Capitolo 15

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Quando aprì gli occhi il sole era già alto nel cielo, e i suoi raggi le finivano dritti in viso, costringendola a strizzare le palpebre.
Non si ricordava molto della sera precedente, anzi non ricordava proprio nulla, non sapeva nemmeno come fosse arrivata in camera.
Quando finalmente il suo sguardo si adattò alla luce riuscì a distinguere i suoi genitori seduti ai piedi del letto, Howard che sembrava star calmando loro madre e Raphael che le dava le spalle, guardando fuori dalla finestra. La nonna era seduta lì vicino, e di fianco a lei stava Daniel, con Frederick alla sua destra, che diceva qualcosa che in quel momento le sembrò incomprensibile. Sulla soglia della porta stavano i suoi zii.
Santo Cielo! Che diavolo ci faceva la sua intera famiglia riversata nella sua stanza?
"Perché siete tutti qui?!" Esclamò, tirandosi a sedere: la testa prese a girarle pesantemente.
"Juliet!" Dissero loro tutti insieme, chi era seduto si tirò di scatto in piedi.
"Oh, tesoro ti sei svegliata" sua madre aveva la voce rotta, e Juliet si rese conto solo in quel momento che aveva le guance e gli occhi umidi.
"Sorella dovresti stenderti nuovamente" Howard corse quindi al suo fianco "il dottore ha detto..."
"Il dottore?".
Che stava succedendo quella mattina?
Per un momento tutti rimasero in silenzio, poi la nonna prese la parola:
"Juliet sei svenuta ieri sera, non ricordi?" Chiese quindi.
Lei scosse la testa, mentre il fratello le sistemava i cuscini, per poi farla sdraiare di nuovo.
"Non ricordo ciò che è successo ieri" mormorò, studiando gli sguardi dei suoi parenti, sembravano tutti preoccupati "Che ore sono?"
"Le due e mezza, ci hai fatto preoccupare molto Juliet" le rispose suo padre, dopo aver dato un'occhiata all'orologio da taschino che portava sempre con sé.
Rimase in silenzio, non sapeva che dire, non sapeva nemmeno che cosa fosse accaduto, da dopo che Edward l'aveva baciata c'era soltanto il vuoto.
Arrossì violentemente ripensandoci: era stato più passionale, più profondo questa volta, non credeva nemmeno che si potesse essere baciati in quel modo.
"Juliet hai le guance arrossate" disse Raphael, avvicinandosi, come a volerla osservare meglio.
"Forse le sta salendo la febbre" affermò lo zio Miles, mentre sua moglie annuiva, scambiandosi un'occhiata preoccupata con le cognate.
Howard le poggiò subito la mano sulla fronte, per misurarle la temperatura.
"Sto bene!" Sbottò lei, non voleva avere tutta la famiglia intorno ad ipotizzare possibili malanni.
"La temperatura mi sembra normale" replicò il fratello in tono calmo.
"Forse sarebbe più sicuro chiamare il medico" propose lo zio Michael, la nonna annuì, per la prima volta d'accordo con lui dal suo ritorno.
"Come dico sempre è meglio prevenire che curare" la contessa fece per uscire dalla stanza, bloccata però dalla voce della nipote:
"Ho detto che sto bene" ripetette, sperando che la donna si decidesse a non chiamare il dottore, odiava essere visitata, avere le mani viscide di quell'ometto addosso: riteneva che la toccasse sempre più del dovuto "Mi serve solo un po' di riposo."
I suoi familiari annuirono, lasciando quindi la stanza, chiudendosi la porta alle spalle.
Juliet sospirò, fissando per qualche momento il soffitto: forse avrebbe dovuto tornare a dormire, ma oramai non aveva più sonno.
Uno dei diari del nonno era poggiato sulla sua scrivania, proprio davanti al letto, solo a qualche passo di distanza. Non era però certa che sarebbe stata stabile sulle gambe, ma dopotutto tentar non nuoce, no?
