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Quella notte, esausta dalle emozioni e dal lungo viaggio, mi addormentai in una delle stanze del castello che mi era stata assegnata. Il freddo si insinuava sotto le coperte nonostante il fuoco che ardeva nel camino. Mi avvolsi più stretta nel mantello, cercando di scacciare la sensazione di gelo che sembrava venire da dentro.

Nel sogno, mi trovai in un luogo che non riconoscevo. Il terreno era scuro, quasi nero, e l'aria densa e pesante. Di fronte a me, una figura si ergeva nell'ombra, avvolta in un mantello scuro, gli occhi due pozzi profondi che sembravano risucchiare ogni luce. Il cuore mi batté più forte mentre mi avvicinavo, riconoscendo, anche se non l'avevo mai incontrato, chi fosse.

Era il dio dei morti. Avevo sentito le leggende, le storie sussurrate dai vecchi nelle notti d'inverno, ma mai avrei pensato di trovarmi di fronte a lui. Era una presenza maestosa, ma non terrificante, come se la morte stessa fosse una forza inevitabile, ma non malvagia.

"Elena," disse la figura, la sua voce rimbombante e fredda come il vento del nord. "Ti sei preparata al tuo destino?"

Deglutii, cercando di raccogliere il coraggio per rispondere. "Sono pronta, se è ciò che è necessario. Ma mia nonna... la sua ora non è ancora arrivata."

Il dio scosse la testa lentamente, come se stesse scuotendo via le illusioni. "Tua nonna è una donna che ha visto e conosciuto cose che pochi mortali possono comprendere. Il suo tempo su questa terra sta terminando, e lei lo sa. Non puoi fermare ciò che deve avvenire."

"Ma perché proprio ora? Perché non può restare ancora un po'? Ha ancora tanto da insegnarmi."

La figura avanzò di qualche passo, la sua presenza sempre più opprimente. "La vita e la morte non possono essere trattate come strumenti nelle mani degli uomini. Ci sono equilibri che devono essere mantenuti, e non tutto ciò che desideri può essere concesso."

Sentii una stretta al petto. "E io? Cosa devo fare? Come posso prepararmi a perdere qualcuno che amo?"

Il dio si fermò, il suo sguardo penetrante su di me. "La morte non è una fine, ma una trasformazione. Tua nonna non ti lascerà mai davvero, Elena. Sarà sempre parte di te, nelle tue decisioni, nei tuoi sogni e nelle tue paure. E quando sarà il momento, troverai la forza che ti ha trasmesso."

Mi svegliai di colpo, il respiro affannoso e il corpo sudato nonostante il freddo. Mi sedetti sul letto, il cuore ancora martellante. Il sogno era stato così vivido, così reale. Le parole del dio continuavano a risuonare nella mia mente, e un senso di pace e terrore mi attraversava simultaneamente. Guardai fuori dalla finestra. La neve continuava a cadere, ma nel buio della notte mi sembrava che anche il mondo stesse trattenendo il respiro, come se sapesse che un cambiamento stava arrivando, inevitabile come la morte stessa.

Stavo ancora cercando di riprendermi dal sogno, quando un lieve bussare alla porta mi fece sobbalzare. Mi avvolsi meglio nella coperta e, con un leggero tremore, invitai chiunque fosse a entrare. La porta si aprì lentamente, e un uomo in uniforme, uno dei servitori reali, fece il suo ingresso. Il suo volto era cupo, le spalle leggermente ricurve come se il peso della notizia che portava fosse troppo da sopportare. Il silenzio nella stanza diventò opprimente.

"Maestà," esordì con una voce sommessa, quasi come se stesse cercando di non spezzare un equilibrio precario. "Sono profondamente dispiaciuto di doverle dare questa notizia."

Mi alzai dal letto, sentendo il cuore accelerare, già consapevole di quello che stava per dire, ma non riuscendo a prepararmi davvero. Le sue parole, come un eco lontano, mi colpirono. "La regina Aurora... è morta durante la notte."

Il gelo che avevo sentito nel sogno tornò con una violenza improvvisa, stringendomi il petto. Mi sentii come se il mondo stesse crollando intorno a me, come se tutto fosse improvvisamente privo di senso. Mia nonna, l'unica persona che aveva sempre saputo cosa fare, che mi aveva guidata attraverso le tenebre delle incertezze e delle difficoltà, non c'era più.  "Quando?" riuscii a chiedere, la mia voce rotta e quasi irriconoscibile.

"Poco prima dell'alba, maestà. I medici hanno fatto tutto il possibile. È stata circondata dai suoi consiglieri e dalla sua dama di compagnia."

Un nodo soffocante mi si formò alla gola. Mi sentii travolta da una serie di emozioni: dolore, rabbia, impotenza. Ero arrivata troppo tardi. Non avevo potuto salutarla, non avevo potuto tenerle la mano durante i suoi ultimi istanti. Il rimpianto mi divorava.

