Capitolo 19

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Gli portarono la cena. Anche a Elia, e questo la fece molto ridere. L'ultima cena del condannato a morte.

Sapeva che era la cena e non il pranzo perché, nonostante fossero sotto terra, circondati da roccia e, sopra di loro, uffici fatti di argento, Elia sentiva il richiamo della luna piena che si avvicinava di lì a un paio di giorni.

Nessuno toccò niente, i piatti si materializzarono e smaterializzarono pieni, senza essere stati nemmeno spiluccati. I tre si guardavano a intermittenza, senza potersi parlare, vicini eppure così lontani.

Altea continuava a pensare a come l'aveva guardata Luigi, alla sua freddezza, al suo distacco, alla sentenza. Non avrebbe mai pensato che un giorno lo avrebbe visto darle le spalle e allontanarsi da lei. Ma in fondo perché non avrebbe dovuto? Cosa gli aveva dato lei? Era sempre stata scostante, a tratti assente. Aveva condiviso del tempo con lui e si era avvicinata nonostante sapesse che questo poteva ferirlo. Sfruttava il suo affetto, il suo calore, ma non gliene aveva mai dato in cambio. Si era presa tutto e non aveva lasciato niente. Non meritava la sua lealtà. Lo era stato fin troppo. Si era preso cura di lei quando lei nemmeno lo sapeva. Era rimasto in un angolo, in silenzio, senza chiedere niente, dando e basta. E lei si era presa tutto.

Il peso sul petto sembrava volerle impedire di respirare. Quel dolore dentro, che le schiacciava i polmoni, che le comprimeva le ossa, sembrava in parte riempire un vuoto così grande dentro di lei.

Chiusa in quella cella, si ritrovò a fare i conti con le sue emozioni. Avrebbe scordato tutto. I cacciatori. Le avventure. I giorni passati ad addestrarsi insieme.

Damiano.

L'idea di scordare tutto la spaventava. Eppure, l'idea di scordare Damiano in qualche modo la sollevava. Perché? La verità era che il dolore che sentiva nel petto, che la opprimeva, che la faceva scattare ogni volta, che le faceva mal intendere le parole degli altri, che la faceva sentire giudicata, stupida, sempliciotta, non era altro che il dolore nell'ammettere che era stata un'ingenua. Che aveva lasciato che i suoi sentimenti prendessero il sopravvento, offuscando la sua capacità di giudizio, lasciando che i suoi occhi non vedessero il lato oscuro della sua pseudo relazione.

La verità era che giudicava sé stessa. Era stata una stupida, si era fatta usare, aveva piegato la sua dignità per qualcuno che aveva sfruttato il suo sentimento, che l'aveva portata su un sentiero oscuro del quale oltretutto si stava beando. Sì, perché la verità era che le piaceva quel mondo, e forse questo era sbagliato.

La verità era che aveva dovuto lasciar andare il primo uomo per il quale aveva provato qualcosa, sentirlo bruciare nella sua mano, sentire qualcosa dentro di sé che moriva insieme a lui, mentre lui aveva ottenuto quello che voleva. Pace. Redenzione. Qualcuno che condividesse quel momento con lui. Ma allora perché lo aveva fatto? Perché gli era rimasta accanto se sapeva che le avrebbe fatto male, che forse non lo meritava? Forse per lo stesso motivo per il quale Luigi continuava a restare accanto a lei senza avere niente in cambio.

L'amore.

Passò un tempo indefinito. Matilde e Altea si guardavano con estrema tristezza, ma anche con grande affetto, un affetto che nemmeno delle pareti di vetro potevano dividere. Altea aveva provato a contattare Léandre, ma quella sensazione di freddo alla testa non arrivò mai. Probabilmente l'argento sopra di loro impediva al vampiro di insinuarsi nella sua mente. Probabilmente sapeva dov'erano. O forse no, e in tal caso si chiese cosa stesse pensando.

Altea balzò in piedi quando una figura si affacciò oltre il vetro, piazzandosi al centro tra la sua cella e quella di Matilde.

«Amelia!»

La strega dai lunghi capelli biancastri sorrise. Un sorriso di compiacimento, di sollievo e di sarcasmo, come a voler dire: «E anche questa volta, sono dovuta venire a salvarvi il culo». Indossava un abito verde che sembrava seta, ma Altea dubitava fosse proprio quel materiale pregiato. Le cadeva lungo il corpo magro e sottile come fosse un velo inconsistente, che si sarebbe potuto sciogliere al primo tocco. Contrastava con il pallore della sua pelle e faceva risaltare i suoi occhi grigi screziati di viola. Anche Matilde era contenta di vederla e le due si sorrisero per un attimo, dimostrando che dietro ai loro battibecchi c'era anche dell'affetto. Gli occhi da gatta della strega si spostarono su Elia. I due si guardarono in modo serioso, curioso, tanto da portare Altea a chiedersi se per caso non si conoscessero.

L'ora bluDove le storie prendono vita. Scoprilo ora