Capitolo 38

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Fissò intensamente per l'ennesima volta quelle parole in greco, che ormai sembravano mandarle insieme la vista, rianalizzando nuovamente tutta quella serie di documenti di cui ormai aveva completato la traduzione da alcuni giorni.
La convinzione che vi fosse qualcosa che non aveva notato non l'abbandonava, eppure in tutti quei mesi non aveva scovato nulla di nuovo, nessun indizio che potesse condurla ad una possibile soluzione.
Scosse la testa, riponendo quindi gli scritti, andando quindi a ricontrollare l'elenco degli oggetti rinvenuti nella tomba scoperta dal nonno che presto avrebbero fatto parte della collezione di Hathor House: c'erano le bellissime armi, la statua di Bastet, il modellino di barca e degli shabti, oltre a decine e decine di scatole di ogni materiale contenenti oggetti per la cura della persona, gioielli, pietre preziose e qualsiasi altra cosa si potesse immaginare.
Ripose dunque anche quel foglio, iniziando a dare un'occhiata alla corrispondenza, a cui non aveva minimamente badato negli ultimi giorni, aveva avuto la testa altrove d'altro canto. La ferita della perdita subita era ancora troppo fresca, seppur le pareva di star tornando finalmente a vivere. Non sapeva però se avrebbe mai avuto il coraggio per informare i suoi familiari di quanto accaduto, sospettava che quello sarebbe rimasto un segreto fra lei e le persone presenti in quegli attimi disperati.
Lesse quindi una breve lettera da parte dei suoi genitori, che si informavano delle sua salute e di quella di suo marito, domandando poi come la sua avventura stesse procedendo e se avesse scoperto qualcosa d'interessante: era ovvio che quella missiva fosse stata inviata prima che scoprisse quella sala del tesoro, la notizia doveva aver fatto il giro del mondo ormai, ed era di certo giunta anche a Londra, fino alla orecchie della sua famiglia.
Un giornalista inglese che si trovava al Cairo per caso era passato dalla loro abitazione per fare alcune domande ad Edward riguardo alla scoperta, che aveva attribuito tutto il merito alla moglie, la quale aveva avuto la geniale intuizione che li aveva condotti a quel sorprendente ritrovamento, e all'aiuto dei suoi collaboratori, che erano riusciti a conservare ogni oggetto perfettamente così che potesse essere studiato e catalogato al meglio. Si era limitato quindi a dire che il suo ruolo era stato soltanto quello di umile finanziatore.
La notizia era stata riportata con le esatte parole usate da suo marito, e Juliet si immaginava che una lettera indirizzata a lei, con un tono pieno di forte orgoglio e pura gioia, fosse in viaggio proprio in quel momento. La nonna di certo si sarebbe vantata con tutte le sue amiche ad ogni tè pomeridiano e ad ogni cena.
Sorrise soddisfatta, riponendo la lettera dei genitori sul tavolo, rompendo quindi il sigillo di quella inviatole da Frederick.
Rise di gusto nel leggere tutti i racconti più recenti di ciò che era accaduto nell'alta società, i pettegolezzi, le storie assurde, e il modo in cui il cugino le raccontava, con quel suo solito pizzico di ironia, non poteva che essere esilarante.
Avrebbe voluto godersi di persona lo spettacolo di Howard circondato da ogni debuttante presente nella sala da ballo, bloccato con le spalle al muro, descritta da Frederick come un cerbiatto terrorizzato circondato da un gruppo di scaltri cacciatori. Forse il fratello avrebbe finalmente capito che cosa si provava ad essere il centro di tanta attenzione indesiderata, e questa volta sarebbe stata lei a ridere.
Stava giusto sollevando la lettera che portava il nome di Howard, quando un gatto, che non poteva avere più di un anno, le saltò in grembo elegantemente, andando quindi ad accomodarsi, attorcigliato come una ciambella, su di lei.
