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Dopo qualche settimana, i segni furono inequivocabili. Una stanchezza profonda mi pervadeva, più forte di quanto avessi mai sentito prima. I piccoli cambiamenti nel mio corpo si fecero sempre più evidenti, e alla fine non potei più ignorarli. Chiamai il medico di corte, che dopo avermi visitata con estrema attenzione, mi sorrise con un'espressione radiosa. "Regina Elena," disse, "è un grande onore per me annunciare che siete in attesa di un nuovo erede."

Il cuore mi batté forte nel petto. Anche se mi aspettavo la notizia, sentirlo dire ad alta voce fece sì che la realtà mi colpisse con forza. Il sogno di quella notte con Era si stava avverando. Mi posai una mano sul ventre, una sensazione di calore e protezione mi avvolse. Léonard fu il primo a sapere, ovviamente. Entrò nella stanza pochi minuti dopo, impaziente di conoscere il responso. "Allora?" mi chiese, scrutando il mio volto per un segno, per una conferma. "Léonard," dissi con voce tranquilla, "sono incinta. Avremo un altro figlio."

Per un istante, vidi nei suoi occhi un bagliore di pura soddisfazione, quasi di trionfo. Si avvicinò a me e mi strinse forte, come se il peso delle sue ambizioni fosse stato alleggerito da quella notizia. "Finalmente," sussurrò, "forse avremo un erede."

Sorrisi debolmente, anche se sapevo che nulla era ancora certo. L'unica cosa sicura era che un altro bambino sarebbe entrato nelle nostre vite, un'altra anima che avrebbe plasmato il nostro futuro. Avrei protetto quella vita con tutto il mio essere, proprio come avevo fatto con Isabella. Léonard si allontanò da me, guardandomi con orgoglio. Non era detto che il prossimo bambino sarebbe stato un maschio. Ma qualunque fosse il suo destino, era il mio ruolo proteggerlo.

Le settimane seguenti trascorsero in un turbinio di emozioni. Isabella, ancora piccola e inconsapevole di ciò che stava accadendo, continuava a crescere felice, mentre il palazzo era avvolto in una nuova ondata di preparativi. La notizia della mia gravidanza si diffuse rapidamente, portando congratulazioni da ogni angolo dell'impero. L'imperatore Frederick, ancora a palazzo, venne personalmente a congratularsi con me, sebbene notai un'ombra di preoccupazione nei suoi occhi.

L'imperatore Frederick si congedò da noi con la sua solita compostezza, ma c'era una tensione palpabile nei suoi gesti, nei suoi sguardi. Dopo avermi congratulato una volta di più, mi prese le mani tra le sue, un gesto quasi affettuoso, e mi disse: "Elena, sarò a Washington per sistemare alcune questioni importanti, ma tornerò prima che il bambino nasca."

Annuii, cercando di non mostrare il peso di quelle parole. Quando Frederick si allontanò per parlare con Léonard, il mio sguardo rimase fisso sul suo mantello imperiale, che ondeggiava dietro di lui. C'era qualcosa di oscuro che non riuscivo a decifrare. L'imperatore era sempre stato benevolo con me, ma sapevo che il suo ritorno a Washington segnava l'inizio di discussioni di potere a cui non avevo accesso. Mentre mi voltavo verso la finestra del salone, osservando le carrozze imperiali che si allontanavano dal palazzo, una voce dietro di me mi fece sussultare. "Preoccupata, Elena?" era mia madre, che mi guardava con uno sguardo comprensivo. "Sono solo stanca, madre," risposi, sebbene sapessi che lei riusciva a vedere attraverso il mio tentativo di tranquillità.

"Frederick sa quanto vali, figlia mia," mi disse, appoggiando una mano delicata sulla mia spalla. "Ma non dimenticare che, in questo mondo, anche la donna più potente deve dimostrare di essere all'altezza."

Mi voltai a guardarla, vedendo nel suo viso i segni del tempo e delle sue stesse battaglie. Léonard si avvicinò a noi in quel momento, i suoi occhi lampeggianti di ambizione. "Il futuro dell'impero è assicurato," disse a mia madre, con un accenno di compiacimento. "Questo bambino renderà tutto stabile, proprio come tutti sperano."

Le giornate trascorrevano lente, tra le visite dei dignitari e le notizie che arrivavano da ogni angolo dell'impero. La mia gravidanza sembrava essere la notizia principale che circolava nelle corti, e mentre io mi concentravo sul mio ruolo come madre di Isabella e futura madre di un altro erede, sentivo sempre più la pressione che gravava sulle nostre spalle.

Una sera, mentre ci preparavamo per la cena, Léonard si avvicinò a me con una piega di preoccupazione sulla fronte. "Dobbiamo discutere del futuro di Isabella," disse, la voce seria.

Mi voltai a guardarlo, sospettando già dove volesse arrivare. "Cosa intendi, esattamente?" domandai, cercando di mantenere la calma. Lui sospirò e si sedette accanto a me, il viso rigido. "Isabella deve essere promessa a un nobile di una delle principali famiglie. Dobbiamo garantirle un matrimonio che rafforzi la nostra posizione nell'impero, Elena. È fondamentale."

Il mio cuore si strinse al solo pensiero. "Isabella è ancora una bambina. Ha appena compiuto un anno. Come puoi già parlare di matrimoni? Non abbiamo nemmeno idea di quale sarà il suo futuro."

Léonard mi guardò con una determinazione fredda. "È proprio perché voglio garantirle un futuro che sto parlando di questo. Non possiamo permetterci di aspettare. Se non lo facciamo noi, qualcun altro farà proposte, e potremmo perdere il controllo della situazione."

Mi alzai dalla sedia, il mio corpo appesantito dalla gravidanza, ma la mia mente ribolliva di indignazione. "Non posso credere che tu stia pensando a questo. Isabella deve poter scegliere, deve avere una vita normale, almeno per quanto possibile. Non puoi ridurla a una pedina, Léonard!"

Lui si alzò di scatto, avvicinandosi a me con uno sguardo duro. "Non essere ingenua, Elena. Lei non è una bambina qualunque. È una principessa, la figlia di un re e di una regina. Il suo destino è già deciso, che ti piaccia o no."

Sbattei le palpebre, cercando di trattenere la rabbia che mi stava montando dentro. "Non permetterò che venga usata per giochi di potere o alleanze. Ha diritto a una vita che sia sua, e non un riflesso delle tue ambizioni!"

Léonard scosse la testa, visibilmente frustrato. "Sei troppo emotiva, Elena. Non capisci come funziona il potere. È una responsabilità che dobbiamo accettare, non un privilegio di cui possiamo fare a meno."

"E tu non capisci cosa significa essere genitori," ribattei con fermezza. "Non sacrificherò la felicità di mia figlia per una corona, per il tuo desiderio di controllo."

Restammo in silenzio per alcuni istanti, fissandoci a vicenda, mentre le tensioni tra di noi sembravano crescere come una tempesta in avvicinamento. Era chiaro che su questo punto non ci sarebbe stata alcuna riconciliazione, almeno per ora.

Lui si allontanò dalla stanza, visibilmente scosso, lasciandomi con la mia rabbia e la mia determinazione. Mi accasciai su una sedia, il mio respiro pesante, mentre accarezzavo la mia pancia, cercando di calmarmi.

Smith's: The MarriageDove le storie prendono vita. Scoprilo ora