Capitolo 24

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Appena il rumore di tacchi si spense, Altea corse verso Elia e si aggrappò alle sue braccia, stringendo come se avesse paura che potesse svanire. «Dobbiamo tirarlo giù, Elia. Dobbiamo tirarlo giù.» Iniziò a trascinarlo verso Riccardo, mentre le parole di Ginevra rimbombavano nella sua testa.

Ciò che ne resta.

Ciò che ne resta.

Ciò che ne resta.

Elia salì sul mobile, ma perdeva l'equilibrio spesso, così Altea lo tenne per i fianchi.

«Amico mio. Mi dispiace» sussurrò al licantropo, che batté le palpebre rigonfie guardando il suo Alfa come se fosse la cosa più bella che avesse mai visto. Elia allungò un mano verso il catenaccio che aveva stretto intorno alla vita e tirò con tutta la forza che aveva. La catena cedette e il corpo di Riccardo cadde giù a peso morto, Elia con lui, così come Altea. I tre rovinarono sopra al mobile, poi Elia cadde a terra, Altea dall'altro lato del letto, mentre il corpo di Riccardo era rimasto a metà tra il materasso e il baule. Altea ed Elia si sollevarono subito in piedi e spostarono il corpo di Riccardo sulla parte libera del materasso, poi Elia buttò a terra il baule, liberandolo del tutto. Le lacrime iniziarono a rigare il volto di Elia mentre odorava il foro che era rimasto aperto sulla sua gamba, là dove poco prima c'era il tubicino che ora gocciolava su un lato del materasso. Alle gocce e varie macchie rosse sulle lenzuola di seta bianche se ne aggiunsero quindi delle altre, sul grigio.

Una goccia.

Due gocce.

Tre... quattro, cinque, sei.

Elia allontanò il corpo di Riccardo dal liquido e gli tasto il corpo.

«Cosa stai facendo?» chiese Altea al limite dello svenimento, cercando di non soffermarsi troppo sul viso gonfio, il ventre lacerato e bruciato dalle catene d'argento, l'odore di sangue e putrefazione.

«Sto controllando che non gli abbiano impiantato sotto pelle pezzi di argento per farlo soffrire.»

Il termine impiantato cozzava parecchio con l'immagine del corpo umano. Riccardo sembrava svenuto e non accennava a lamentele mentre Elia gli tastava tutto il corpo, macchiandosi le mani di sangue, che in alcuni punti scivolavano per il sangue fresco, in altri invece al tocco staccavano croste vecchie e nere. A un certo punto l'Alfa si fermò e strizzò gli occhi, tenendoli chiusi.

«Cos'hai?» La voce era flebile, le tremava.

Elia scosse la testa come un cane che si sgrulla il pelo dall'acqua e quando riaprì gli occhi, questi erano gialli. Altea allontanò le mani da Riccardo e il suo corpo si tese, come a voler indietreggiare. «Elia.»

«Il sangue di sirena. Altea... dobbiamo trovare il modo di uscire.»

Un rumore attutito, poi un fischio li fece sobbalzare. La voce di Ginevra uscì da un piccolo interfono a muro che non aveva visto, posto sulla parete opposta. «Non c'è modo di uscire, marito mio.» Rise. «Non lo trovi ironico? Marito. Puah.» Altri rumori, come se si stesse sistemando. «Ti ho dato una dose così alta di sangue di sirena che perderai la testa tra circa... cinque minuti. E la piccola dose di argento liquido che ti scorre nelle vene non ti permetterà di sfondare la porta, che come immaginerai è sbarrata con grosse e spesse lastre di argento.»

Altea chiuse gli occhi e prese a sussurrare tra sé e sé, come fosse una preghiera: «Ci troveranno. Ci troveranno». Immaginò di essere a casa sua, nel suo letto, o sul divano di Luigi. Il fuoco che scoppietta, Matilde e Andrea che litigano, mentre lei programma di andare a trovare Rosalina e Giuliana l'indomani, magari prendere un buon tè caldo insieme, e magari Giuliana avrebbe fatto la sua fantastica torta di mele e cannella.

L'ora bluDove le storie prendono vita. Scoprilo ora