Juliet rimase sorpresa per un istante, prima di affondare la mano nel morbido pelo bianco e rosso, sorridendo mentre l'animale iniziava a fare le fusa.
"E tu da dove spunti fuori?" Gli domandò, dandogli una grattatina dietro all'orecchio, con il felino che la fissava con i grandi occhi verdi, socchiudendoli lentamente, segno che apprezzava le coccole che la donna gli stava riservando.
Sorrise, andando quindi ad abbandonare la lettera del fratello, concentrandosi completamente sul gatto.
"Sei un animale meraviglioso" mormorò quindi, continuando ad accarezzargli il bel manto "Sei un randagio?"
Il gattino le appariva molto magro, forse addirittura denutrito, quindi le fu facile darsi una risposta.
"Sì, credo che tu lo sia..." disse, iniziando a riflettere: che fosse un segno?
Quel felino sembrava proprio aver scelto lei.
Aveva imparato molto dagli antichi egizi nelle ultime settimane, aveva passato più tempo nel passato che nel presente, e aveva quindi iniziato a connettersi con la natura proprio come quel popolo. Comprendeva perfettamente le loro idee in quel momento, apprezzava ogni più piccola creatura, ogni creazione di madre natura.
Osservava lo scorrere del Nilo per ore, il suo delizioso scrosciare, studiava gli stormi d'uccelli posarsi sull'acqua per rinfrescarsi, i coccodrilli lasciare il letto del fiume ed esporsi, fermi come statue, al caldo sole, gli ippopotami, che sembravano rocce inanimate nell'acqua, fare capolino improvvisamente, spalancando le grandi fauci. Adorava anche i piccoli insetti che le svolazzavano intorno, gli scarabei con le loro ali scintillanti e colorate, le api con il loro ininterrotto lavoro, che si posavano di fiore in fiore, portando nuova vita.
Ogni forma di vita, anche se minuscola o apparentemente insignificante, aveva una sua grande importanza.
L'uomo pensava ormai di essere al centro del mondo, si innalzava su un piedistallo, eppure Juliet non poteva fare a meno ormai di pensare che avessero molto da imparare dall'antico popolo egizio. La società doveva imparare di nuovo a vivere in sintonia con la natura, a venerare tutto ciò che questa donava.
"Ti piacerebbe avere una famiglia? Mmh, credo di sì" continuò quindi Juliet, appoggiando l'indice sul nasino rosa del gatto, che chiuse gli occhi in un modo che a lei parve felice.
Pensò ancora a ciò che il gatto significava per gli egizi: era una divinità a protezione della casa, della famiglia, delle madri e dei loro figli, oltre ad essere un forte guerriero, a guardia dell'aldilà.
I membri dell'antico popolo usavano inoltre tagliarsi le sopracciglia quando il proprio gatto moriva in segno di lutto., nello stesso modo in cui lo avrebbero fatto per un qualsiasi familiare.
Le parve che qualcuno cercasse di inviarle un segno, che cercasse di dirle di stare tranquilla, di non preoccuparsi, perché nonostante tutto ciò che era accaduto, nonostante quella tragedia, avrebbe alla fine avuto una famiglia e che quel gattino sarebbe stato lì a proteggere tutti coloro che amava.
"Bastet" mormorò quindi, decidendo che il nome dell'antica dea si adattasse perfettamente al nuovo arrivato "Sì, ti chiamerai così, che ne dici?"
L'animale quindi emise un miagolio, che Juliet decise di interpretare come un'approvazione.
Si alzò, prendendo il felino tra le braccia con la stessa delicatezza che avrebbe usato con un neonato, e subito lui sembrò rilassarsi, socchiudendo gli occhi lentamente.
Entrò in casa, decisa a trovare qualcosa con cui sfamare Bastet, incamminandosi dunque verso le cucine.
"James, abbiamo per caso del pollo?" Chiese ad uno dei domestici che avevano deciso di lasciare Londra per intraprendere quel viaggio con loro.
"Credo di sì, mia signora" rispose lui prontamente.
