Dopo giorni di lunghe discussioni e festeggiamenti, la corte francese si preparò a partire. Il cortile del palazzo era animato dal fruscio dei vestiti nobili e dal rumore delle carrozze pronte a partire. Charlotte, insieme al re e ai loro figli, si avviò verso il corteo reale con un'aria di solennità. Mentre la osservavo dare gli ultimi ordini ai suoi servitori, non potei fare a meno di sentire un certo sollievo. Nonostante i legami dinastici, la presenza di Charlotte era stata una costante fonte di tensione. "È stata una visita istruttiva," disse Charlotte, fermandosi di fronte a me mentre teneva la mano del suo figlio minore, che osservava Isabella con uno sguardo curioso. "Spero che le nostre discussioni ti abbiano dato del materiale su cui riflettere."
Annuii, mantenendo un sorriso cortese. "Sì, sono sicura che ci saranno molti temi da affrontare in futuro."
Charlotte mi guardò con un sorriso enigmatico, la stessa espressione che mi aveva accompagnata per tutta la sua permanenza. "E ricorda, Elena, non c'è mai troppo tempo per prepararsi. Ti auguro ogni bene."
Con un lieve inchino, si voltò e si avviò verso la sua carrozza, seguita dai suoi figli e dal re. Isabella, tra le mie braccia, agitava la manina, ignara del significato di quell'addio. Leonard osservava in silenzio dall'ingresso del palazzo, le braccia conserte e lo sguardo fisso sui sovrani francesi che si allontanavano.
Quando l'ultimo carro si mosse, il rumore delle ruote sul selciato mi diede un senso di chiusura. La corte francese se n'era andata, ma le sue parole e le sue insinuazioni rimanevano. La loro visita, ufficialmente per il compleanno di Isabella, aveva avuto un significato molto più profondo: un promemoria che ogni passo verso il futuro era carico di aspettative dinastiche e alleanze da consolidare.
Quando l'ultimo stendardo della corona francese scomparve all'orizzonte, Leonard si avvicinò, il volto teso. "Finalmente," disse con un sospiro di sollievo. "Non potevo sopportare un altro giorno di quelle conversazioni sottilmente mascherate da minacce."
Sorrisi appena, condividendo il suo sollievo. "Charlotte è astuta, lo sappiamo entrambi. Ma dobbiamo essere pronti. La Francia osserva, e non sono i soli."
"Lascia che osservino," rispose Leonard, con un'ombra di determinazione nel tono. "Questo è il nostro regno, e faremo le nostre scelte."
Restammo lì per un momento, guardando il vuoto lasciato dal corteo. Un altro capitolo si era chiuso, ma il peso delle decisioni a venire restava. La partenza della corona francese ci aveva dato una pausa, ma il futuro di Isabella e del nostro regno era ancora lontano dall'essere definito.
I nove mesi passarono rapidamente, un turbinio di preparativi, tensioni e attesa. Il palazzo romano era tornato a brulicare di vita e di ospiti. L'imperatore Frederick, come promesso, era tornato per la nascita del nostro secondo figlio, e con lui, anche mia nonna Aurora, che sembrava aver lasciato la Danimarca con un certo sollievo.
La mattina del parto, il cielo era grigio e carico di nubi, come se il mondo stesso trattenesse il respiro per l'arrivo del nuovo erede. Leonard camminava nervosamente nei corridoi fuori dalla mia camera, e il suo volto, quando lo vidi brevemente prima che mi portassero via, era rigido di preoccupazione e aspettativa.
Dopo ore di travaglio, un vagito squarciò il silenzio della stanza. Il dottore sollevò il bambino e lo portò subito a me. Un maschio. Il tanto atteso erede. Leonard entrò nella stanza subito dopo, il viso pallido per l'ansia e il sollievo. Si fermò vicino al mio letto, fissando nostro figlio con una luce nuova negli occhi. "È un maschio," sussurrò, incredulo. "Il nostro erede."
Lo guardai stringere il bambino tra le braccia con una dolcezza che raramente gli vedevo, e per un breve momento il peso delle nostre differenze sembrava scomparire. Era solo un padre che stringeva suo figlio. Fuori dalla stanza, i cortigiani attendevano con ansia. La notizia si diffuse rapidamente per tutto il palazzo e oltre le mura della città. La corona imperiale era presente, e non ci fu tempo per celebrazioni private. Frederick fu uno dei primi a entrare nella stanza. Il suo viso rugoso si distese in un raro sorriso quando vide il bambino. "Finalmente, l'impero ha il suo futuro," disse con tono solenne.
