Capitolo 22

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La testa le doleva terribilmente. Era come se qualcuno le avesse poggiato un sasso enorme dentro al cranio, troppo grande per essere contenuto, abbastanza pesante da farle venire la nausea per il dolore. Poggiò il palmo della mano su qualcosa di morbido, un appiglio per sollevarsi a sedere. Una cosa colpì subito la sua attenzione quando riuscì a riaprire gli occhi.

Bianco.

Era distesa in un letto, un letto avvolto da lenzuola di seta bianche, lucide, lisce, estremamente morbide. Si guardò intorno. Era in una stanza senza finestre, c'era una strana carta da pareti strappata in alcuni punti, di un colore rossastro che ricordava il vino. Il soffitto era a volta, l'intonaco crepato in più punti lasciava intravedere i mattoni al di sotto.

Davanti al letto, di fronte a lei, una videocamera. Era decisamente fuori luogo, anacronistica rispetto alla stanza antica nella quale era stata catapultata. Puntava esattamente nella sua direzione e la lucina rossa era accesa. Credeva ce ne fosse un'altra posta sul letto quando vide un altro puntino rosso. Cercando di mettere a fuoco la vista mentre si massaggiava il retro della testa dolorante, si sporse un po' in avanti e qualcosa le cadde sul viso. Si portò una mano sulla guancia e tirò via ciò che l'aveva toccata. Una sottile striscia rossa le segnava il palmo della mano. Guardò di nuovo il puntino rosso sul letto e accanto a quello ne comparve un altro. Forse era la sua vista che le giocava brutti scherzi. Forse era troppo intontita. Ma poi ne comparve un altro, e qualcos'altro le cadde sulla testa. Nell'attimo di un respiro, più gocce caddero tutte insieme, infrangendosi contro il lenzuolo di seta bianco e marchiandolo a vivo. Quelle macchie però, erano seguite a un rumore, come di ferraglia vecchia.

Qualcosa si accese nei sensi di Altea, un allarme di pericolo che le fece rizzare i peli delle braccia, mettere a fuoco la vista, pensare che il dolore alla testa non fosse poi così importante. Alzò il viso verso il soffitto, in direzione del rumore.

Un grido spezzò il silenzio. Un grido di terrore, panico, paura.

Il suo.

Scese dal letto, corse dall'altra parte della stanza e iniziò a battere contro la porta a due battenti, che aveva una strana fessura rettangolare, come una piccola finestrella, che in quel momento però era chiusa.

«AIUTOOO! AIUTOOO!»

Batté con tutta la forza che aveva, incurante del dolore alle mani, ma nessuno accorse da lei.

Si voltò in direzione del letto, poggiando la schiena contro la porta, schiacciandovisi contro come sperando che si sarebbe potuta allontanare di più nonostante il legno vecchio, logoro e pesante. Quello che vide non avrebbe potuto immaginarlo nemmeno nei suoi incubi peggiori. Quello che aveva fatto a Luciano le sembrava un ricordo lontano, un incubo piccolo che aleggiava all'ombra di quello che era il vero terrore.

Due corpi erano legati per i piedi e pendevano dal soffitto come non fossero altro che bambole di pezza. Erano due uomini, nudi, il corpo straziato da ferite, la carne umida e bagnata di sangue che lentamente continuava a gocciare dalle caviglie, dal pube, giù lungo le braccia, fino alla punta delle dita, dalle quali poi piccole e rosse gocce di sangue si andavano a infrangere sulle lenzuola candide.

Non se n'era accorto all'inizio, ma l'odore del sangue era nauseate, avvolgente, e l'ossigeno sembrava scarseggiare. Altea si coprì la bocca cercando di trattenere i conati, ma non ce la fece, e catapultandosi in un angolo della stanza, vomitò tutto quello che aveva nello stomaco, sconquassata dai sussulti. Si pulì la bocca con la mano, che pulì a sua volta sul maglione verde, e solo in quel momento si rese conto che non indossava più il suo amato maglione. Una vestaglia bianca in pizzo copriva parzialmente il suo corpo. Era scalza, senza reggiseno, solo con le mutandine.

L'ora bluDove le storie prendono vita. Scoprilo ora