Si tirò lentamente in piedi: le girava un po' la testa, ma era convinta che sarebbe riuscita a fare qualche passo. Arrivò davanti alla scrivania, appoggiando le mani su di essa, afferrando quindi il volume, per poi tornare a letto.
"Allora, dove eravamo rimasti?" Parlò fra sé e sé, cercando una posizione comoda per leggere "Ah sì, naturalmente: alla tomba."
Era il punto in cui il nonno esprimeva alcune perplessità riguardo alla struttura di quell'edificio funerario: la pianta era molto strana, sembrava mancasse una camera e nessuno dei suoi collaboratori sembrava trovarvi una spiegazione. Probabilmente un'anomalia casuale, per qualche ragione quella tomba era stata costruita in quel modo, e non c'era da porsi troppe domande.
O forse ci stiamo perdendo qualcosa che in realtà si trova proprio sotto i nostri occhi, qualcosa invisibile ai nostri occhi di uomini del presente, troppo accecati dal sentirci superiori rispetto a quelli che ci hanno preceduto.
Quelle erano le parole di Joseph, parole che risuonavano di continuo nella testa di Juliet ogni volta che leggeva quel passaggio, era un'opinione che in pochi si sarebbero azzardati a mettere per iscritto: ogni periodo porta con sé delle novità, la civiltà si evolve, ci sono nuove invenzioni, ma questo non vuol dire che ciò che è stato prima fosse peggiore, non sempre è così, la storia stessa lo dimostra.
Crederci migliori di chi c'è stato prima di noi, scordandosi del passato perché considerato inutile, ci porta solo a commettere gli stessi errori, l'umanità è destinata a ripetersi.
In ogni caso sapere che forse quella tomba costudiva ancora qualche segreto la spingeva sempre di più a voler intraprendere un viaggio per l'Egitto, perché se davvero c'era qualcosa da scoprire in quel luogo voleva essere lei a farlo, a portare avanti l'eredità del nonno.
Continuò la lettura, e nel momento in cui veniva spiegato come la tomba sembrasse appartenere ad una coppia di sposi Juliet tornò improvvisamente alla realtà: si sarebbe sposata? Edward aveva intenzione di chiederla in moglie?
Si ricordò all'improvviso del perché l'avesse baciata: gli aveva chiesto se fra di loro ci fosse qualcosa, lui aveva replicato che c'era soltanto un modo per darle una risposta, e le sue labbra avevano accarezzato nuovamente quelle di lei, dunque se quello era il suo responso voleva dire che realmente provava qualcosa per lei.
Juliet fu sul punto di lasciarsi cadere il diario dalle mani, e mettersi a saltellare allegramente per la stanza, canticchiando una qualche melodia, e probabilmente l'avrebbe fatto se la testa non avesse preso a girarle violentemente ad ogni movimento troppo azzardato.
Una lieve risata però le sfuggì dalle labbra: sarebbe andato tutto bene, n'era certa.
In quel momento qualcuno bussò e, dopo che lei ebbe dato il permesso, Camille fece capolino dalla porta.
"Salve signorina, state meglio?" Le domandò prima di tutto, con un sorriso premuroso sul volto.
"Sì, molto meglio" rispose lei, quasi sul punto di raccontarle ogni cosa: dei baci, dei suoi sentimenti, dei sentimenti che di certo Edward provava per lei, ma non ne ebbe l'occasione, visto che la domestica aggiunse proprio in quel momento:
"Lord Stamford è qui fuori, vorrebbe parlarvi."
"Lord Stamford?" Il suo sguardo si illuminò, forse il momento era giunto, la cameriera annuì.
"Lo faccio entrare?"
"Sì, grazie Camille, e socchiudi la porta, lasciala aperta quel che basta per evitare scandali, e resta qui davanti" la istruì quindi, e quella fece proprio come l'era stato detto.
