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La prima settimana trascorse rapidamente, con impegni istituzionali, visite di cortesia e consigli di stato. Copenaghen era ancora immersa in un'atmosfera solenne, ma la presenza dei regnanti d'Europa e dell'imperatore portava una strana sensazione di continuità. Isabella e Cristian si ambientavano nella loro nuova vita, tra lezioni e momenti di gioco nei giardini del castello, mentre io cercavo di destreggiarmi tra i miei nuovi doveri di regina di Danimarca e i miei ruoli precedenti come regina d'Italia e madre.

Una mattina, però, mi sentii sopraffatta da una leggera vertigine mentre osservavo Isabella che correva nei prati, la sua risata che riecheggiava tra gli alberi. Mi appoggiai a una colonna, cercando di riprendere fiato. "Maestà, state bene?" domandò una delle dame di corte, preoccupata dal mio pallore improvviso. "Sto bene... è solo la stanchezza," risposi, cercando di sorridere, ma dentro di me, una piccola voce cominciava a suggerire una spiegazione diversa. Non era la prima volta che sentivo quella sensazione. Ricordavo molto bene come il mio corpo si era comportato quando ero rimasta incinta di Isabella e poi di Cristian.

Quella sera, dopo aver messo a letto i bambini, convocai il mio medico personale per una visita. Sapevo che c'era una possibilità, ma aspettai con ansia la sua conferma. Non ci volle molto: i suoi occhi si illuminarono mentre completava l'esame. "Maestà, credo che siate incinta di nuovo," disse con un sorriso leggero. "È ancora presto, ma i segni ci sono."

Mi sedetti per un attimo, cercando di assimilare la notizia. Un altro figlio... Un'altra vita che si aggiungeva alle nostre già piene di responsabilità. Non potevo fare a meno di pensare al futuro di Isabella, Cristian, e ora di questo nuovo bambino. Sentii un misto di gioia e apprensione, consapevole delle implicazioni.

Tornai da Léonard, che mi stava aspettando nei nostri appartamenti, lo sguardo stanco ma curioso. "Elena, tutto bene?"

"Léonard, ho una notizia," dissi, cercando di mantenere la calma. "Aspettiamo un altro figlio."

Per un istante, il suo volto si illuminò. "Un altro erede?" chiese, e nella sua voce percepii un briciolo di speranza, quasi come se questa nuova vita potesse essere una risposta ai nostri problemi. Poi, però, il suo sguardo tornò serio. "Sai cosa significa, vero?"

Annuii. "Sì, significa che il nostro futuro è ancora più complicato. Ma anche che la nostra dinastia diventerà più forte."

Ci guardammo in silenzio per un lungo momento. Sapevo che questa nuova gravidanza poteva avere ripercussioni su tutto: sulla mia salute, sulla stabilità della nostra famiglia e del regno. Ma sapevo anche che dovevo affrontarla come avevo fatto con ogni altra sfida. Ero una sovrana ora, con tre regni da proteggere e una famiglia da guidare.  Léonard si avvicinò, prendendomi la mano. "Qualunque cosa accada, Elena, faremo ciò che dobbiamo fare. Per noi, per i bambini."

"Lo so," risposi, sentendo una lieve fiamma di speranza accendersi in mezzo alle difficoltà che ci attendevano.

Era una mattina luminosa, e il sole filtrava attraverso le alte finestre del castello, ma l'atmosfera nella stanza era tesa. L'imperatore aveva mandato un suo emissario con una missiva chiara: Isabella e Cristian dovevano rimanere in Danimarca con me, la loro madre, mentre Léonard sarebbe tornato in Italia per continuare a regnare. Era un ordine mascherato da consiglio, ma sapevo che non c'era molto margine di negoziazione quando si trattava dell'imperatore.

Più tardi, quando Léonard venne a conoscenza della richiesta, la sua reazione fu esattamente quella che temevo. "Non posso permetterlo, Elena," disse con un tono gelido mentre camminava avanti e indietro nella nostra stanza. "Non lascerò te e i miei figli qui mentre io vado a regnare da solo in Italia. Sospirai, cercando di mantenere la calma. "Léonard, capisco cosa provi, ma stiamo parlando del futuro dei nostri figli e del nostro regno. L'imperatore crede che sia la cosa migliore per mantenere l'equilibrio tra i nostri titoli e i nostri doveri. I bambini devono crescere qui, in Danimarca, mentre tu sei in Italia a governare."

