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Non ci è voluto molto perché Leonard e i miei genitori preparassero i miei bagagli mentre ero chiusa in bagno. Sentivo i passi fuori dalla porta, i sussurri ovattati che non riuscivo a decifrare, e il suono delle valigie trascinate lungo il corridoio. Quando finalmente esco, tutto è già pronto. Non c'è più nulla da fare. Nessun ultimo gesto di ribellione che possa allungare il tempo.

Mi infilo nei vestiti che avevo portato con me in bagno: una semplice maglietta e jeans, come se indossando qualcosa di normale potessi ancora aggrapparmi a una parvenza di normalità. Leonard mi osserva con quel solito sorriso che mi fa ribollire dentro. Non dice nulla, non serve. Le valigie sono già pronte, caricate su una carrozza del trasloco, come se il passaggio dalla mia vita vecchia a quella nuova fosse un compito banale da sbrigare.

Saliamo tutti nelle rispettive carrozze. Alla carrozza del trasloco si aggiunge quella dei miei genitori, che ci segue come un'ombra silenziosa verso la mia nuova casa. Leonard è accanto a me, troppo vicino per i miei gusti, e il suo silenzio mi pesa più delle parole. Mi sento soffocare in quel piccolo spazio.

La strada è breve, ma ogni secondo sembra durare un'eternità. Guardo fuori dal finestrino, cercando di distogliere lo sguardo da lui. Le case scorrono, una dopo l'altra, ma nessuna mi dà un senso di sollievo.

"Non sarà così male, Elena," dice infine Leonard, rompendo il silenzio con il suo tono mielato. "Avremo una vita stabile, confortevole. Non ti mancherà niente."

"Non mi mancherà niente?" ripeto, incapace di trattenere il sarcasmo. "Forse tranne la libertà di scegliere la mia vita."

Lui mi guarda per un attimo, e quel sorriso che tanto odio si fa più sottile. "La libertà può essere sopravvalutata. Quello che importa è che saremo una famiglia, e avremo tutto il necessario."

Una famiglia. Quelle parole mi rimbombano nella testa, fredde come la lama di un coltello. Non ho mai voluto questa "famiglia" che loro hanno deciso per me. Eppure, qui sono, seduta accanto a un uomo che non ho scelto, diretta verso una casa che non ho mai voluto vedere. "Ho visto alcuni tuoi vestiti" riprende poi Leonard "Corti, scollati...con quelli puoi stare a casa".

"O nei club, d'estate per uscire..." inizio ad elencare. "Pensi che potrai uscire da sola? Dopo che ho visto cosa vai a fare nei locali potrai uscire solo se ci sono io. Non permetterò che arrivino voci che dicono la moglie di Leonard è una troia".

"Non puoi chiudermi in casa" esclamo. "Temo proprio che invece posso" mi dice facendo in modo che io non possa controbattere. Mi appoggio al vetro della carrozza e rannicchio le gambe sui sedili viola melanzana. "Non voglio che mi vedi come un mostro che ti tiene rinchiusa. Quello che faccio e che farò è per il tuo bene"mi dice poggiando la sua mano sul mio culo. Io gliela levo e mi rimetto composta per non farmi toccare. "Per il mio o per il tuo?" gli chiedo."Per la nostra famiglia" afferma.

La tensione nella carrozza cresce, pesante come l'aria in una giornata afosa. Leonard, con quel tono calmo e paternalistico, continua a parlare di "famiglia" come se fosse un sogno dorato. Ma per me è una prigione, e ogni parola che esce dalla sua bocca sembra chiudere un altro lucchetto.

"Non capisci, vero?" sibilo, senza più riuscire a trattenere la rabbia che si gonfia dentro di me. "Non è la tua 'famiglia' quella che voglio. Non è questo che voglio."

Leonard si limita a sorridere, come se fossi una bambina che non sa cosa è meglio per lei. "Lo capirai col tempo. Crescerai e vedrai che ho ragione. Sono cose che si imparano."

"Crescerò? Davvero? Come se non fossi abbastanza cresciuta da decidere cosa fare della mia vita?" Il sarcasmo mi sgorga spontaneo, mentre incrocio le braccia, cercando di mantenere una calma che non sento. "E per la cronaca, non sono interessata a imparare le lezioni che hai da insegnarmi."

Leonard mi guarda di sbieco, il sorriso che prima era leggero e complice diventa più teso. "Stai attenta a come parli, Elena," mormora con una freddezza che mi fa venire i brividi. "Sono tuo marito, o lo sarò presto, e il rispetto è fondamentale."

Rispetto. Parola che Leonard usa come arma, una lama sottile nascosta dietro una facciata di convenienza e controllo. Mi mordo la lingua per non rispondere, per non dargli ulteriori motivi di attaccarmi. Respiro profondamente, cercando di calmarmi, ma la sua mano che poco prima era scesa senza permesso sul mio corpo ancora mi brucia sulla pelle, come un marchio.

Finalmente la carrozza si ferma davanti a quella che sarà la mia nuova casa. Un'imponente villa con un giardino curato e un'aria di perfezione esteriore che sembra voler mascherare il vuoto che sento dentro. Le alte finestre, i muri bianchi e le decorazioni eleganti: tutto urla ricchezza, stabilità, ma io non ci vedo niente di accogliente.

"Benvenuta a casa," dice Leonard, scendendo dalla carrozza e tendendomi una mano come se questo fosse un momento speciale, qualcosa da celebrare.

Ignoro la sua mano e scendo da sola, guardando la casa con un misto di rassegnazione e disgusto. "Casa..." mormoro sottovoce, quasi per me stessa. Ma non lo sarà mai, non per me.

Smith's: The MarriageDove le storie prendono vita. Scoprilo ora