Si rese conto all'improvviso di essere certamente in condizioni pietose, e nessuno all'infuori della famiglia avrebbe dovuto vederla in quel modo, forse avrebbe dovuto quantomeno cambiarsi ora che si sentiva bene, indossare qualcosa di più accettabile durante una visita che la sua camicia da notte, ma ormai era troppo tardi, per di più di cose inaccettabili con Edward ne aveva già fatte, probabilmente doveva soltanto smetterla di preoccuparsi.
Che cosa aveva ormai da perdere? Di certo gran parte della sua dignità era andata, e anche se le fosse stato imposto un matrimonio riparatore Juliet non sarebbe stata dispiaciuta, dopotutto il suo unico intento soltanto pochi giorni prima era stato cercare di avere una proposta proprio dal conte, utilizzando ogni metodo possibile. Dopotutto Machiavelli non aveva detto che il fine giustifica i mezzi?
"Miss Byrne, spero stiate meglio" disse lui, entrando, trascinando quindi la sedia su cui poco prima era stata seduta la nonna vicino al suo letto, sedendosi poi in attesa di una risposta, con lo sguardo che le appariva preoccupato.
"Sto meglio" rispose lei, rivolgendogli un sorriso, tirandosi poi a sedere e riponendo il diario del nonno sul comodino.
Edward la osservò, gli occhi che vagavano su tutto il corpo di lei, e Juliet si tirò di scatto le coperte su fino alle spalle, arrossendo: non importava quello che si diceva, era troppo imbarazzante trovarsi in quelle condizioni con un uomo che non era un suo familiare, non importava che quest'ultimo sarebbe potuto diventare suo marito, forse aveva conservato un po' di dignità dopotutto.
Lord Stamford aprì la bocca, ma la richiuse subito dopo, senza dire una parola per un tempo che a Juliet sembrò fin troppo lungo.
"Perché siete passato?" si ritrovò quindi a dire per riempire quel silenzio.
"Oh" Edward sembrò riscuotersi soltanto in quel momento, scrollando le spalle "io... volevo accertarmi che stesse meglio."
"E?" Juliet era convinta che avesse qualcos'altro da dirle, qualcosa da chiederle più nello specifico: insomma, l'aveva baciata di nuovo, significava qualcosa, lui stesso glielo aveva detto.
Edward capì quello che lei voleva, e, per l'amor di Dio, era ciò che voleva anche lui, l'unica cosa che ormai sognava da settimane, quella che sembrava, in quel momento, la sua unica ragione di vita.
Aveva l'anello in tasca, come sempre, sarebbe bastato tirarlo fuori e pronunciare quella formula oramai ben consolidata, e anche un po' magica, che tutti usano nel chiedere la mano ad una donna, e poi lei sarebbe stata sua, non era proprio questo ciò che desiderava?
L'aveva baciata, l'aveva baciata più volte santo cielo! Non aveva più scuse, la prima volta forse avrebbe potuto inventarsi qualcosa, ma la seconda no, la seconda era stata una vera e propria conferma dei suoi sentimenti, ma non era ancora soddisfatto, voleva sentire quelle labbra sulle sue ancora e ancora, all'infinito. Voleva poterla stringere fra le braccia, risvegliarsi con lei al suo fianco al mattino, e sentirla parlare di storia, con le sue strane teorie, sentirla suonare e cantare, vederla leggere tranquillamente in biblioteca, lasciare che l'essenza di lei impregnasse la casa, che riuscisse finalmente a riempire il vuoto della sua abitazione, portando un po' di luce.
Dopo la morte di suo padre nel suo petto il cuore aveva smesso di battere ed era diventato freddo, ma da quando Juliet era entrata realmente nella sua vita questo aveva ripreso a funzionare, si era man mano riempito di un dolce calore.
Lei era l'angelo che gli aveva ridato la vita.
Chi era stato a dirgli che a volte gli angeli si travestono da passanti per aiutare i bisognosi? Forse la stessa Lady Halifax...
In ogni caso Juliet era il suo angelo, l'aveva salvato, n'era certo.
