Si sentiva ridicola a doversi preparare in mezzo al salone con tutta la sua famiglia attorno, quasi come se fosse una regina con tutto il suo seguito.
Avrebbe preferito fare tutto in camera sua, ma era stato impossibile ingombra com'era di tutti quei bauli che aspettavano soltanto di essere trasferiti nella sua nuova casa. Aveva dovuto quindi accontentarsi di starsene dietro a quel separé a farsi acconciare i capelli, indossando soltanto una vestaglia, con tutti i parenti che ogni due per tre venivano a spiare come la sua preparazione stesse procedendo.
Il cuore le batteva all'impazzata, ma non per quell'impazienza di giungere in chiesa per sposare l'uomo che amava, era più come il sapere di essere condannata a morte e prepararsi per recarsi al patibolo. Probabilmente Anna Bolena aveva provato una sensazione simile il giorno della sua esecuzione, quel sapere che ormai il proprio destino è segnato, ed essere disperati e rassegnati allo stesso tempo. Aveva scelto quale sentiero percorrere e non sarebbe potuta tornare indietro, il ponte che aveva attraversato era crollato dietro di lei.
Camille le stava sistemando i capelli in uno chignon, semplice ed elegante, non aveva voluto pensare a niente di più elaborato, a dire la verità aveva cercato di pensare il meno possibile ad ogni dettaglio riguardante il suo matrimonio.
Howard si sporse in quel momento da dietro il separé, per controllare come stesse la sorella, e fu quasi come una pugnalata al cuore vederla triste nel giorno che sarebbe dovuto essere il più felice della sua vita. Voleva portarle un po' di allegria, darle un po' di paradiso in quel giorno che per Juliet sarebbe stato come l'inferno. Forse conosceva un modo. Si andò a sedere al pianoforte, fermandosi a pensare per un momento, a richiamare le note nella sua mente, per poi iniziare a suonare.
Juliet riconobbe all'istante la melodia, alzando lo sguardo sorpresa, allontanando Camille con un gesto, abbandonato quindi la sua seduta per vedere chi avesse deciso di prendere a suonare.
Suo fratello posò lo sguardo su di lei appena sentì i suoi passi avvicinarsi.
"So che la conosci" le disse Howard, riuscendo finalmente a farla sorridere "canta sorella" la spronò poi.
Juliet non riuscì a resistere e subito prese a cantare le parole che le erano state insegnate da bambina dal nonno, che sarebbero per sempre rimaste impresse nella sua mente, le parole di quella dolce e antica canzone che i marinai cantavano quando si trovavano lontani da casa, che parlava di pensare alle persone amate ogni giorno per sentirle vicine.
Quel peso sul petto si sollevò mentre prendeva quei respiri controllati, mentre le parole le uscivano in modo automatico dalla bocca, con la mente che vagava libera.
Si avvicinò ad Howard mentre finiva di cantare la seconda strofa, e si sedette vicino a lui prendendo a suonare a sua volta.
Raggiunsero le ultime parole, e a quel punto alla sua voce si aggiunse quella del fratello, e subito dopo tutti gli altri seguirono l'esempio di quest'ultimo, concludendo insieme quella che tutti consideravano la loro canzone, che li legava gli uni agli altri.
Risero infine tutti quanti, battendo le mani, sentendo la tensione che aveva accompagnato i preparativi abbandonare finalmente l'aria.
"Su signorina, devo finire di sistemarvi i capelli: manca poco" le disse Camille, tenendo il pettine in mano e puntandoglielo contro con fare minaccioso.
"Arrivo, arrivo" rispose lei, con le ultime risate che andavano ad estinguersi nella gola.
"Grazie" aggiunse poi, rivolgendosi al fratello, appoggiandogli una mano sulla spalla.
Andò quindi a sedersi nuovamente al suo posto e la sua cameriera terminò l'acconciatura, e subito fu il momento di indossare l'abito.
Juliet aveva sempre desiderato sposarsi in bianco, il colore della purezza, ma nell'ultimo periodo tante cose erano cambiate, e le sembrava ormai insensato sposarsi indossando quel colore non sentendosi per niente pura, aveva quindi fatto aggiungere dei dettagli in rosso: una fascia sotto al seno impreziosita da fili d'oro, dei ricami sullo strascico e pochi giorni prima aveva pregato sua madre di ricamare una rosa sulla manica destra del vestito.
Tutti simboli di passione, la stessa che l'aveva condotta a quell'infelice matrimonio.
Una volta pronta, con anche i gioielli addosso, uscì da dietro il separé.