"Tu accetti tutto senza discutere, come se non avessi voce in capitolo!" esclamò, la frustrazione evidente nella sua voce. "Non posso accettare che l'imperatore decida come dobbiamo vivere. Siamo sovrani, o almeno dovremmo esserlo. Perché dovrei essere costretto a vivere lontano dalla mia famiglia?"

"Perché è necessario," dissi, cercando di incontrare il suo sguardo. "Non possiamo fare tutto insieme. Io ho il compito di consolidare la nostra posizione qui in Danimarca, soprattutto ora che abbiamo un altro figlio in arrivo. Tu devi regnare in Italia. Abbiamo responsabilità troppo grandi per stare sempre insieme."

Léonard si fermò, guardandomi con un'espressione che mischiava rabbia e dolore. "Tu lo vuoi davvero? Vuoi davvero che ci separiamo così?"

Non risposi subito, perché la verità era più complicata di quanto volessi ammettere. Non volevo allontanarmi da lui, ma sapevo che l'equilibrio tra i nostri regni richiedeva sacrifici. "Non lo voglio," risposi infine, la voce più dolce. "Ma è quello che dobbiamo fare, almeno per ora. Isabella e Cristian avranno bisogno di stabilità, e io posso dargliela qui. E tu... tu puoi essere un grande re in Italia."

Léonard rimase in silenzio per qualche istante, poi si avvicinò a me, posando una mano sul mio ventre. "Questo bambino... spero che ci riunisca, Elena. Non posso sopportare di essere lontano da te e dai nostri figli."

Gli afferrai la mano, stringendola. "Lo farà," dissi, cercando di credere nelle mie parole. "Troveremo un modo."

La tensione nella stanza si fece insostenibile mentre Léonard si preparava a partire per l'Italia. Lo osservai mentre si vestiva, il suo volto teso e le spalle curve come se portasse un peso troppo grande. "Devo andare," disse con una voce piatta, come se cercasse di convincere se stesso più di me. "Léonard, per favore..." iniziai, ma lui alzò una mano, interrompendomi.  "Non voglio più discutere. Ho già preso la mia decisione." Si avvicinò alla porta, ma si fermò un attimo, voltandosi verso di me. "I nostri figli hanno bisogno di un padre presente. Ma tu non puoi capire cosa significhi essere separati dalla famiglia. Non lo hai mai dovuto affrontare."

Le sue parole mi ferirono, ma non potevo replicare. "Lo so che è difficile," dissi, la voce tremante. "Ma è per il bene della famiglia. Non possiamo permetterci di mettere a rischio il futuro dei nostri figli."

"Il futuro?" ripeté, il sarcasmo evidente. "Sei così presa dal tuo ruolo di regina che hai dimenticato chi siamo. Io non sono solo un principe consorte. Sono tuo marito, e come tale, ho il diritto di essere parte della vita dei miei figli."

"E io ho il diritto di governare qui, per garantire la stabilità necessaria!" Esclamai, la frustrazione che cresceva dentro di me. "Non possiamo avere tutto, Léonard. Questo è ciò che ci hanno insegnato."

Léonard scosse la testa. "No, non voglio accettare questa nuova realtà. Non stai solo proteggendo i nostri figli; stai anche isolando me."

Mi sentii impotente mentre lo guardavo dirigersi verso la porta. "Tornerò," promise, ma le sue parole suonavano vuote. "E spero che quando lo farò, tu possa accogliere me, non solo il principe regnante dell'Italia."

Con un ultimo sguardo, uscì dalla stanza, lasciandomi sola con i miei pensieri e il peso delle sue parole. La porta si chiuse lentamente dietro di lui, e un silenzio opprimente riempì la stanza. Rimasi ferma per qualche istante, cercando di elaborare le emozioni contrastanti che mi attanagliavano. La paura per la sua assenza si mescolava con la determinazione a fare ciò che era giusto per i nostri figli. Ma, in quel momento, tutto ciò che potevo sentire era un profondo senso di solitudine.

Il tempo passava lentamente, e mentre mi preparavo ad affrontare i giorni che sarebbero seguiti, mi resi conto che avrei dovuto trovare la forza dentro di me per guidare la Danimarca e mantenere unita la mia famiglia, nonostante la distanza che ci separava.

Smith's: The MarriageDove le storie prendono vita. Scoprilo ora