Nel riflettere su tutto questo dovette però aver perso tempo prezioso, forse addirittura qualche minuto dove era rimasto immobile senza dare una risposta alla ragazza, che aveva distolto lo sguardo con aria delusa.
Ritrasse la mano dalla tasca.
"Oggi è una giornata meravigliosa" disse lei, cambiando argomento, pensando che doveva solo avere pazienza, che sarebbe bastato aspettare e la proposta sarebbe arrivata.
Juliet cercava disperatamente di convincere se stessa, con scarsi risultati: se ciò non si fosse avverato come sarebbe finita quella sua misera esistenza?
"Avrei voglia di uscire per una passeggiata, di certo l'aria di campagna mi farà bene dopo... il mio improvviso malore di ieri sera, se non vi dispiace aspettare per qualche istante qui fuori potreste accompagnarmi Milord" all'esterno appariva completamente calma, ma dentro mille urla disperate le risuonava nella testa.
"Ne siete certa? Non vorrei che..."
"Come ho già detto prima mio signore, sto molto meglio ora" lo interruppe lei, fulminandolo con lo sguardo: forse non avrebbe ricevuto una proposta da lui, ma di certo non si sarebbe fatta mettere i piedi in testa.
Teneva lei il coltello dalla parte del manico: quella era la sua vita, a discapito di quello che chiunque altro avrebbe voluto farle credere, e sarebbe stata lei a prendere una penna in mano per scrivere la sua storia.
"Va bene" mormorò lui, alzandosi e rimettendo la sedia al suo posto, lasciando poi la stanza. Subito dopo Camille raggiunse la padrona, chiudendosi la porta alle spalle.
Le rivolse un sorriso fiducioso:
"Allora?" Le chiese, immergendo un panno morbido nell'acqua fresca, avendo intuito che quella visita non poteva che significare qualcosa, qualcosa di importante.
"Niente" rispose l'altra, sussultando leggermente quando la cameriera le passò l'asciugamano freddo sul viso, così da eliminare definitivamente i segni della stanchezza "Niente di niente!" Esclamò dunque, sempre più irritata: avrebbe voluto lanciare qualcosa contro la parete.
Scosse poi la testa: doveva aspettare, ricordò a se stessa.
"Forse devo avere un po' di pazienza" aggiunse quindi, inspirando profondamente, non che avesse alternative.
"La pazienza è una grande virtù... Forse vuole soltanto organizzare qualcosa di più romantico, sorprendervi insomma" la rassicurò Camille, senza avere una benché minima idea di ciò che diceva, non sapeva se un'affermazione del genere potesse avere un minimo di fondamento.
In ogni caso Juliet sembrò risollevarsi leggermente.
"Spero tu abbia ragione" sospirò.
Scelse dunque un abito turchese, che aveva anche un bel cappellino in coordinato, lo indossò con l'aiuto della cameriera, che subito dopo le spazzolò e acconciò elegantemente i capelli.
All'ultimo momento decise di indossare anche la collana con l'occhio di Horus che il nonno le aveva regalato, probabilmente una parte di lei pensava le potesse portare fortuna, in ogni caso quello fu per lei un record: non si era mai vestita tanto in fretta.
Edward sorrise alla sua vista e le porse il braccio.
"Appoggiatevi pure del tutto a me se doveste..." disse una volta arrivato alle scale, per un momento in realtà si chiese se non sarebbe stato più sicuro prenderla in braccio.
"Vi ho detto che sto bene!" Sbottò lei, interrompendolo: perché nessuno pareva ascoltarla su quella questione? "Sto bene" ripetette fermamente e con più calma, quindi con passo sicuro si avviò giù per i gradini, lasciando il braccio di Edward.
Lui fece per bloccarla, aprì la bocca per dire qualcosa, ma la richiuse prima di poter emettere un qualsiasi suono: sarebbe stato inutile, Howard gli aveva specificato che la sorella era una terribile testarda. Non importava se stesse male, se la testa le girasse fortissimo o se avesse rischiato di farsi male: avrebbe sceso quella scala senza nessun aiuto perché così aveva deciso. La lasciò quindi fare, restandole però abbastanza vicino da poterla afferrare nel caso fosse caduta.