L'uomo attese, in rispettoso silenzio, aspettando un mio cenno. Non riuscivo a muovermi, come paralizzata dal peso della realtà. Alla fine annuii, ringraziandolo con un gesto tremante della mano. Lui fece un inchino e uscì silenziosamente, lasciandomi sola nella stanza. Crollai sul letto, sentendo le lacrime che finalmente scendevano liberamente. Le parole Ade tornarono nella mia mente: "Tua nonna non ti lascerà mai davvero, Elena. Sarà sempre parte di te."

Ma in quel momento non c'era consolazione in quelle parole. La mia mente sapeva che dovevo andare avanti, che dovevo assumere il ruolo che mia nonna aveva sempre voluto per me. Ma il mio cuore era spezzato. La sua assenza, il silenzio che ora regnava al suo posto, sembrava riempire ogni angolo del castello. E io, nel cuore della notte danese, mi sentivo più sola che mai.

Le prime luci dell'alba filtravano attraverso le pesanti tende della mia stanza, ma il loro calore non riusciva a penetrare il gelo che sentivo dentro di me. Mi alzai lentamente dal letto, ancora intorpidita, e con mani tremanti cercai il vestito nero che la mia dama di compagnia aveva già preparato. Era pesante, di un tessuto rigido che sembrava fatto per sopportare il dolore e il lutto. Mi vestii in silenzio, ogni gesto accompagnato dal mormorio dei miei pensieri. Non riuscivo a smettere di pensare all'ultima volta che avevo visto mia nonna. Forte, determinata, anche se invecchiata. Aveva mantenuto quella dignità che sempre l'aveva contraddistinta, e ora tutto ciò che restava di lei era un corpo senza vita. Il dolore si acuì al pensiero, ma sapevo che dovevo essere forte. Dovevo onorarla.

Mi avvolsi in uno scialle scuro e, con un respiro profondo, aprii la porta della mia stanza. La mia dama di compagnia era lì, pronta ad accompagnarmi, il volto contratto in un'espressione che rifletteva la mia stessa sofferenza. Nessuna di noi disse una parola. Non c'era bisogno. Le nostre azioni parlavano più di qualsiasi parola. Attraversammo i lunghi corridoi del castello, ogni passo rimbombava nel silenzio, come se anche le mura stessero rendendo omaggio alla regina scomparsa. Le luci delle candele tremolavano lungo le pareti, proiettando ombre che sembravano danzare nel dolore. Il mio cuore martellava nel petto, ogni battito sembrava avvicinarmi sempre di più all'inevitabile.

Arrivammo infine alla sala dove giaceva mia nonna. Due guardie si trovavano davanti alla porta, le spade abbassate in segno di rispetto. Quando ci videro arrivare, si inchinarono e aprirono lentamente l'entrata. Una lieve brezza fredda mi colpì il viso, quasi a ricordarmi che la vita, per lei, era finita. Dentro la stanza, la regina Aurora giaceva in un letto semplice, il suo volto pallido e tranquillo, come se stesse semplicemente dormendo. La sua espressione non mostrava sofferenza, solo pace. Il corpo era avvolto in una veste regale di seta nera, i capelli grigi accuratamente pettinati. Il silenzio nella stanza era assoluto, interrotto solo dal leggero crepitio delle candele che illuminavano la scena. Mi avvicinai lentamente al letto, ogni passo un tormento. Quando finalmente le fui accanto, mi chinai su di lei, prendendo la sua mano fredda tra le mie. "Nonna," sussurrai, la voce incrinata dalle lacrime che avevo trattenuto per troppo tempo. "Sono qui. Mi dispiace di non essere arrivata prima..."

Le lacrime finalmente scesero, senza freno. Sentivo la gola stringersi e il peso del mondo sulle mie spalle diventava sempre più schiacciante. Ma anche in quel momento di disperazione, un pensiero mi attraversò la mente: la sua eredità ora era mia. Tutto ciò che aveva costruito, tutto ciò che aveva sacrificato, era ora nelle mie mani. Mi accasciai vicino al suo corpo, le mani che stringevano ancora le sue. "Ti prometto che farò ciò che tu avresti voluto. Terrò unita la nostra famiglia e governerò come mi hai insegnato."

Rimasi lì per qualche minuto, cercando conforto in quella vicinanza, anche se ormai non c'era più vita in lei. Ma c'era qualcosa di eterno nella sua presenza, una forza che avevo sempre ammirato e che ora sentivo passare a me, anche nel momento del suo addio. Mia nonna avrebbe voluto che io rimanessi forte. Con un ultimo sguardo alla sua figura serena, mi voltai e lasciai la stanza, pronta a portare avanti il suo lascito.

Smith's: The MarriageDove le storie prendono vita. Scoprilo ora