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L'estate è sempre stata la mia stagione preferita. Niente preoccupazioni, in vacanza con drink in mano mentre la vita ti scorre piacevolmente addosso. A 19 anni, dopo aver affrontato il liceo con la speranza di un futuro luminoso e indipendente, ci si aspetterebbe di abbandonare il nido familiare e lanciarsi verso nuove avventure con l'università. Ma io, invece, sono destinata a restare qui. "Se vuoi pagarti gli studi, resterai qui," ha detto papà, come se fosse un gran premio di consolazione. "È una valida università con ottimi insegnanti." E chi potrebbe desiderare di più? L'università che ho sempre conosciuto, con i suoi corridoi familiari e le stesse facce che ho visto per anni. "Potrai scegliere tra classiche o moderne, ma ti consiglio di continuare con i tuoi studi classici," aveva aggiunto, come se la mia passione per la filologia antica fosse stata un destino scritto nelle stelle e non una scelta dettata dalla comodità e dalla consuetudine.

Quindi, mentre i miei coetanei sognano di scoprire città nuove, esplorare culture diverse e arredare appartamenti con i propri tocchi personali, io sono qui a fare i conti con la realtà di un percorso accademico che, sebbene prestigioso, è decisamente prevedibile, scontato e noioso. Mentre il sole si riflette sui vetri delle finestre della mia stanza, mi ritrovo a pensare alla vita che avrei potuto avere altrove. Passeggio per i corridoi della mia università, che mi sembrano ancora più familiari e asfissianti in questa stagione. Ogni angolo, ogni aula mi racconta la stessa storia, quella della mia routine monotona.

Le pagine ingiallite dei testi antichi, che in teoria dovrebbero essere un tesoro di conoscenza, per me sono solo fonti di angoscia e disinteresse. Ogni libro, ogni frammento che studio, mi sembra una catena che mi trattiene a una vita che non ho scelto, ma che sono costretta ad accettare per adempiere alle aspettative di mio padre. Le ore passate a leggere testi in latino o greco, a cercare di comprendere la grammatica complessa e i significati sottili, mi sembrano interminabili. Il mondo accademico, che doveva essere un campo di esplorazione, è diventato una trappola di obblighi. Ogni volta che mi immergo in uno studio, mi ritrovo a sognare di esplorare le pagine di romanzi contemporanei o di viaggiare verso luoghi lontani, dove le parole antiche non possono raggiungermi. Eppure, nonostante il mio risentimento, continuo a frequentare le lezioni e a completare gli esercizi.  Papà sembra aver disegnato il mio destino con mano ferma, considerando che "insegnare è un lavoro perfetto per una donna". Questo pregiudizio sottile e antiquato non solo limita la mia visione del futuro, ma contribuisce anche a rinforzare la sensazione di essere prigioniera di un ruolo prefissato.
Il contrasto tra la vita che sognavo e quella che mi trovo a vivere è sempre più acuto. Mentre i miei coetanei progettano viaggi avventurosi, esperienze universitarie all'estero e appartamenti arredati con le loro personalità, io mi trovo a confrontarmi con una realtà che sembra congelata in un momento del passato. La mia giornata è scandita dalla routine universitaria e dal lavoro, che non sono tanto sfide quanto un obbligo che limita le mie possibilità di esplorare e crescere.

L'idea di dover lavorare per mantenere gli studi e coprire le spese quotidiane mi sembra una condanna a una vita limitata, in cui ogni scelta è ridotta a un compromesso tra necessità e obblighi. Il lavoro non è solo un mezzo per guadagnare, ma una barriera che mi impedisce di dedicare tempo ed energia ai sogni che, sebbene sfumati, continuano a pulsare dentro di me. Ogni ora trascorsa al lavoro è un'ora sottratta alla possibilità di costruire un futuro diverso, di scoprire nuovi interessi e passioni. La sensazione di trovarmi in un angolo confortevole e prevedibile, con pochi spazi di manovra, è opprimente. Ogni giorno, mi sveglio con la consapevolezza che la mia esistenza è incanalata in un percorso già segnato, mentre il mondo al di fuori sembra essere un campo di infinite possibilità.  Ogni volta che guardo i miei compagni di corso, vedo nei loro occhi una scintilla di entusiasmo e curiosità che io non riesco a replicare. La loro passione per il loro percorso accademico è un richiamo doloroso per me, un promemoria costante di quanto io sia distante da quella gioia che avevo sperato di trovare.

Ogni giorno, mi trovo a sognare un futuro diverso, a immaginare una carriera che non sia solo un'ombra di quello che avrei potuto essere, ma una vera realizzazione delle mie aspirazioni. Forse, un giorno, troverò il coraggio di affrontare le aspettative familiari e di tracciare un percorso che mi permetta di vivere una vita autentica, una vita che, finalmente, possa essere mia. E mentre tutti intorno a me progettano viaggi all'estero, esperienze universitarie esotiche e appartamenti pieni di personalità, io sono qui, legata a un destino che sembra essere stato scritto per me. L'idea di dover lavorare mentre studio, di mantenere l'università e le spese quotidiane, non è tanto una sfida quanto una condanna a vivere in un angolo confortevole e prevedibile. L'opportunità di scoprire me stessa e il mondo sembra relegata a un sogno lontano, mentre il mio futuro si disegna tra le righe di un piano già tracciato.

Smith's: The MarriageDove le storie prendono vita. Scoprilo ora