"Visto?" Disse lei con un tono di voce sfrontato una volta giunta in fondo alla scalinata, serrando le mani sui fianchi.
"Non ho mai dubitato che sareste riuscita nella vostra impresa" le disse con tono ironico, riprendendola sotto braccio.
"Mi prendete in giro, Milord?"
"Non mi permetterei mai."
"Continuate dunque?"
"Cercavo di essere gentile" scrollò le spalle.
"Allora dovreste proprio smettere di parlare, cucitevi la bocca."
Fece proprio come gli era stato ordinato, non aprì più la bocca, si limitò ad osservare il bel profilo della ragazza.
Era bellissima, con quei lineamenti delicati, che sembravano essere stati tracciati dalla mano esperta di un pittore, gli rammentarono la morbidezza delle statue di Canova.
All'improvviso tentò di immaginarsi il suo corpo per intero, non avvolto dai vestiti, come soltanto ad un marito sarebbe stato concesso vederlo: doveva essere perfetto, come quello di un'opera greca.
Per poco non arrestò improvvisamente i suoi passi: Howard avrebbe già dovuto sfidarlo a duello, toglierlo di mezzo subito, al primo allarme, perché più passava il tempo più la mente di Edward iniziava a vagare, immaginando tutte le cose che avrebbe potuto farle, il più delle quali probabilmente non sarebbero nemmeno state considerate lecite, e il momento in cui la fantasia si sarebbe trasforma in realtà si avvicinava ogni secondo di più.
Il filo del suo onore si sarebbe definitivamente spezzato.
"Lord Stamford, temo che ora siate voi a star male: siete completamente sbiancato" disse Juliet, studiando l'espressione di lui, cercando di capire che cosa l'avesse improvvisamente preoccupato così tanto.
"Sto bene" scosse la testa, cercando di scacciare dalla testa quell'immagine, che mai avrebbe dovuto tentare di figurarsi.
No, non stava di certo bene, Juliet n'era convinta, ma decise di non contraddirlo, come non piaceva a lei probabilmente non piaceva nemmeno a lui.
"Sembra abbiate visto un fantasma" commentò quindi, fermandosi e fissando Edward negli occhi, forse sperava di scorgervi una risposta.
"Oh, no, nessuno spettro ve lo assicuro" le rivolse un sorriso "Forse dovreste informarmi su qualche morte funesta in questa casa? Qualche spirito irrequieto sapete, no?"
"Non saprei dirvi in realtà, non ho mai provato a studiare gli archivi di Hathor House, quindi non sono al corrente di certi avvenimenti, ma forse dovrei dare un'occhiata, e state certo che sareste il primo che informerei nel caso della presenza di un qualche spirito."
Ripresero quindi a camminare, e giunsero alla biforcazione che, se imboccato il sentiero di destra, portava alla statua di Poseidone sul laghetto, il suo piccolo posto speciale.
Decise quindi di dirigersi proprio lì, dopotutto, pensò, se Camille diceva il vero, e quindi il conte aspettava a farle la proposta per trovare il momento giusto, era convinta che in quel modo avrebbe creato la situazione perfetta.
"Non ero mai stato in questa parte dei giardini" osservò Edward, che non aveva nemmeno idea dell'esistenza di quel luogo così incantevole e quasi fatato, sedendosi dunque sulla panchina.
"Diciamo che è il mio luogo speciale" sussurrò lei come se volesse che quello restasse un segreto fra loro due.
Edward si rese conto quasi subito che non sarebbe mai riuscito a rinunciare a quella complicità, non sapeva nemmeno di desiderarla fino a poco prima, ma era tutto ciò che all'improvviso voleva: aveva bisogno di quella donna al suo fianco, per sempre.

Fiori di Luna (in revisione)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora