43. No matter what.

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Tutti conosciamo perfettamente quelle sensazioni che proviamo appena ci risvegliamo da un incubo: respiro pesante, un po' di tremore che ti percorre il corpo, uno stato di confusione che ti impedisce di ragionare lucidamente.

Forse è proprio la sensazione di sentirsi disorientati a giocare il ruolo maggiore: a volte non sai se si tratta davvero di un brutto sogno, o di uno spiacevole ricordo che è passato a farti visita nel sonno, quando, si sa, tutti i tuoi pensieri più profondi prendono vita nel tuo inconscio. E non li puoi comandare in quegli istanti.

Motivo per cui, quando riapro lentamente gli occhi, lottando contro quella fottutissima luce abbagliante e fastidiosa appesa al soffitto, vorrei solamente essermi immaginata tutto.

Essermi solamente sognata di vivere una situazione che mi ha sempre procurato angoscia, che si nascondeva fitta nei meandri della mia testa. Quei meandri che racchiudono le mie apprensioni maggiori, quelle circostanze che nessuno dei due desidererebbe mai si avverassero contro la nostra volontà.

Invece, qualche sottile e superficiale graffio a marchiare le braccia, il mio corpo indolenzito, e la sensazione di qualcosa appiccicato alla mia guancia sinistra mi riportano alla rude realtà dei fatti.

Senza ripensamenti, senza pensare alle conseguenze. Queste erano i patti, così stabiliti perché non avevamo altre alternative migliori.

Entrambi eravamo consapevoli che non sarebbe finita nel migliore dei modi. Era inevitabile questa condizione, come questa netta conseguenza.

Non capirò mai perché io e quel ragazzo finiamo sempre per completarci a vicenda, anche nella peggiore delle circostanze, quando nessuno penserebbe a cosa se ne ricaverebbe davvero di buono e utile da un'esperienza simile.

Cosa c'è di meglio di lottare, fingendo una sicurezza che in realtà non provi, fino a ferirsi?
Se ci tieni a qualcuno, non lo ferisci in nessun modo.
Giusto?

Dio, è così sbagliato essere egoisti a volte? Sono queste le conseguenze delle azioni che decidi anche per qualcun altro, anche se a fin di bene?

Sbatto ripetutamente le palpebre per mettere a fuoco l'ambiente che mi circonda: una saletta non eccessivamente grande dalle pareti grigie, alla mia sinistra la vetrata trasparisce il cielo cupo del tardo pomeriggio, quella palla di fuoco nel cielo che comincia a far perdere le sue tracce in vista del buio in arrivo.

Appoggio i gomiti sopra a quel letto, dal materasso bianco, in cui mi ritrovo distesa, a fatica reggo la pressione e lo sforzo applicato per rialzarmi.

Il mio corpo è davvero spossato, e non ricordo né come ci sono arrivata qui né chi mi ci ha portata.
L'ultima immagine che ricordo era un ammasso di ghiaccio rivoltomi contro. Un forte impatto, come se il mio corpo fosse stato sbalzato via all'urto. Poi il buio. Credo di aver perso i sensi a lungo.

Non mi accorgo subito che la mia mano destra sta trattenendo qualcosa. Ogni singola parte di me è così indolenzita da non percepire nemmeno un contatto esterno. Un'altra mano ha racchiuso in una morsa la mia, intrecciando le nostre dita. Riconosco quel gesto, e riconoscerei la persona a cui appartiene quella mano anche ad occhi chiusi.

Ancora una volta, è qui. Al mio fianco, nonostante siamo entrambi reduci da una situazione che dire che fa schifo è ancora un complimento.

La sua testa chinata di lato, i suoi capelli che gli ricoprono metà del suo viso, dove intravedo i suoi occhi chiusi, immersi in un sonno profondo, come il suo respiro.

Chissà da quanto tempo è qui, addormentato sopra a quella sedia a fianco del letto in cui sono stata riposta, ma di sicuro non è ancora rientrato al dormitorio in agenzia. Indossa ancora il costume blu dall'esercitazione avvenuta in mattinata.

𝘼𝙧𝙙𝙚𝙣𝙩𝙡𝙮 {Todoroki x Reader, My Hero Academia}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora