Edward aveva passato molto più tempo del solito al club in quei giorni antecedenti al matrimonio, tentando di non pensare a ciò che il futuro gli avrebbe riservato, ciò che avrebbe riservato a Juliet, perché n'era certo: le aveva rovinato la vita, e sapere di amarla di certo non rendeva quelle considerazioni migliori, anzi forse le peggiorava... come si poteva fare ciò a qualcuno che si amava?
Faticava a comprendere se stesso, la maggior parte delle azioni compiute negli ultimi mesi non riusciva a spiegarsele, era quasi come se fosse ormai un'altra persona.
Era cambiato, Juliet, l'amore, lo avevano cambiato.
Aveva ripudiato l'idea di un matrimonio fino a pochi mesi prima, aveva tentato di evitarlo fino all'ultimo, anche quando questo era diventato inevitabile, eppure, anche in quell'immenso disastro che lui stesso aveva creato, non riusciva ad ignorare quella felicità che sotto sotto provava: fra soli due giorni Juliet sarebbe stata sua moglie.
Non avrebbe potuto ricevere miglior dono probabilmente che quella donna nella sua vita.
Avrebbe dovuto sistemare le cose con lei, spiegarsi in un qualche modo, tentare di risolvere i problemi, farle capire che realmente l'amava, ma era certo che alla fine sarebbe andato tutto bene, che sarebbero stati bene insieme. Non voleva, non avrebbe accettato che le cose andassero diversamente.
"Dunque, mio caro Stamford, sarai il primo fra noi a sposarsi" disse Harry Cooper, suo vecchio amico e collega dei tempi di Cambridge.
"Ci vorrebbe un bel brindisi!" Aggiunse Thomas Lee, futuro barone Featherstone, anche lui suo amico: da studenti i tre ed Howard erano stati molto legati e avevano formato un bel quartetto, alcune volte si riunivano quindi al club per parlare di quelli che ormai potevano quasi definirsi i bei tempi andati.
"Sì, ma a che cosa potremmo brindare?" Continuò quindi l'altro.
Thomas ai portò quindi una mano sotto al mento, fingendo di riflettere.
"All'ormai perduta libertà!" Esclamò quindi quest'ultimo, suscitando le risate di Harry.
"Già, mio caro Stamford, non la rivedrai mai più" disse quindi dandogli una pacca sulla spalla "Sono le tue ultime ore da uomo libero" continuò poi sollevando il bicchiere colmo di brandy, imitato subito dall'altro.
"Non la vedo esattamente in questo modo a dirla tutta" commentò Edward, alzando lo sguardo su i suoi due interlocutori, prestando loro davvero attenzione solo in quel momento.
I due rimasero interdetti per qualche secondo.
"Davvero?" Domandarono quindi all'unisono, ed Edward rispose con una scrollata di spalle, mandando poi giù un sorso del suo liquore.
"Non avresti detto parole simili alcuni mesi fa, questa Miss Byrne deve proprio avresti stregato, dimmi un po', com'è?" Chiese Harry interessato.
"Io l'ho vista, in campagna, a quell'evento ad Hathor House organizzato da Lady Halifax a cui sono stato costretto a partecipare sotto minaccia di mia madre... è di certo molto avvenente, dopotutto hai fatto un bel colpo Stamford, quei due occhi di cristallo certamente possono addolcire ogni altro aspetto della vita matrimoniale" commentò Thomas.
"Non è solo questo in verità..." mormorò lui.
"Be' ha anche una bella dote e sei in questo modo riuscito a legarti con una delle famiglie più importanti di Londra, mi sembra un buon affare dopotutto... anche se la tua sposa sembra aver un bel caratterino."
"Che intendi?" Harry si appoggiò con i gomiti al tavolo, come incantato da tutta quella conversazione.
"È riuscita a trascinarmi via Stamford nel bel mezzo di una conversazione una sera in campagna, per di più ho sentito delle voci secondo le quali sarebbe quasi indomabile, dopotutto non è stato il suo stesso fratello a descrivercela allo stesso modo?"
"Mi sembra tu abbia un punto, caro Lee."
"Ho sentito inoltre dire che abbia interessi inusuali, quasi... inadatti per una donna."
"Oh, mio caro Stamford, sembra dovrai tenerla a bada" commentò Harry ridacchiando.
"Non voglio di certo un cagnolino obbediente al mio fianco..." rispose lui, iniziando a trovare leggermente fastidioso quell'atteggiamento.
"Ma di certo non vorrai nemmeno una moglie isterica, ti converrà tenerla in riga, anche se è vero che appena ti avrà dato un erede potrai sempre relegarla in una qualche tenuta in campagna in caso fosse troppo fastidiosa."
"E torneresti a più piacevoli compagnie" aggiunse Thomas con un sorrisetto malizioso.
I due risero di gusto.
Il secondo stava per riaprire bocca, ma Edward lo fulminò con lo sguardo.
"Basta! Non ascolterò più nessuno di questi commenti altamente offensivi su Miss Byrne, ricordatevi che state parlando della mia sposa" disse quindi, stringendo il bicchiere, tentando di non urlare.
"Naturalmente, ma tutto ciò che ho elencato non sarebbe inusuale" replicò Harry, alzando un sopracciglio.
Edward scosse la testa, non voleva più stare a sentire quei due, non voleva tentare di dare spiegazioni: non avrebbero capito.
Finí il contenuto del suo bicchiere, per poi alzarsi:
"Signori, per me ormai si è fatto tardi."
Rivolse quindi un cenno del capo ad entrambi, per poi dirigersi verso l'uscita del club.
Piovigginava quella sera, ed Edward camminò sotto l'acqua nelle vie silenziose della città addormentata, da solo con i suoi pensieri.
Come avevano soltanto potuto rivolgere certi commenti a Juliet, alla sua Juliet?
Eppure in fondo li capiva, se uno di loro mesi prima avesse deciso all'improvviso di sposarsi probabilmente lui gli avrebbe rivolto le stesse parole, e avrebbe riso, avrebbe brindato, si sarebbe divertito, ma era cambiato, non era più la persona che era stato quell'inverno.
Non era più lo stesso dalla morte di suo padre, quando si era reso conto di che cosa il titolo comportasse, che aveva ormai dei veri e propri doveri, non era più lo stesso da quando un giorno aveva guardato Juliet capendo di amarla, da quando quella sera l'aveva baciata nella serra, da quando quella notte di poche settimane prima l'aveva fatta sua.
Era di certo un po' migliore di prima, si ritrovò quindi a pensare.
Passò dunque davanti a casa Halifax, e portò lo sguardo su di essa per un momento, senza smettere di camminare e tagliando poco dopo nella via che portava alla sua abitazione. Aveva notato una luce accesa, si chiedeva se fosse proprio Juliet ad essere ancora sveglia a quell'ora così tarda, di certo non sarebbe stato sorprendente: quei sentimenti contrastanti che lui stesso provava lasciavano ben poco spazio al sonno.
Gli sembrava che la loro storia fosse come una trottola, che girasse così in fretta da mandare insieme la vista, ed Edward non aveva idea di quando si sarebbe finalmente fermata lasciandogli vedere le cose chiaramente.
Bussò alla porta, lasciando che fosse Jefferson ad aprirgli.
"Mio signore! Non avreste dovuto camminare sotto la pioggia, siete fradicio! Manderò subito a chiamare qualcuno per farvi portare dei vestiti asciutti..." disse il maggiordomo con apprensione, chiudendosi frettolosamente la porta alle spalle, iniziando a guardarsi intorno agitato.
"State calmo Jefferson, posso fare da solo, ve lo assicuro" replicò lui, sfilandosi il cappello dalla testa, rigirandolo fra le mani "Andate a dormire, credo che oggi abbiate già perso abbastanza ore di sonno a causa mia."
Il maggiordomo annuì, passando poi una candela al suo padrone, e chinandosi successivamente in un profondo inchino, dirigendosi quindi verso la sua stanza.
Edward rimase per qualche momento fermo dov'era, guardandosi intorno, osservando quell'immensa casa avvolta dalle tenebre, sentendosi solo. Le cose stavano però per cambiare, o almeno così sperava: se Juliet avesse deciso di ignorarlo sarebbe stato come se non vivessero nemmeno nella stessa dimora, come se lei non esistesse.
Si decise poi a salire le scale fino a raggiungere il suo studio, vi entrò appoggiando il cappello sulla scrivania, lasciandosi poi cadere sulla sedia.
Chiuse gli occhi ed inspirò profondamente, tentato di versarsi un bicchiere del liquore che teneva stipato in uno dei cassetti, ma non lo fece: non poteva andare avanti a bere, non poteva soffocare la disperazione nell'alcol. Doveva essere un buon marito, era quello l'obiettivo più importante nell'immediato futuro, e se avesse iniziato ad ubriacarsi di continuo di certo avrebbe fatto soffrire Juliet sempre di più.
Perché erano stati così sciagurati ad innamorarsi l'uno dell'altra? Quel destino era stato come una condanna per Juliet, l'avrebbe trascinata con sé nel suo oblio: gli sembrava di non far altro che sbagliare.
Di tanto in tanto credeva di essere una sciagura vivente, come se portasse distruzione dovunque andasse, ed era stato così dal giorno in cui era nato, giorno in cui la vita di sua madre era stata strappata via. Portava quel peso sulla coscienza certo che fosse stata colpa sua, nonostante tutto ciò che suo padre gli aveva detto per rassicurarlo. Si sentiva allo stesso tempo colpevole anche per la morte di suo padre, colpito da quel male inspiegabile, che lo aveva lasciato impotente: era come se non avesse fatto abbastanza.
Credeva di aver deluso i suoi genitori, non era ciò che faceva sempre del resto?