Mia nonna Aurora seguì subito dopo, i suoi occhi brillanti di lacrime. Mi prese la mano e la strinse con affetto. "E così hai fatto come ti ha detto," disse piano, guardando il bambino con orgoglio. "Questo bambino ha un grande destino davanti a sé."
Mentre tenevo mio figlio tra le braccia, non potei fare a meno di sentire il peso del futuro che mi schiacciava. "Nonna...tu ci credi se ho la sensazione di essere stata benedetta da una dea mitologica?" le chiedo.
Nonna Aurora sorrise dolcemente, ma nei suoi occhi vidi un lampo di qualcosa di più profondo, come se il mio segreto fosse già stato svelato. "La dea Era, dici?" chiese, posando la mano sul piccolo Cristian addormentato tra le mie braccia. "Sì, mia cara. Ci credo, perché l'ho vista."
Le sue parole mi colpirono come un fulmine. "L'hai vista?" ripetei, incredula.
Lei annuì lentamente, lo sguardo perso nei ricordi. "Non sono cresciuta credendo negli dei, Elena. Da giovane, ero una donna come tante altre: italiana, viziata e protetta da una vita di privilegi. La mia famiglia fu risparmiata dalla guerra. Ma non tutti furono così fortunati." Fece una pausa, come se il peso di quei ricordi la soffocasse. "Quando scoppiò la Grande Guerra, vidi orrori che non posso dimenticare, ma vidi anche cose che non tutti avrebbero potuto spiegare."
"Come cosa?" chiesi, rapita dal suo racconto. "Quando Cris ed io ci incontrammo," continuò, "era un periodo tumultuoso. Io stavo cercando me stessa, perdendomi tra piaceri effimeri, droghe e lussi inutili. Ma quando la guerra arrivò alle porte, tutto cambiò. Vidi il dolore, la sofferenza e... qualcos'altro." Si fermò un attimo, come se cercasse le parole giuste. "Gli dei camminavano tra noi, Elena. E non lo facevano per salvarci, ma per osservarci. Per vedere chi di noi avrebbe resistito e chi si sarebbe spezzato."
Le sue parole erano così incredibili che faticavo a comprenderle del tutto. "Gli dei? Erano davvero lì?"
"Sì," disse con convinzione. "Era, Atena, persino Ares. C'erano in battaglia, nascosti tra i mortali, alimentando la furia e il coraggio. Li vidi, Elena. Li vidi mentre il mondo crollava intorno a noi. E fu allora che capii che la storia che ci raccontano non è tutta la verità."
"Ma perché tu?" domandai. "Perché te ne rendesti conto?"
Aurora fece un sorriso enigmatico. "Non so il motivo, ma forse perché io, in quel periodo della mia vita, non appartenevo a nulla. Non ero più la donna spensierata e viziata che ero stata, e non ero ancora la regina che sarei diventata. Ero vuota. E loro si mostrarono a me perché, in quel vuoto, potevano riflettersi."
Mi sentii piccola di fronte alla grandezza del suo racconto, incapace di afferrare appieno la portata di ciò che mi stava dicendo. "Così tu... credi che anche io...?"
"Se Era ti è apparsa," disse Aurora con un tono solenne, "è perché ti ha scelto. Proprio come gli dei scelsero di mostrarsi a me."
Guardai il piccolo Cristian tra le mie braccia, sentendo il peso della responsabilità crescere dentro di me. "E cosa devo fare?"
"Non lo so, cara," rispose Aurora. "Ma una cosa è certa: il mondo non è più come lo conoscevamo. Gli dei sono tornati, e ciò che si aspettano da noi sarà rivelato solo col tempo."
Le sue parole rimasero con me, un misto di speranza e paura, mentre continuavo a guardare il mio bambino, chiedendomi che ruolo avrebbe giocato in questa nuova era che sembrava profilarsi all'orizzonte.
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Smith's: The Marriage
ChickLitCon la fine di una guerra, il mondo era tornato ad avere imperatori, re e titoli nobiliari; ma non tutti i nobili era ricchi...la famiglia Bianchi, per sopperire il limitato denaro, fanno si che la loro unica figlia sposi Leonard Smith, un giovane a...