"Perfetto, puoi portarmene un po' in sala da pranzo allora, questo piccolino ha bisogno di magiare."
Grattò quindi la pancia candida del gatto, che prese a fare le fusa più forte: sembrava apprezzare ogni gesto d'affetto della sua nuovissima padrona.
Salì al piano superiore, iniziando a cercare il marito spalancando le porte di ogni stanza, per dargli la notizia dell'adozione del gatto.
Sperava che sarebbe stato felice quanto lei: quel piccolo mammifero le aveva riempito il cuore di una tale gioia che aveva temuto non avrebbe mai più provato dopo la perdita di quel bambino.
Trovò Edward nello studio, intento a leggere una lettera speditagli dal capitano Morris: era ormai agosto e sarebbero dovuti ripartire fra circa un mese, così da passare l'autunno in Inghilterra, e lui doveva quindi prendere accordi per il viaggio di ritorno.
Alzò lo sguardo dopo qualche istante, rendendosi conto della presenza della moglie sulla soglia della porta, rivolgendole quindi un ampio sorriso.
In fondo ai suoi occhi si leggeva ancora un profondo dolore, ma la ferita aveva preso a rimarginarsi, con molta lentezza, eppure man mano stava guarendo.
Stava imparando a sua volta dagli antichi egizi, da sua moglie, e cercava di consolarsi pensando all'aldilà in cui quel popolo aveva creduto, essendo quindi certo che chiunque sarebbe potuto essere quella vita mai nata era di certo felice e serena dovunque si trovasse.
Passeggiavano lungo le sponde del Nilo ogni sera, e ogni sera Juliet gli ripeteva di osservare il sole, un sole che in quel momento era morente, alla fine del suo viaggio, ma che il giorno successivo sarebbe rinato, come stella più splendente di tutto il firmamento a donare luce al mondo.
Diventava quindi semplice, grazie a quei pensieri positivi, iniziare a superare la perdita che avevano subito.
"Juliet" disse, lasciando ricadere la lettera sulla scrivania "vieni, mi sembra di non stringerti da troppo."
"Mi hai tenuta stretta fra le braccia tutta la notte, nonostante il caldo torrido" si lamentò lei, ma sorrideva e guardava il marito completamente innamorata.
"Ho bisogno di averti a fianco, lo sai."
Tese quindi una mano verso di lei, e Juliet si decise ad avvicinarsi a lui. Solo allora Edward si rese conto che la moglie teneva qualcosa tra le braccia.
"Cos'hai lì?" Le domandò, e lei per tutta risposta adagiò il gatto sulla scrivania.
Subito l'animale andò a sedersi, assumendo la stessa posa con cui veniva rappresentato nelle statue egizie, e si mise ad osservare l'uomo che si ritrovava davanti, mentre Edward fissava sorpreso la moglie.
Bastet annusò la mano di lui, e sembrò poi riflettere per qualche secondo, prima di strofinare la testa sul suo braccio tutto contento, riprendendo a fare le fusa.
Edward sorrise e diede qualche carezza al felino: sembrava starsi innamorando del gatto alla stessa velocità della donna.
"Mi è saltato in braccio poco fa, così dal nulla, ma mi è parso subito che avessimo una specie di legame, che fosse destinato a me in qualche modo... Ti prego Edward, dimmi che possiamo portarlo con noi a Londra, ti prego" disse quindi Juliet, assumendo il tono di una bambina di dieci anni.
"Be', non saprei... il viaggio in nave è lungo" rispose lui.
"Ti prego."
Juliet andò ad unire la mani palmo contro palmo, facendo il giro della scrivania, posando poi una mano sulla guancia del marito.
Edward finse quindi di riflettere per qualche istante, per poi replicare:
"Se ci tieni così tanto allora va bene, mi sembra un bell'animale dopotutto, e molto affettuoso."
"Grazie, grazie amore mio!"
Abbracciò forte il marito, lasciandogli poi un bacio sulle labbra, riprendendo quindi il gattino fra le braccia.
