25.

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La musica pulsava ovunque, un battito costante che faceva vibrare il pavimento sotto i miei piedi. Le luci stroboscopiche illuminavano i corpi sudati che si muovevano all'unisono sulla pista, una folla disordinata di persone immerse nel caos della discoteca. Ballavo con una certa frenesia, il mio corpo che ondeggiava a ritmo, mentre sorseggiavo l'ennesimo drink. Il sapore bruciante dell'alcol mi scivolava giù per la gola, e il calore che ne seguiva mi faceva sentire temporaneamente libera, come se potessi scrollarmi di dosso il peso di tutto ciò che era accaduto quella sera.

"Dovresti smetterla di bere," mi dice Jay, avvicinandosi a me mentre mi porge un bicchiere d'acqua. Il suo viso è preoccupato, ma io non gli presto attenzione.

"Ancora uno," rispondo con un sorriso sfacciato, ignorando la sua preoccupazione mentre prendo un altro drink da un ragazzo sconosciuto che si era avvicinato. Il liquido scivola giù più facilmente di quanto dovrebbe, e sento la testa girare ancora di più.

Emily mi osserva, scuotendo la testa con disapprovazione. "Siamo arrivati a dieci, Elena. Devi fermarti."

Rido, il suono che esce dalla mia bocca è troppo alto, troppo scomposto. "Sto bene," dico, ma la mia voce suona distante persino alle mie stesse orecchie.

Non passa molto prima che la nausea mi assalga, improvvisa e inesorabile. Mi piego leggermente in avanti, e sento il pavimento inclinarsi sotto di me. Due ragazzi si avvicinano, sorridenti, cercando di offrirmi ancora un altro drink, ma Emily mi afferra per il braccio, la sua presa decisa.

"Lascia stare, lei non ne ha bisogno," dice a loro, il tono brusco. Poi mi guarda negli occhi. "Andiamo, Elena, ti accompagno in bagno."

Non riesco nemmeno a protestare. Mi lascio trascinare via, cercando di mantenere l'equilibrio mentre cammino barcollando. Quando finalmente arriviamo al bagno, il mio stomaco decide di ribellarsi completamente. Vomito nel lavandino, il sapore amaro dell'alcol mi brucia in gola, e le mie mani si stringono ai bordi del lavandino, cercando di rimanere in piedi.

Emily mi tiene i capelli all'indietro, il suo viso preoccupato. "Sei ubriaca," afferma con tono calmo, mentre mi accarezza la schiena.

"Non sono ubriaca," rispondo con voce rauca, anche se è evidente che non sto dicendo la verità. "Voglio tornare a ballare."

Lei scuote la testa, decisa. "No, Elena. Ti accompagno in camera."

A quelle parole, l'idea di tornare in camera, dove Leonard mi aspetta con il suo sguardo giudicante, mi fa venire i brividi. "No!" esclamo, cercando di alzarmi in piedi. "Non voglio tornare lì... Leonard è lì. Non voglio vederlo."

Emily e Jay mi sorreggono mentre mi trascinano fuori dalla discoteca, le loro mani ferme contro il mio corpo instabile. La musica si allontana sempre di più, diventando un sottofondo ovattato, mentre mi avvolge l'aria fredda della notte. La testa continua a girare, e il sapore amaro del vomito e dell'alcol rimane sulla mia lingua.

Un medico si avvicina con un panno bagnato, tamponandomi la fronte e sussurrando qualcosa di tranquillizzante. Non riesco a prestare attenzione alle sue parole; tutto quello che sento è il rumore del mio stesso respiro, pesante e irregolare.

Mi portano nelle suite. Quando entriamo nella stanza, vedo Leonard seduto davanti al camino acceso, il libro che stava leggendo appoggiato sulle ginocchia. Alza lo sguardo, vedendomi in quello stato, e si alza immediatamente. "Cos'è successo?" chiede con un tono allarmato, osservandomi da capo a piedi. "Ha bevuto troppo," spiega il medico, aiutandomi a sdraiarmi sul letto con la delicatezza che contrasta con il mio stato confusionale.

Leonard ringrazia il medico e, con un gesto deciso, lo congeda. Una volta rimasti soli, si siede accanto a me. Mi sento vulnerabile sotto il suo sguardo severo, eppure c'è una parte di me che vuole ribellarsi, che non riesce a sopportare il controllo che esercita sulla mia vita.

"Perché l'hai fatto?" mi chiede a bassa voce mentre posa un asciugamano freddo sulla mia fronte. "Mi restava solo quello," sussurro in risposta, la mia voce rotta, quasi un singhiozzo.

Leonard sospira, passandosi una mano tra i capelli. "È per questo che non mi fido a lasciarti da sola. Hai bevuto troppo questa volta, ma cosa sarebbe successo se avessero messo della droga in quei bicchieri? Avrebbero potuto stuprarti, o peggio, mandarti in coma."

Lo guardo, il mio corpo rigido, e per la prima volta in tanto tempo le parole mi scappano dalle labbra senza il filtro della paura. "E tu non l'hai mai fatto?"

Lui si blocca, il viso serio. "Cosa?" chiede, fingendo di non capire. "Non far finta di non sapere di cosa parlo, Leonard. Non sono mai stata veramente consenziente, ma a te non importava." Le parole escono, crude e dolorose, la verità che ho soffocato troppo a lungo. "Non dire sciocchezze," ribatte, la sua voce più tagliente di prima. "Non ti ho mai fatto del male."

"Forse non fisicamente," dico, la mia voce che si spezza. "Ma quella cintura? Non è stata una violenza? E quando hai lasciato che il tuo amico entrasse in camera per provare a scoparmi?" Lo guardo negli occhi, il dolore e la rabbia che si mescolano in un nodo nella mia gola. "È solo l'alcol che ti fa parlare così," cerca di giustificarsi, la sua voce che tradisce una lieve incrinatura. "L'alcol è solo la voce della verità," rispondo, affondando nella consapevolezza che ho tenuto nascosta per troppo tempo.

Leonard rimane in silenzio per un lungo momento. Alla fine, si avvicina a me, con gesti più misurati. "Hai bisogno di riposare," dice, spogliandomi con una cura che non avevo mai visto prima, senza il solito desiderio di possesso. "Vuoi lasciarmi nuda?" chiedo con un filo di voce, cercando di capire le sue intenzioni. "No," risponde, andando a cercare il mio pigiama nella valigia. Mi aiuta a indossarlo con movimenti delicati, senza fretta, come se ogni gesto fosse accompagnato da una nuova consapevolezza. Dopo avermi sistemata sotto le coperte, si alza per tornare davanti al camino. "Se hai bisogno, chiamami. Sarò sul divano."

"Leonard," sussurro debolmente, sentendomi più fragile che mai. Lui si avvicina nuovamente al letto, chinandosi verso di me. "Resta," dico, e non ho mai sentito la mia voce così supplichevole, così vulnerabile. Mi guarda negli occhi, incerto. "Sei sicura?" chiede, come se fosse la prima volta che mi lascia scegliere. Annuisco. Lui si spoglia con lentezza, rimanendo solo in boxer, e si sdraia accanto a me. Mi stringe dolcemente, le sue braccia che mi avvolgono, il suo petto che si alza e si abbassa sotto la mia testa. "Imparerò," gli sussurro, non sapendo nemmeno io se lo sto dicendo a lui o a me stessa, mentre i miei occhi si chiudono lentamente e il sonno mi avvolge.

Smith's: The MarriageDove le storie prendono vita. Scoprilo ora