase in silenzio, dando il tempo alla sua amica di trovare la parola giusta.

«Terrificante» sussurrò.

«Lo ha fatto anche con te?»

Un gruppo di ragazzi passò davanti a loro e le osservarono incuriositi, lasciandosi alle spalle una scia di fumo denso e corposo che aleggiò nell'aria per alcuni istanti.

«Ha fatto sì che la mia mano rinfoderasse il pugnale.»

Ci fu qualche istante di silenzio tra di loro, come se entrambe stessero immaginando lo scenario peggiore che poteva presentarsi semmai Léandre fosse stato loro nemico.

Nell'aria si respirava smog, ma anche profumi costosi, brioche calde, e l'aria invernale. C'era odore di neve, nonostante Altea non credeva che a Roma potesse nevicare così tanto da impregnare la città di un odore del genere. Inoltre il cielo era sgombero da nubi, quindi era improbabile che sarebbe accaduto.

Quel freddo però era piacevole, sembrava rinfrescarla dall'interno e le aveva fatto venire voglia di una bella cioccolata calda con la panna.

«Ti ha dato qualche informazione?» chiese Matilde.

Altea poggiò i gomiti sulle ginocchia, lo sguardo perso nella piazza. «Ha detto che i vampiri non posso immischiarsi nelle faccende dei licantropi. È una specie di legge, sembra che anche loro abbiano un Consiglio, o qualcosa del genere. Dice che Elia è suo amico, che sa dove si trova, e che l'informazione che mi serve per trovarlo mi è stata già data.»

Matilde alzò gli occhi al cielo. «Enigmatico l'amico. E quale sarebbe quest'informazione?»

Altea assottigliò le labbra, la mente persa a vagliare tutti i suoi ricordi, le persone con le quali si era incontrata, le parole che si erano scambiate. «Non lo so. Ma credo che se qualcuno mi ha dato un'informazione del genere, deve essere stato Riccardo. Eppure non mi viene in mente niente di rilevante.»

Ci pensò ancora e Matilde la imitò. I suoi occhi chiari, di un colore ambrato con qualche sfumatura verde, seguivano le macchine che passavano, i rumori che attiravano la sua attenzione, ma Altea sapeva benissimo che non stava prestando attenzione a nulla di ciò che i suoi occhi seguivano. Una folata di vento le scompigliò i capelli e alcune ciocche bionde uscirono fuori dal cappotto. Si strinse la sciarpa intorno alla gola e incrociò le braccia al petto per scaldarsi.

L'ora bluDove le storie prendono vita. Scoprilo ora