"Allora vado subito a dare a Bastet qualcosa da mangiare, e a istruire la servitù su come comportarsi col nuovo arrivato" aggiunse poi, uscendo dalla stanza allegramente, con quella sua energia sbarazzina che ricordava quella di una ragazzina, che Edward amava tanto in lei e che sperava non avrebbe mai perso.
Juliet era molto intelligente, matura, la donna più forte che avesse mai conosciuto, aveva affrontato tanto, la vita aveva cercato di distruggerla, ma lei era riuscita a combattere e ad uscirne sempre vittoriosa, eppure conservava ancora qualche sprizzo di innocenza che si mostrava di tanto in tanto, ed Edward era felice di sapere che la cattiveria nel mondo non avesse ferito completamente sua moglie.
Nonostante tutto Juliet era pura e gentile, verso chiunque, certo non era ingenua, sapeva bene di chi fidarsi e di chi diffidare, e lui sperava che avrebbe per sempre conservato quelle qualità.
Non voleva che la moglie cambiasse di una virgola, era semplicemente perfetta.
Ripensava alla sua vita di sette mesi prima, quando non badava alle sue responsabilità, quando dava per scontato l'avere suo padre affianco, che si sarebbe preoccupato lui di ogni cosa, quando viveva come un qualsiasi giovane di buona famiglia che un giorno avrebbe ereditato un titolo: come un libertino.
Si chiedeva dove sarebbe stato in quel momento se non avesse avuto Juliet affianco, se avesse continuato ad ignorarla, a trattarla solo come la sorellina di Howard.
Non avrebbe mai dovuto trattarla solo come la bambina viziata da tutti in famiglia, Juliet era sempre stata molto di più, e di certo anni prima non avrebbe potuto provare interesse per lei, innamorarsi, dato che quando lei aveva appena iniziato ad affacciarsi al mondo degli adulti, spiando i balli dalla balconata al piano superiore dove l'orchestra si sistemava e magari sognando il vero amore, lui era già ben inserito in società, aveva finito gli studi, aveva viaggiato per l'Europa e aveva esplorato appieno i piaceri della vita. Eppure anche allora avrebbe dovuto ammettere che Juliet non era solo una fastidiosissima piccola peste: durante i mesi estivi della sua adolescenza, quando con suo padre si ritiravano nella tenuta di campagna ed Edward quindi passava molto tempo ad Hathor House, si ricordava della presenza di lei, sempre con un libro in mano, intenta ad indicare gli oggetti scoperti da suo nonno uno ad uno, mettendosi di tanto in tanto a prendere appunti su un taccuino, mormorando termini complicati che a volte nemmeno lui riusciva a riconoscere.
Rammentava di averla spesso vista passeggiare con Joseph per i giardini, e che una volta, quando era piccolissima, aveva osservato per qualche istante le ruote di un carro, in quel loro moto circolare, e aveva subito voluto sapere come funzionassero. L'uomo le aveva quindi dato una spiegazione approfondita, e da quel giorno aveva preso ad istruirla su argomenti che solitamente non venivano insegnati alle ragazze.
Per tutti quegli anni però Edward aveva pensato a Juliet solo come ad una bambina, e lo divertiva il suo modo di cercare di sembrare più adulta, di farsi rispettare, e solo quando lei aveva debuttato in società si era reso conto di quanta forza, di quanta intelligenza e di quante alte opinioni fossero racchiuse in quel corpo minuto.
Sapeva che non avrebbe voluto nessun'altra al suo fianco, aveva bisogno di sua moglie.
Un sorriso si dipinse quindi sulle sue labbra, mentre riprendeva in mano la nota inviatagli dal capitano Morris, rileggendola, per poi apprestarsi a scrivere una risposta: avrebbe di certo dovuto domandare se un piccolo ospite aggiuntivo non sarebbe stato d'intralcio sulla nave.

Fiori di Luna (in revisione)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora