8.

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La mattina dopo arriva con una brutalità che non mi aspettavo. Sono ancora avvolta dal torpore del sonno quando il campanello suona, squillando nelle orecchie come un richiamo implacabile. Sbircio fuori dalla finestra e vedo Leonard, impeccabile come sempre, con una scatola di cornetti in mano. Non ho nemmeno il tempo di realizzare che oggi è il giorno in cui la mia vita cambia per sempre.

Mi trascino giù dalle scale, ancora in pigiama, con i capelli scompigliati e il viso segnato dal cuscino. Apro la porta e lo trovo lì, con quel sorriso forzato che mi irrita. "Buongiorno," dice, tendendomi la scatola. "Ho pensato di portarti la colazione." "Almeno hai portato i cornetti," mormoro, afferrando uno e mordendolo con poca grazia, le briciole che mi cadono sul mento.

Dietro di lui, noto qualcosa che mi fa stringere lo stomaco: i miei genitori sono già pronti, vestiti e sorridenti, come se questa fosse una giornata di festa. Davanti alla porta ci sono dei pacchi, tutti ordinati e pronti per essere caricati. È come se avessero aspettato questo momento con ansia, come se non vedessero l'ora di sbarazzarsi di me."Vedo che siete di fretta nel mandarmi via," dico, la voce piena di sarcasmo mentre mi siedo al tavolo della cucina con il cornetto in mano e la bocca sporca di cappuccino.

"Prima ti sistemi, prima ti abituerai alla tua nuova vita," risponde papà con quella solita voce che cerca di essere autoritaria e rassicurante allo stesso tempo. È una combinazione che odio, perché so che dietro quelle parole c'è solo controllo. Mamma si affretta a intervenire, come se volesse minimizzare la gravità della situazione. "E poi, non è la prima volta che convivi. Hai passato tutte le estati con Emily e Jay, e spesso prendevate la casa in affitto." Sorride, come se stesse ricordando momenti spensierati, senza rendersi conto che questa volta è diverso. Molto diverso.

"Non è esattamente la stessa cosa," rispondo, lasciando cadere il cornetto sul tavolo, ormai senza appetito. "Con loro avevo scelto io. Qui invece..."

Le parole mi si fermano in gola. Non c'è bisogno di continuare, lo sanno tutti. Questa non è una scelta mia. Questo è un destino imposto. Leonard si avvicina, con quel suo sorriso che sembra voler essere rassicurante, ma che a me dà solo i brividi. "Non sarà così male." dice sorridente.

Mi porto i vestiti in bagno, chiudendo la porta dietro di me con un clic che mi dà una falsa illusione di controllo. Qui, almeno per qualche momento, posso respirare senza sentire gli sguardi addosso, senza dover fingere che tutto vada bene. Mi spoglio lentamente, lasciando cadere il pigiama a terra, e mi immergo nella vasca da bagno, lasciando che l'acqua calda mi avvolga. Un rifugio temporaneo, certo, ma è tutto ciò che posso permettermi in questo momento. Sprofondo nell'acqua, cercando di distendere i muscoli e di guadagnare tempo, ogni minuto passato qui è un ritardo imposto a quello che mi aspetta là fuori.

Avrà una signora delle pulizie o dovrò imparare a pulire? Sa cucinare? Se ci affidiamo alle mie doti, o meglio, alla mia voglia in cucina o ingrassiamo o diventiamo trasparenti. Avrò una mia stanza? Capisco che dobbiamo sposarci ma un anello non significa certo un letto. E se vuole dei bambini? Vorrà sicuramente dei figli. Ricordo quella megera di sua madre dirmi sicuramente vuoi dei bambini. Avrei dovuto rispondere che non voglio rovinare ulteriormente l'umanità mettendo al mondo esseri che potrebbero essere come lei... o peggio, come suo figlio. L'ironia di quei pensieri mi fa sorridere per un istante, ma il sorriso si spegne subito, soffocato dal peso della realtà.

Resto lì, nell'acqua ormai tiepida, cercando di prolungare ogni secondo. So che non posso rimanere qui per sempre, ma per qualche altro minuto voglio illudermi di avere ancora una scelta, di poter ancora decidere qualcosa nella mia vita, anche se è solo il tempo che passerò in questa vasca.

Smith's: The MarriageDove le storie prendono vita. Scoprilo ora