"Oh, bambina mia" disse sua madre commossa, avvicinandosi a lei con il velo fra le mani, sistemandoglielo poi sul capo amorevolmente "sei bellissima."
"Di certo la sposa più bella che Londra vedrà questa stagione" aggiunse la nonna porgendole il bel bouquet profumato.
Juliet sorrise, tentando di mostrarsi un minimo felice.
"Juliet!" esclamò Alexandra facendo il suo ingresso nel salone: sarebbe stata la sua damigella d'onore "Sei meravigliosa, davvero."
L'abbracciò, dandole poi una carezza sulla guancia, guardandola come per chiederle se davvero ne fosse certa. Lei le fece un piccolo cenno d'assenso, aveva preso la sua decisione e avrebbe proseguito a testa alta.
"Allora, siamo pronti ad andare?" domandò Howard, rivolgendosi alla sorella, assicurandosi ancora una volta che non avesse cambiato idea, perché nel caso sarebbe stato pronto a fare qualsiasi cosa pur di mandare tutto all'aria.
"Lo siamo" gli rispose lei, mettendo su quella sua aria altezzosa e sicura: non si sarebbe mostrata infelice agli occhi della società.
Prese suo fratello a braccetto e insieme raggiunsero la carrozza che l'avrebbe condotta in chiesa, verso il suo futuro.
Molte persone erano uscite di casa per vederla lasciare la sua abitazione, e forse per notare qualcosa nel suo comportamento che potesse suscitare un qualche scandalo, qualche pettegolezzo. Juliet però da fuori non appariva come una condannata a morte, anzi sembrava essere la più felice delle spose, nessuno avrebbe avuto motivo di parlare.
Alexandra le tenne lo strascico del vestito mentre Howard l'aiutava ad entrare nella vettura, così che questo non si stropicciasse.
"Howard" disse al fratello prima che salisse nella carrozza con lei, sporgendosi verso di lui ed abbassando il tono della voce "facciamo il giro lungo."
"Hai dei ripensamenti sorella?" Le domandò lui, visibilmente sovrappensiero.
"No" scosse la testa "voglio soltanto sapere di essere ancora chi sono stata per più tempo possibile, prima di fare quel passo verso l'ignoto e cambiare completamente."
Il fratello sembrò riflettere per qualche istante, annuendo nel prendere le sue considerazioni.
"E giro lungo sia."
Howard diede dunque le istruzioni sulla strada da prendere al cocchiere, salendo poi in carrozza con lei, seguito subito dopo dai loro genitori.
Fu un viaggio silenzioso, nessuno osava aprire bocca in quella situazione dove si percepiva che qualcosa non andasse, per quanto Juliet riuscisse a dissimulare molto bene.
I suoi pensieri corsero indietro fino al giorno in cui aveva rivisto Edward per la prima volta dopo molti anni, il giorno in cui si era iniziato a parlare per la prima volta del suo futuro, il giorno in cui il suo destino era stato segnato, perché da quel momento in poi non si era più tolta quell'uomo dalla testa e probabilmente tutti gli altri pretendenti non avevano mai avuto nessuna possibilità: le cose non sarebbero potute andare diversamente.
Sentì le campane suonare a festa: erano ormai vicini alla chiesa, non poteva più tornare indietro, era fatta.
Incrociò lo sguardo di suo fratello senza preoccuparsi di nascondere le sue emozioni, certa che se lei avesse detto anche una sola parola di ripensamento lui avrebbe fatto girare quella carrozza senza importarsi delle opinioni altrui, e l'avrebbe riportata a casa, al diavolo gli scandali!
Ma Juliet non voleva tornare indietro, voleva soltanto una conclusione a quella vicenda che tirava avanti da fin troppo tempo con il rischio di farla impazzire, e sapeva che non avrebbe potuto ottenerla se non sposando quell'uomo.
Accennò quindi un sorriso e cercò a tentoni, fra tutti quegli strati di stoffa ammucchiati sul sedile, la calda da mano di Howard, stringendola nella sua: le bastava quello per stare bene.
Sentì un sussurro dentro di sé, sovrastato da mille urla, ma lei lo udì, e questo le disse che stava facendo la cosa giusta, che presto si sarebbe resa conto che non avrebbe cambiato un singolo dettaglio di come i fatti erano andati.
Poco dopo la carrozza si fermò, ed Howard si apprestò ad aiutare la sorella a scendere dalle vettura, stretta com'era in quell'abito ingombrante.
Alexandra si occupò di dare una sistemata allo strascico, nel mentre la sua famiglia entrava in chiesa per prendere i propri posti, soltanto Howard non si mosse, fissò Juliet negli occhi come se quella fosse l'ultima volta in cui l'avrebbe vista, come se non volesse lasciarla andare.