Deludere.
Juliet n'era solo l'ennesima conferma.
Con lei però stava per avere una seconda possibilità, e questa volta non l'avrebbe delusa, sarebbe morto piuttosto.
Si alzò, salendo quindi fino al secondo piano, dirigendosi fino alle stanze riservate alla contessa, le stanze che erano state di sua madre e che presto sarebbero state di Juliet.
Quelle stanze non erano più state frequentate dalla sua nascita, tutti i mobili erano coperti da grandi panni bianchi, le tende erano chiuse, la luce del sole non vi era più entrata da allora. Era come se tutto lì fosse rimasto fermo al lutto, al dolore, ma presto in quella camera si sarebbero creati nuovi ricordi, ci sarebbe stata gioia e felicità lì dentro, era ciò che voleva, che sperava.
Lì avrebbe dormito con lei fra le braccia la loro prima notte da marito e moglie, lì avrebbero coltivato il loro amore, lì sarebbero potuti nascere i loro figli.
Pensò al pianoforte al piano inferiore, restato fermo per tanti anni, e che aveva fatto accordare pochi giorni prima: presto avrebbe suonato nuovamente, quasi come simbolo di rinascita.
Pensò ai libri della biblioteca che presto sarebbero stati sfogliati nuovamente, che avrebbero rivelato nuovamente tutti i loro segreti ad una mente pronta ad imparare.
Pensò al giardino che sarebbe di certo stato molto più curato, con quel tocco che solo Juliet avrebbe potuto dargli.
La sua casa avrebbe presto ripreso a vivere.
Fu come se quelle considerazioni riuscissero finalmente a calmarlo, sorrise, libero da tutti quei pesi che fino a quel momento aveva portato addosso.
Scostò la copertura da un angolo del letto, rivelando la struttura in legno di frassino, decorata sulla testata da immagini tratte dalla mitologia greca dipinte finemente.
Decise che la mattina seguente avrebbe dato l'ordine di preparare quelle stanze: era il momento di andare avanti, di lasciare la mano a quel passato che lo teneva ancora troppo stretto a sé.
Il futuro lo attendeva ed Edward aveva aspettato fin troppo a raggiungerlo.
Si diede quindi un'ultima occhiata intorno, ritirandosi poi nelle sue stanze chiudendosi la porta alle spalle.
Nel prepararsi per la notte si accorse che i vestiti che aveva indossato fino a quel momento erano effettivamente umidi, probabilmente avrebbe dovuto ascoltare Jefferson una buona volta e farsi portare un cambio all'istante, ma ormai era fatta, sperava soltanto di non essersi preso un malanno: ritrovarsi indisposto il giorno del suo matrimonio sarebbe stata una vera sventura, e di certo gli avrebbe fatto credere di avere effettivamente una qualche maledizione addosso.
Scosse la testa: quante probabilità c'erano dopotutto?
Nel caso si sarebbe costretto a presentarsi in chiesa anche con la febbre, la festa si sarebbe poi potuta cancellare, ma Juliet sarebbe stata sua moglie agli occhi di Dio e della società. Lo aveva promesso, e non intendeva rompere un altro giuramento come aveva fatto in precedenza.
Si mise a letto, con tutti i suoi buoni propositi, determinato a tenervi fede.
Il giorno seguente la servitù si affaccendava nelle stanze della contessa, spalancando le finestre, scoprendo i mobili ripulendoli dalla polvere, rifacendo il letto e portandovi fiori profumati. Tutti volevano che la nuova padrona avesse una buona accoglienza.
Edward seguiva tutti i lavori con attenzione, e gli sembrava che lentamente tutto stesse riprendendo colore.
Nello stesso momento anche a casa Halifax c'era un grande via vai di servitori, che preparavano i centritavola di rose, apparecchiavano per il banchetto del giorno seguente, tutto sotto lo sguardo vigile di Raphaela. Juliet sistemava le ultime cose nei suoi bagagli con il cuore pesante, accertandosi di aver preso ogni cosa con l'aiuto di Camille, e nel mentre sua madre continuava a chiamarla, insistendo per farle provare nuovamente l'abito e assicurarsi che non ci fossero modifiche dell'ultimo minuto da attuare. Le sue zie volevano aiutarla con la scelta dei gioielli, e continuavano a mostrarle orecchini e collane di famiglia, di cui lei non conosceva nemmeno l'esistenza. Non le importava di tutto quello però, le bastava soltanto avere la sua famiglia attorno ancora una volta, sapere di essere ancora Juliet Byrne, e far finta che ormai non fosse inevitabile in fatto che presto il suo cognome sarebbe stato Knight.
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Fiori di Luna (in revisione)
Historical FictionNon riuscì a ribattere, la sua bocca rimase semiaperta, ed Edward non riusciva a staccare lo sguardo da quel viso angelico, da quelle labbra rosse che imploravano di essere baciate. Non potè trattenersi, gli fu impossibile, annullò la distanza fra i...