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Quella notte, dopo una lunga giornata di confronti e decisioni, Léonard mi trovò nella nostra camera da letto. Il silenzio nel palazzo era palpabile, come se tutti stessero ancora cercando di elaborare la mia dichiarazione. Lui entrò con passo lento, la fronte corrugata e lo sguardo carico di tensione.

"Cosa pensavi di fare?" chiese con voce bassa ma dura, chiudendo la porta dietro di sé. Mi voltai verso di lui, già pronta per quello che sapevo sarebbe stato uno scontro. "Ho fatto ciò che ritenevo giusto," risposi con calma. "Il regno di mio nonno non può essere lasciato senza una guida. Non avevo altra scelta."

Léonard avanzò di qualche passo, scuotendo la testa. "Non puoi prendere decisioni di questa portata senza consultarmi, Elena. Io sono tuo marito, il re, e tutto ciò che fai ha conseguenze per entrambi."

"E tu credi che io non lo sappia?" risposi, mantenendo il mio tono fermo. "Non è stata una decisione presa alla leggera, ma era una decisione che spettava a me, e io l'ho presa."

Lui si fermò di fronte a me, i suoi occhi fissi nei miei. La tensione tra noi era palpabile, una corrente di energia che attraversava la stanza. "Elena, stai andando oltre il tuo ruolo. Non sei fatta per gestire due regni. La tua prima responsabilità è verso di me, verso questo trono, e verso il nostro futuro."

Lo guardai con un misto di sfida e dolore. "La mia prima responsabilità è verso la mia famiglia e i miei regni, Léonard. E questo include la Danimarca."

Lui strinse i pugni, cercando di mantenere il controllo. "Non posso permettere che tu prenda decisioni così importanti senza il mio consenso. È una questione di potere, e non posso accettare che tu cerchi di sottrarmelo."

Avanzai verso di lui, il cuore che mi batteva forte. "Non sto cercando di sottrarti nulla. Ma non mi sottometterò a un ruolo inferiore solo perché sono una donna. Io sono una regina, tanto quanto tu sei un re."

Léonard mi guardò, i suoi occhi lampeggianti di rabbia e desiderio. "Elena... stai giocando con il fuoco."

"Sono disposta a bruciarmi," risposi, la voce tremante ma determinata. Il silenzio che seguì era carico di emozioni irrisolte. Léonard mi afferrò per la vita, tirandomi verso di lui con una forza che era tanto rabbiosa quanto passionale. I nostri corpi si scontrarono, e in quel momento sapevo che ogni parola che avremmo potuto ancora dire sarebbe stata inutile.

Le sue labbra trovarono le mie con un'intensità che parlava di frustrazione, desiderio e potere. Non c'era spazio per delicatezza; era una lotta per il controllo, un gioco di chi avrebbe prevalso. Mi lasciavo andare, consapevole che, in quel momento, né di regni né di potere ci importava davvero. Eravamo solo io e lui, a confronto in un altro modo, come accadeva sempre nelle nostre notti più tempestose. Dopo quella tempesta di emozioni, trovai rifugio nel suo abbraccio, le nostre differenze temporaneamente messe da parte.

Quando si addormentò accanto a me, il suo respiro regolare e profondo, rimasi sveglia a lungo, riflettendo. Sapevo che la discussione non era finita, che la nostra lotta per il potere non sarebbe mai davvero conclusa. Ma in quel momento, con il suo corpo avvolto intorno al mio, trovai un attimo di pace in mezzo al caos.

Non passò molto tempo prima che mia nonna prendesse la decisione di tornare in Danimarca. I giorni che precedettero la sua partenza furono un misto di malinconia e inevitabile accettazione. Sapevo che la Danimarca aveva bisogno di lei, e, per quanto fosse stata presente nella mia vita e in quella di Isabella, la sua terra la reclamava.

Un pomeriggio, mentre la luce dorata del tramonto illuminava la sala, trovai mia nonna intenta a preparare i suoi effetti personali. Mi avvicinai, osservandola piegare con cura le sue vesti, i gesti lenti e misurati di chi aveva fatto questo gesto centinaia di volte nella sua vita da sovrana.

Smith's: The MarriageDove le storie prendono vita. Scoprilo ora