Le lisciò le pieghe del velo con dolcezza, bloccando poi le mani sulle spalle di lei.
"Ne sei certa?" Le chiese quindi per l'ultima volta più serio che mai, intenzionato a salvarla da una vita che avrebbe potenzialmente odiato se solo glielo avesse permesso. Juliet però era ormai piuttosto sicura che il suo futuro non sarebbe stato poi così terribile, si sentiva serena, non faceva più correre gli occhi in giro alla ricerca di un'insistente via di fuga come avrebbe fatto una condannata a morte, al contrario sentiva dentro di sé una sicurezza che non aveva mai provato nel compiere un grande passo, era come una regina che si apprestava a prendere il potere: non avrebbe mostrato esitazioni.
"Lo sono" rispose dunque annuendo "facciamo iniziare questo dannato spettacolo, e facciamo in modo che se ne parli per giorni" aggiunse poi, sorridendo al fratello come avrebbe fatto un attrice ai propri colleghi prima dell'inizio della rappresentazione.
Howard quindi l'abbracciò, lasciando che quel suo dolce profumo di rose lo inebriasse.
"Sei cresciuta senza che me ne rendessi conto sorella..." sussurrò "Ti voglio bene."
Le lasciò un bacio sulla fronte, sciogliendo poi con riluttanza quella stretta, entrando quindi in chiesa per prendere il posto che gli spettava in quanto testimone dello sposo.
Juliet per un momento si sentì sul punto di piangere, ma si trattenne: non voleva che si vociferasse che fosse la sposa più triste in tutta Londra, voleva mostrarsi sicura di sé, delle sue scelte.
Suo padre la prese dunque sottobraccio, e lei gli scoccò un'occhiata determinata come quella di un generale sul campo di battaglia, pronta a iniziare quella marcia verso il futuro.
Entrò in quella chiesa a testa alta, preceduta da Alexandra, che prese posto sull'altare in quanto sua damigella d'onore, tenendo lo sguardo fisso su Edward, che la fissava rapito, come se avesse avuto davanti la gemma più splendente e meravigliosa di tutte.
Lo stesso sguardo che Juliet ricordava negli occhi del nonno ogni volta che ballava con la nonna, quello sguardo pulsante di amore.
Quando fu il momento di lasciare la mano di suo padre esitò per un momento, quasi come se fosse possibile un ripensamento a quel punto, ma poi si fece coraggio: strinse la mano del suo sposo, e fu quasi come fare un passo nel vuoto, ma si sentì comunque sostenuta dalla stretta di lui, salda e carica di dolcezza.
Le labbra di Edward fremettero, come se volesse dirle qualcosa, ma non trovasse le parole adatte o queste si rifiutassero di uscire dalla sua gola.
Juliet lo fissò per un momento: suo marito, colui che sarebbe rimasto al suo fianco per il resto della sua vita. Portò poi la sua attenzione sul parroco, rivolgendogli un piccolo sorriso, e questo iniziò la cerimonia che l'avrebbe legata per sempre a quell'uomo.
In poco tempo la sua vita venne completamente ribaltata.Fu quasi come una tortura dover sorridere per tutto il ricevimento, dover ascoltare i mille auguri di un futuro prospero e dover ringraziare ad ognuno di questi, fingendo un'immensa felicità. Non seppe nemmeno in che modo riuscì a non crollare.
Portò avanti quella messinscena alla meglio, senza mai lasciare il fianco di suo marito, mascherando al meglio quel senso di disperazione che in realtà provava dentro.
Solo quando gli ospiti iniziarono a ritirarsi si concesse di scappare in camera sua per sfogarsi un po' senza che nessuno la potesse vedere.
Si chiuse la porta alle spalle e lasciò che le lacrime le scorressero sul viso. Alzò lo sguardo, studiando la sua stanza, non potendo credere al fatto che il giorno seguente non si sarebbe risvegliata lì, che non avrebbe trovato la sua famiglia al piano inferiore ad aspettarla per la colazione. L'indomani invece si sarebbe svegliata in un'ambiente completamente sconosciuto, in una casa che conosceva a malapena, con un marito che probabilmente non conosceva affatto.
"Cugina?" Chiamò Ludovic, con voce limpida, bussando alla porta.
Juliet tentò di ricomporsi, di asciugarsi velocemente le lacrime con i dorsi delle mani, ma quando si ritrovò davanti il cuginetto non riuscì a trattenere il pianto: come avrebbe fatto senza la sua famiglia?
"Juliet, stai piangendo?"
"Oh, no, no Ludovic, non preoccuparti" rispose lei, tentando di sorridere, ma le sue labbra rifiutarono di piegarsi.
Il bambino la osservò per un momento, convinto di non aver mai visto la cugina in uno stato del genere: lei era sempre stata quella forte.
"Perché sei triste? La mamma mi ha sempre detto che il matrimonio è un evento felice..." domandò quindi con quell'innocenza che solo i bambini possedevano.
"Non sono triste, non lo sono, sono davvero felice te lo assicuro, è solo che vorrei non dovervi lasciare, mi mancherete... tu più di tutti" rispose lei, dando un colpetto col indice sul naso di Ludovic, stringendolo subito dopo fra le braccia, inspirando profondamente, tentando di ritrovare la serenità.
"Torna giù, potresti prendere un altro pezzo di torta, io ti raggiungerò presto."
Lui sorrise, esitando un momento prima di correre giù dalle scale.
Juliet si tirò quindi in piedi, lisciandosi la gonna del bel vestito, e sospirò, andandosi a sedere sul letto.
Probabilmente sarebbe dovuta tornare al piano inferiore, ma quelli erano gli ultimi momenti che trascorreva lì, gli ultimi piccoli legamenti con la sua infanzia, ed era come se ancora non avesse la forza di lasciare andare ciò che era stato, avrebbe soltanto voluto un po' di tempo in più per dire addio.
Si chiese a quanto effettivamente avesse rinunciato decidendo di compiere quel passo, quanto avrebbe rimpianto, ma sapeva anche che non poteva restare lì immobile, doveva cercare di riprendere il cammino: lo sforzo più grande era ormai già stato fatto, e non poteva rinunciare alla scalata in quel momento, tornare indietro, l'unica opzione era raggiungere la vetta.
La sua attenzione fu attirata da Howard fermo sull'uscio della porta, che la studiava con un mezzo sorriso sulle labbra: lasciarla andare gli sarebbe di certo risultato complicato.
"Credo che la mamma presto ti raggiungerà per farti quel discorso" le disse, andandosi a sedere accanto a lei.
"Se solo potessi dirle che non è necessario, mi risparmierei molto imbarazzo suppongo."
"Ma le faresti venire un infarto."
"Di certo hai ragione."
Si rivolsero quindi uno sguardo d'intesa, di quelli che erano solo loro.
Come avrebbe fatto senza il fratello che era sempre stato il suo porto sicuro?
Non ne aveva idea, avrebbe dovuto prendere il largo e imparare a navigare da sola, sperare che tutto andasse per il meglio, con la certezza che prima o poi sarebbe tornata all'abbraccio di quelle acque sicure.
"Volevo darti una cosa" aggiunse poi, tirando fuori un'edizione tascabile di Romeo e Giulietta molto graziosa, consegnandola quindi alla sorella.
"È quella che lessi quando tu nascesti."
"Quella che ispirò il mio nome?" Domandò quindi lei, sfogliando il volume con un sorrisetto divertito in volto.
"Dovresti considerarti fortunata Juliet, avrei potuto decidere di chiamarti Silence."
"Non sarebbe stato per niente adatto a me" commentò lei: con il carattere che si ritrovava non avrebbe mai potuto avere un nome del genere senza farlo risultare come uno scherzo.
"No, hai ragione."
Howard scosse la testa.
"Ti voglio bene sorella, ricordalo sempre" aggiunse dopo un momento di silenzio.
"Lo so..." la ragazza annuì "tu ricorda che ti voglio bene anch'io, comunque vada."
A quel punto Juliet non poté resistere all'impulso di lanciarsi fra le braccia del fratello, per sentirsi cullare dal caloroso affetto di lui: non sapeva quando avrebbe ricevuto nuovamente un abbraccio dolce come quello.
"Promettimi che verrai a trovarmi ogni volta che ne avrai la possibilità Howard, ti prego" disse quindi lei, quasi implorando il fratello, nella paura che alla fine si sarebbe ritrovata sola a vedersela con un mare in tempesta.
"Te lo prometto" sussurrò lui in risposta "Sarò sempre con te quando ne avrai bisogno, anche se ci saranno miglia a separarci, sarò con te sorella, sempre."
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Fiori di Luna (in revisione)
Historical FictionNon riuscì a ribattere, la sua bocca rimase semiaperta, ed Edward non riusciva a staccare lo sguardo da quel viso angelico, da quelle labbra rosse che imploravano di essere baciate. Non potè trattenersi, gli fu impossibile, annullò la distanza fra i...