24.

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La cena per i nobili viene servita in un ristorante separato, lontano dagli occhi curiosi dell'equipaggio e degli altri passeggeri. L'ambiente è raffinato, con luci soffuse e il tintinnio delle posate che riempie l'aria. Il cameriere che ci serve è affascinante, alto e con la pelle color caramello. I suoi ricci scuri incorniciano un viso dai lineamenti gentili, e mentre mi porge il bicchiere di vino, non posso fare a meno di notare quanto sia attraente. "Ti sei divertita oggi?" chiede Leonard con un tono che tradisce una leggera irritazione. Mi guarda con un'espressione gelida, gli occhi che si stringono mentre aspetta la mia risposta. "Sì," rispondo con un sorriso malizioso. "E più tardi andrò a ballare nella discoteca della nave."

"Assolutamente no," ribatte immediatamente, la sua voce dura come una lastra di marmo. Lo guardo, alzando un sopracciglio. "Non ti ho chiesto il permesso."

La tensione tra di noi cresce in un attimo, visibile nei suoi occhi scuri e nell'irrigidimento della sua mascella. "So bene cosa fai in discoteca," continua Leonard, il suo tono ormai glaciale. "O ti sei già dimenticata dove ci siamo conosciuti? O come ti comportavi con Marcus?"

Il suo nome mi fa trasalire, ma non lascio che il mio viso tradisca la reazione. "Non ho fatto nulla di sbagliato," ribatto, cercando di mantenere la calma. Ma dentro di me il fuoco sta iniziando a bruciare. "Questo comportamento non si addice a una duchessa," continua lui, la voce che mi perfora come un pugnale. Gli fisso gli occhi, sfidandolo. "So benissimo cosa mi si addice," dico con un sussurro freddo, alzandomi lentamente dalla sedia. "E andrò a ballare stasera. Se provi a rovinarmi la serata con la tua ridicola gelosia, giuro che ti rovinerò la vita. Ricordati, Leonard, che senza di me tu non avresti mai visto né un titolo, né una corona."

Lasciandolo senza parole, mi giro e mi dirigo verso la cabina. Ogni passo rimbomba nelle mie orecchie come un tamburo, il cuore che batte furiosamente contro il petto.

Nella mia cabina, mi preparo con cura, decisa a lasciare Leonard alle sue paranoie. Estraggo il vestito arancione fluo che mi sono portata per occasioni come questa. È corto, con due audaci tagli ai lati, aderente in ogni curva e con uno scollo a cuore che solleva e valorizza il mio seno in modo impeccabile. I tacchi neri slanciano le mie gambe e raccolgo i capelli in una coda alta, lasciando il viso libero. Il trucco è semplice, quasi neutro, ma perfetto per la serata. Mentre mi guardo allo specchio, pronta a uscire, sento Leonard entrare nella stanza. Non ho bisogno di voltarmi per sapere che è ancora arrabbiato. "Prima che esci, voglio che indossi questa," dice con voce ferma, tirando fuori qualcosa dalla tasca. Mi volto e il mio stomaco si gela. Tra le sue mani c'è una cintura di castità. Lo fisso incredula. "Stai scherzando, vero?"

"No," risponde senza un'ombra di esitazione. "Non mi fido di te, né della gente che si trova a bordo di questa nave. O la indossi, o ti chiudo in camera."

Il mio cuore batte all'impazzata. "Non puoi farmi questo," sussurro, la voce che si spezza mentre sento le lacrime gonfiarsi nei miei occhi.  Leonard mi guarda senza pietà. "Invece, posso. Quell'anello al tuo dito dice che posso," risponde, mostrandomi il grande diamante che mi ha messo quando ci siamo sposati. Ogni sua parola cade su di me come un macigno. "Leonard, ti prego..." cerco di implorare, la voce appena udibile, ma non gli importa. "Hai già una brutta reputazione," dice gelido, senza distogliere lo sguardo.

Poi, con una calma inquietante, mi alza la gonna e, senza un secondo di esitazione, mi stringe la cintura di castità sulla pelle, chiudendola con un lucchetto. Il freddo metallo mi morde, la sua presenza intollerabile. Sento il click della chiave nella serratura e Leonard infila la chiave nel taschino della giacca, con un'espressione che non lascia spazio a discussioni. "Adesso puoi andare," dice semplicemente, come se nulla fosse accaduto.

Mi guardo allo specchio, la luce dei miei occhi ormai offuscata dalle lacrime non versate. Mi volto verso la porta, ma sento il peso della sottomissione gravarmi addosso come una catena invisibile. Con le gambe tremanti, lascio la stanza, il suono dei miei tacchi che rimbomba nel corridoio vuoto, accompagnato dal dolore della mia dignità frantumata. Faticando nei movimenti raggiungo la camera dei miei amici al piano di sotto. Il fastidio svanisce dopo poco ma il pensiero di averla mi fa male.

Smith's: The MarriageDove le storie prendono vita. Scoprilo ora