Capitolo 13

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Per un attimo le sembrò di essere disconnessa dal mondo intero, come galleggiasse abbracciata a Matilde in una valle fatta di nient'altro che oscurità e silenzio. Quello che la riportò alla realtà fu la sensazione di pressione sotto le piante dei piedi, che annullava così la sua idea di galleggiare nel vuoto. Anche il corpo di Matilde acquistò più solidità, così come il profumo dei suoi capelli.

Altea schiuse piano gli occhi e intorno a lei... alberi.

Le due amiche si sciolsero dall'abbraccio in sincronia, ma lentamente, come se lasciare l'una le braccia dell'altra avesse significato lasciarsi trascinare via dalla corrente.

Erano ancora lì, immerse tra i fitti alberi delle montagnole, pronte a essere divorate da decine di licantropi arrabbiati e succubi dell'ordine impartito dal proprio nuovo Alfa. Solo che tutto aveva assunto una strana immobilità. Non solo i corpi dei mannari davanti a loro, ma anche la natura sembrava essersi pietrificata.

«Che avete fatto?»

Altea guardò Viviana come la vedesse per la prima volta. La sua mobilità, i movimenti del suo corpo, l'espressione del suo viso, tutto era dannatamente fuori posto.

«Noi niente» rispose Matilde.

Mentre loro si guardavano intorno, Altea sentì quella ormai familiare sensazione di freddo nella testa.

"Sono degno del marchio che ti ho inflitto, adesso?"

Matilde si girò verso di lei, come se avesse intuito cosa si celava dietro tutto quello. Viviana era vicino al corpo statuario di Petra. La osservava... terrorizzata.

La nebbia nella sua testa sembrava essere più corposa ora, più pesante.

"È così. Ma non dilunghiamoci troppo sulle mie emozioni, cara. Piuttosto..."

I suoi occhi e la sua attenzione furono catturati da Viviana, come se una calamita l'avesse attratta. Lei sapeva però che quello non era altro che Léandre che la manovrava come una marionetta. Fatto sta che ora era veramente concentrata sulla licantropa, senza avere bisogno del supporto di una mano invisibile che manovrasse le sue capacità cognitive. Quindi si avvicinò a Viviana, che si mise subito sulla difensiva accendendo l'interruttore giallo dei suoi occhi.

«Dimmi di Riccardo.»

La licantropa bionda era arrabbiata, spaventata e preoccupata. «Prima libera i miei amici.» Le sue emozioni sembravano stampate sul suo viso con la stessa brutalità con la quale le lettere di una macchina da scrivere imprimevano il proprio simbolo sulla carta.

«Non ho fatto io questo. E non abbiamo tanto tempo» la avvertì Altea.

Matilde era al suo fianco, sempre fedele, senza farsi troppe domande, ma fiduciosa riguardo la reazione di Altea a quella situazione. Era sempre pronta a spalleggiarla, a difenderla, a correre verso il nemico con lei, anche senza sapere cosa le aveva portate a quella situazione, una spalla sicura sulla quale Altea si poteva appoggiare sempre. Solo al termine della battaglia Matilde avrebbe chiesto spiegazioni. In quella situazione però, lei sapeva. E Altea non escludeva che Léandre stesse parlando anche con la sua amica.

«Riccardo» ripeté Matilde.

Viviana spostò lo sguardo da lei ad Altea, da Altea a lei. L'indecisione della scelta che avrebbe fatto di lì a poco la si poteva leggere nei suoi occhi. Poi le sue spalle si rilassarono impercettibilmente e le gambe flesse si distesero, come rinunciando all'ipotesi di correre lontano.

«È sparito da quattro giorni» spiegò, gli occhi sempre gialli e terrificanti. «Era andato a lavoro come tutti i giorni. Dovevamo incontrarci fuori dal locale, sul retro, ma non è mai uscito.»

L'ora bluDove le storie prendono vita. Scoprilo ora