Capitolo 22

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Il pentimento arrivò solo pochi giorni prima del matrimonio: Juliet si chiedeva perché mai avesse fatto una simile scelta, sentendosi sempre peggio quando avrebbe dovuto essere felice, non riuscendo più a sopportare di ricevere gli auguri, di ascoltare le pubblicazioni in chiesa e di vedere il suo nome affiancato a quello di Edward su ogni giornale.
Odiava il fatto di dover stare dietro a tutte le commissioni per quel matrimonio, di essere in continuazione trascinata dalla modista per le ultime modifiche all'abito e al corredo, dover passeggiare con Edward quasi ogni giorno per non destare sospetti e più di tutto dover iniziare ad impacchettare tutte le sue cose, sapendo che presto la sua camera non sarebbe più stata sua, che la sua casa non sarebbe più stata sua... lei stessa non sarebbe più stata Juliet Byrne, bensì Juliet Knight, contessa di Stamford.
Non voleva credere al fatto che quel capitolo della sua vita stesse per terminare, anzi che il primo volume della saga della sua vita fosse ormai giunto al termine.
In ogni caso quella mattina, appena ebbe un attimo libero uscì e si recò a comprare dei fiori, incamminandosi poi verso il cimitero per andare a trovare il nonno: non lo faceva spesso, preferiva ricordarlo in vita, quasi convincersi che fosse soltanto lontano in qualche luogo del mondo, piuttosto che pensare al fatto che ormai lui non ci fosse più.
I rintocchi delle campane segnarono le undici proprio mentre lei passeggiava fra quelle lapidi di fredda pietra e quegli angeli monumentali dai volti tristi e disperati, col capo basso, dirigendosi verso la tomba del nonno.
Joseph non era mai stato così, era sempre stato gioia ed allegria, e a Juliet quasi sembrava ingiusto che ora si ritrovasse rinchiuso in un luogo così tetro, in cui si udivano continui pianti.
Si chiedeva se le cose sarebbero state diverse se lui fosse stato lì: era stato per molto tempo il suo unico amico e compagno, l'unico che l'avesse mai capita, ed era certa che avrebbe potuto aiutarla a far sì che le cose andassero per il meglio, non si sarebbe mai ritrovata in quella situazione.
Desiderò che lui fosse nuovamente lì, inginocchiandosi davanti alla tomba e riponendo il piccolo mazzo di pervinche su di essa, il significato del fiore le sembrò così perfetto in quel momento: quello di conservare per sempre magnifici ricordi.
Ne conservava di meravigliosi col nonno, tutte quelle piccole cose che solo loro due avevano condiviso, e odiava sapere che erano tutto quello che le restava, che non avrebbe potuto crearne di nuovi con lui.
Avrebbe voluto possedere la certezza di averlo vicino, ascoltare la sua voce consolarla, e cercando di ricordarla si rese conto di come questa fosse ormai svanita, annebbiata nel perdersi dei ricordi, però ricordava la sua risata, quella sua magnifica risata cristallina, nei momenti che avevano condiviso viaggiando insieme in carrozza quando lui le raccontava magnifiche storie, o quando le regalava una nuova bambola o l'accompagnava alle lezioni di equitazione.
Sognava, sognava di riaverlo accanto, eppure allo stesso tempo sapeva che questo non l'avrebbe aiutata a fare ciò che il nonno desiderava per lei, a renderlo fiero.
Delle lacrime silenziose le scesero sulle guance, mentre appoggiava la mano sulla fredda pietra, sull'incisione del suo nome, sull'epitaffio che recitava: per sempre amato dalla sua famiglia e dai suoi amici, che sempre gli sono stati a cuore.
Aveva trattenuto le lacrime, quantomeno in pubblico, per anni, troppi anni, e ancora non smetteva di domandarsi il perché?
Perché era accaduto? Perché aveva dovuto andarsene così presto quando aveva ancora tanto da offrire al mondo?
Avrebbe voluto cambiare il passato, avrebbe voluto averlo accanto, ma non poteva farci nulla, a nulla valevano le sue lacrime e il suo dolore: non sarebbe tornato indietro in quel momento, come non era tornato sette anni prima.
Doveva dirgli addio, davvero per questa volta, imparare a convivere con dolore, lasciare che quantomeno la ferita prendesse a cicatrizzarsi, ma le faceva paura, le faceva paura ammettere che non avrebbe avuto altri ricordi col nonno, che gli attimi che aveva sprecato non sarebbero tornati, che le sue lacrime silenziose non avrebbero più avuto senso, le faceva paura il tagliare definitivamente ogni ponte con la sua infanzia, smettere di essere la persona che era stata, per seguire il suo futuro, diventare la giovane donna che ormai era.
"Nonno" sussurrò quindi con voce rotta, esitando qualche momento prima di proseguire "ti prego di perdonarmi, perché so di aver fatto cose che ti avrebbero deluso, che avresti desiderato qualcosa di diverso per me, ma credo che ciò sia il massimo che riuscirò mai a fare... e ti prego, allo stesso tempo insegnami a vivere, a vivere senza mai farmi calpestare dagli ostacoli che incontrerò, proprio come facesti tu... aiutami a dire addio, perché so che sta per iniziare un nuovo capitolo e dovrò lasciarmi quello che conosco alle spalle per correre incontro all'ignoto."
Restò qualche momento in silenzio, come se l'aria avesse potuto portarle un sussurro appena accennato, farle riascoltare quella voce che tanto le mancava.
"Io ho ancora bisogno di te" disse poi singhiozzando, abbandonandosi alla disperazione per qualche istante, sfogandosi per allontanare la tristezza.
Recitò quindi qualche preghiera, nella speranza che l'anima del nonno avesse già raggiunto il paradiso, che stesse bene e fosse felice in quel momento.
Si asciugò poi le lacrime, prese qualche respiro profondo e cercò di ricomporsi prima di voltarsi verso Camille che l'aveva accompagnata fuori come sempre.
La oltrepassò senza dire una parola, e la cameriera prese a seguirla senza interrompere quel religioso silenzio, dirette verso casa, verso la vita che andava avanti, verso la gioia di un matrimonio che a Juliet appariva sempre di più come una condanna a morte.

Fiori di Luna (in revisione)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora