Capitolo 43

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Era come essere caduta in un incubo.

Il mare era mosso, ma non abbastanza per buttarla già dalla tavola. Le onde sbatteva forti contro le rocce in lontananza, producendo suoni simili a ringhi, baritonali, spaventosi.

Intorno a loro solo oscurità. Il cielo era nero, il mare era nero e Altea dovette trattenersi dal portare i piedi sopra la tavola, ignorando quella sensazione di terrore che qualche creatura spaventosa potesse salire da quell'abisso scuro e addentarli.

Iniziò a battere i denti mentre Elia si spingeva sempre più a largo quando una voce dal nulla la fece sobbalzare.

«Non riusciamo a trovarlo» gridava. «Il mare è troppo mosso.»

Lo riconobbe subito. «Riccardo, sei tu?» chiese Altea con la voce tremante dal freddo.

Non riusciva a vederlo, era troppo buio e la paura di quell'acqua così profonda non riusciva a farla concentrare.

«Ciao, cacciatrice.»

Il suo della sua voce le arrivò vicino, poi qualcosa le sfiorò il ginocchio.

Urlò, e urlò ancora quando vide qualcuno accanto alla sua gamba. Elia le cinse la vita per non farla cadere in acqua, mentre la mano che le avvolgeva il ginocchi si strinse.

«Sono io. Sono io» ripeté Riccardo.

Si spostò i capelli dal viso e posò la mano sulla sua, per essere sicura che fosse reale, che fosse veramente lui. Tirò un sospiro di sollievo quando la sentì tiepida. «Ma non hai una tavola?»

«L'ho persa poco fa, la marea l'ha portata via quando il laccio si è staccato dalla caviglia.»

«Appoggiati, allora» insisté preoccupata afferrandolo per un braccio.

«Dov'è Ercole?» chiese Elia.

Altea ricordava Ercole. Un mastodontico licantropo dai capelli rossi.

«Si è avvicinato alla scogliera. Vuole vedere se la marea possa averlo trascinato verso quella parte.»

«Elia» intervenne Altea. «Dobbiamo attivare il marchio. Il mare potrebbe aver portato quella cassa chissà dove, stiamo solo perdendo tempo, non lo troveremo mai.»

Era zuppa dalla testa ai piedi, come si fosse immersa. Le onde che sbattevano contro di lei, contro la tavola, le schizzavano addosso, e ora aveva i capelli appiccicati al viso, la maglietta fradicia, le labbra salate. E aveva paura. Tremava.

Aveva visto il mare in tempesta dalla sua casa a Capri. Aveva visto onde spaventose, lampi che cadevano in acqua, schiuma e onde che si infrangevano sulle scogliere... ma in quel momento, lì, in mezzo a nient'altro che acqua e cielo, con la vista ridotta quasi a zero... era terrorizzata.

«Attivare il marchio?» ripeté Riccardo.

Elia si avvicinò ad Altea, il suo petto era schiacciato contro la sua schiena. Abbassò il viso verso di lei e le loro guance si sfiorarono. «Stringimi la mano.»

«Tu sai come si fa?» chiese Riccardo, mentre con una mano si teneva alla tavola e con i piedi si dava delle spinte per rimanere con la testa fuori dall'acqua e contrastare la marea che sembrava volesse portarlo via.

«No. Ma so che il mio ha iniziato a brillare solo dopo alcuni mesi. Quindi sono sicuro che anche il tuo possa farlo.»

Anche li in mezzo al mare Altea riuscì a sentire l'odore del bosco. Ma non solo. Odore di un profumo molto costoso.

«Chiudiamo gli occhi e cerchiamo di connetterci.»

Altea annuì e chiuse gli occhi.

Cercò di concentrarsi, di sentire il calore della sua mano grande che avvolgeva la sua, ma il mare era troppo mosso e la tavola si muoveva troppo, sballottandola a destra e a sinistra.

Elia si strinse di più a lei, con gentilezza, i suoi capelli bagnati e freddi le accarezzavano la tempia. «Senti il mio respiro» le sussurrò. «Senti il mio petto che si alza e si abbassa contro la tua schiena.»

Altea si concentrò più che poté, ma per qualche strano motivo la sua mente tornò a quel giorno nel castello, ai suoi denti nella sua carne, e solo in quel momento si rese conto che il suo viso, la sua bocca, erano proprio lì, a pochi centimetri dalla cicatrice.

Anche quella sull'interno coscia iniziò a pulsare, come fosse fresca, facendola muovere con disagio sopra la tavola, impedendole di concentrarsi, facendole desiderare di allontanarsi.

«Ascolta solo il mio respiro. Il tuo respiro. Non c'è nient'altro.»

La sua voce, calma e sicura...

«Continua a parlarmi» disse Altea.

Lo sentì prendere aria, poi le parole iniziarono a avvolgerla. Altea si concentrò solo sulla sua voce, sul tono profondo, gentile, lasciando che qualsiasi altro pensiero o sensazione svanissero dalla sua mente.

«Senti il petto che si alza e si abbassa. Senti come va a ritmo col tuo. I polmoni che si gonfiano e si sgonfiano. Il calore della mia pelle.»

L'agitazione iniziò a farsi da parte e le onde, dacché sembravano tentare in tutti i modi di affogarla e travolgerla, ora sembravano quasi cullarla.

«Ricorda la sensazione di Léandre nella tua mente» continuò Elia, strusciando leggermente la testa contro quella di lei. «Quella mano fredda che ti accarezza, come fosse dentro di te.»

Altea prese un profondo respiro e si abbandonò a quella sensazione. Ricordò quel giorno nel cinema, quando l'aveva sentito per la prima volta. Quando aveva sentito la sua voce. La strana sensazione di essere in presenza di qualcuno che però non c'era veramente. Era lì, ma non c'era. Era dentro di lei, ma non realmente, come una folata di vento che ti scompiglia i capelli ma che non puoi acchiappare.

Sentì il bruciore sul braccio, la carne che si lacerava mentre lei urlava e nessuno la sentiva. Poteva percepirla come stesse succedendo in quel momento.

«Cazzo se è magico!»

L'imprecazione di Riccardo attirò la sua attenzione, distogliendola dai suoi ricordi. Non si era nemmeno accorto che Elia aveva trascinato il suo braccio in acqua, e sotto di essa, un'accecante luce azzurra riverberava nelle profondità del mare.

Altea spalancò la bocca in un'espressione sorpresa. La luce era di un azzurro intenso, quasi bianco, come se il ghiaccio stesso potesse uscire dalla sua pelle. Come se la luna vi si riflettesse sopra. Nonostante questo il mare era talmente profondo in quel punto che la luce non riusciva ad illuminare fino nelle profondità.

«Mio Dio» sussurrò estasiata.

«Riesco a sentirti.»

Altea cercò di dare un senso alle parole di Elia, e solo dopo si accorse che una mano calda le accarezzava la mente. Si voltò a guardarlo e qualcosa di estremamente profondo passò da lei a lui, un legame imprescindibile e spaventoso, che la fece sospirare di piacere, ma anche tremare dalla paura, chiedendosi in che modo lui percepisse lei.

«Ragazzi.»

Fu il tono di Riccardo, teso e in allerta, che li riportò alla realtà.

Il mare si era fermato. Una tavola piatta e nera si estendeva sotto di loro, su ogni lato. Le onde smisero di infrangersi contro la scogliera, che torreggiava poco distante come una parete tenebrosa e invalicabile, nascondendo il cielo a ovest.

Le si attorcigliò lo stomaco. Eppure, quando sentì quella carezza fredda dentro la sua testa, il suo corpo rispose con un sospiro di sollievo contro il quale non poteva opporsi.

«Lo sento!» esclamò Elia. «Riesco a sentirlo!»

Gli occhi di Altea si riempirono di lacrime. Forse per la gioia. Forse per la paura delle conseguenze. E quando una di esse scivolò lungo la sua guancia per cadere giù e raggiungere il mare, una mano dalla pelle bluastra e lunghe e affilate unghie appuntite spuntò fuori dall'acqua, a pochi centimetri da loro, e la catturò.

L'ora bluDove le storie prendono vita. Scoprilo ora