Capitolo 35

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Quella stessa notte scoppiò un temporale.

Ironico, pensò Altea. Sembrava quasi che il mondo si stesse beffando di lei.

Guardò l'orologio a parete; erano le tre e ventisette. Matilde non era tornata, e neanche Luigi. Non era la prima volta che Matilde non rientrava, quindi non si preoccupò più di tanto. Sapeva che a volte andava in un locale della zona che in estate era aperto fino a tarda notte, un locale carino, alla moda, pieno di ragazzi e ragazze. A lei non andava.

Se ne stava seduta sul ripiano della cucina, davanti alla finestra aperta, mentre i fulmini illuminavano il cielo nero, serpeggiando fino al mare, poi tutto tornava buio. Le luci della casa erano spente. Aveva la pelle d'oca sulle gambe e sulle braccia, perché si era alzata un'arietta fredda, ma la faceva stare bene.

«Tu mi ami».

Le parole di Luigi avevano aperto uno spiraglio sulla verità che nascondeva da tempo dentro al suo cuore. Eppure le sembrava che la porta che le avrebbe aperto la via alla strada per quello di Luigi, faticasse ad aprirsi. Sembrava quasi che qualcuno, dall'interno, combattesse con tutte le sue forze per tenerla chiusa.

Chissà chi era questo qualcuno!

Era amareggiata con sé stessa e sentiva un grande vuoto dentro. Simile a quello che aveva sentito quando aveva scoperto che Damiano le aveva mentito e l'aveva usata, perché era stato quel giorno che aveva capito di averlo perso. O almeno, di aver perso anche solo la speranza che fosse stato veramente suo.

Aveva detto che l'aveva amata. Ma che tipo di amore era? Ma esistevano tipi di amore? Poteva essere veramente catalogato? L'unica cosa che sapeva era che l'amore di Luigi per lei era diverso.

Non era egoista. Prepotente. Possessivo. Era un amore pulito, che la faceva sentire libera. Lei sapeva che Luigi c'era, senza bisogno di tenerlo per mano. Sapeva che sarebbe rimasto sempre lì accanto a lei. Aveva continuato a scegliere lei, nonostante tutto. Però forse quella sera l'aveva perso.

Proprio mentre faceva questo pensiero, la porta di casa si aprì. Altea si girò solo quando non riconobbe il passo di Matilde.

Luigi entrò in casa con una borsa in mano e posò le chiavi nello svuota tasche. «Matilde mi ha dato le chiavi. È con Andrea. Sta bene.»

Era zuppo. I capelli erano incollati alla fronte e gocciavano a terra. Si tolse le scarpe. La maglietta era diventata trasparente e gli si era incollata addosso, lasciando che si intravedessero tutte le linee dei muscoli sotto di essa.

Il cuore le batteva così forte. «Sei tornato.»

Non c'era nulla di affettuoso in quel momento nella sua espressione, quando rispose: «Non me ne sono mai andato, Altea. È questo che fanno le persone che affermano di amare. Restano.» Si tolse la maglietta. «Ti dispiace se mi faccio una doccia?» domandò poi con tono scazzato.

Altea deglutì, imbarazzata. «No, vai pure.»

Sparì dietro l'angolo e si chiuse la porta alle spalle. Altea se ne rimase lì, con le caviglie incrociate, le ginocchia al petto, la testa poggiata contro lo stipite della finestra mentre il cielo ululava e la pioggia batteva grossa e forte. Il rumore dell'acqua della doccia che scrosciava le creava tensione, ma non avrebbe saputo dire perché. Non era la prima volta che si trovava in casa con Luigi e lui si faceva la doccia. Ma forse quella sera era diverso.

«È questo che fanno le persone che affermano di amare», aveva detto. Eppure lui non lo aveva detto davvero.

Il rumore della doccia si arrestò e la casa piombò nel silenzio. Una linea di luce si rifletté contro la parete, andandosi poi ad assottigliare fino a sparire, e la casa piombò nel buio. Non dovette voltarsi per capire che Luigi si stava sedendo su un delle sedie di legno della cucina. C'era odore di borotalco.

L'ora bluDove le storie prendono vita. Scoprilo ora