Capitolo 21

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Juliet aveva percepito il dolore del suo cuore spezzato nel petto per giorni, senza quasi avere la forza di alzarsi dal letto. Aveva mangiato poco, il che non aveva fatto che allarmare la sua famiglia, che non aveva la situazione per niente chiara, il solo che sapeva ogni cosa era Howard, che ad un certo punto, con delicatezza, le aveva chiesto di raccontargli ogni dettaglio. E Juliet aveva parlato, sapendo che sfogarsi un po' le avrebbe fatto bene, sentendosi sempre più stupida nel ripensare ad ogni momento, non capendo come tutto quello poteva essere successo.
Howard le aveva detto che non avrebbe dovuto rimproverarsi, che Edward l'aveva raggirata in modo subdolo, ma a Juliet tutte le parole di lui erano parse così vere, non le aveva mentito n'era certa, eppure l'aveva lasciata malamente, facendola soffrire come non era più successo dalla morte del nonno. Non si era più sentita tanto spenta da allora.
Era ormai stanca anche di piangere, non sopportava più di restare in quello stato, di non partecipare più agli eventi mondani: doveva trovarsi un marito in fretta e furia, in modo che se fosse stata in attesa nessuno si sarebbe potuto accorgere delle dinamiche in cui ciò era avvenuto, non aveva molto tempo, ma aveva ancora la possibilità di trovarsi un marito quantomeno decente. Il vero problema era però il fatto di non riuscire a togliersi Edward dalla testa, ripensava a quella domenica mattina, analizzando ogni frase, certa che non fosse stato tutto una grande bugia, ciò che era successo la sera precedente non poteva essere falso, l'amava, l'aveva amata in modo puro, quasi innocente in un certo senso, non poteva averla usata, non poteva... Allo stesso tempo però lo odiava, per averla abbandonata senza un motivo apparente, dopo averla illusa che sarebbe stato per sempre, facendola sentire sbagliata, per averla lasciata quando avrebbe potuto portare suo figlio in grembo.
Non voleva che suo figlio crescesse senza un padre, o con un padre che l'avrebbe odiato rendendosi conto che fosse soltanto un figlio illegittimo.
Stava sfogliando distrattamente uno dei diari del nonno quando una piccola busta di cui non conosceva l'esistenza le cadde fra le mani. La osservò per qualche momento, per poi aprirla, riconoscendo la scrittura di Joseph, e mettersi quindi a leggerla all'istante:
24 maggio 1800
Mia cara Juliet, cosa potrei dirti? Così piccola, così innocente, pura e senza peccato. Non credevo che un pianto, il pianto di una nuova vita venuta al mondo, potesse riempire il cuore di una tale gioia.
Mi hai sorpreso, mi hai fatto ricredere, credevo di essere tanto intelligente eppure... eppure ora non sono capace di trovare parole adatte per descriverti l'amore così incondizionato che ora provo.
So che la vita non sarà facile, l'ho provato sulla mia stessa pelle, ma ti giuro che combatterò per te, che arriverò a sanguinare se necessario, per lasciarti le basi per una vita fantastica, certo che un giorno farai grandi cose, che un giorno ci sorprenderai tutti.
Spero che quando, prima o poi, leggerai questa lettera io ti avrò resa fiera, e che sarai la donna che mi immagino in questo momento, che riuscirà a sorprendere il mondo intero, perché, credimi, ci riuscirai.

Il tuo caro nonno, Joseph Carter

Furono quelle parole a riscuoterla da quello stato di stallo, a darle la forza di tirarsi giù dal letto, a mostrarle finalmente cosa avrebbe dovuto fare.
Si sciacquò la faccia con l'acqua fresca di una bacinella che era stata lasciata lì, fissando poi il suo riflesso nello specchio, rendendosi conto che non era più la stessa, che non sarebbe mai più stata la stessa. Uscì quindi dalla sua stanza e prese la scala di servizio, raggiungendo gli alloggi della servitù per chiamare Camille.
"Usciamo Camille, prepara il mio completo da passeggio, quello celeste, e portami qualcosa da mangiare" disse quindi.
"Certamente signorina" rispose la cameriera, felice di vedere nuovamente una scintilla brillare negli occhi di Juliet, una luce diversa certo, più di sicurezza che di quella divertita innocenza di prima, ma era sempre meglio del suo sguardo triste e spento.
Si preparò nel migliore dei modi, come una regina alla sua incoronazione, comportandosi con la stessa determinazione ed eleganza, si fece acconciare i capelli come credeva le stessero meglio, indossò i gioielli più belli, e alla fine riuscì a sentirsi come una donna meravigliosa, una donna che avrebbe potuto far cadere chiunque ai suoi piedi.
"Siete bellissima" disse Camille, osservando il riflesso della sua padrona nello specchio, standole alle spalle.
"L'intento era esattamente questo" rispose Juliet voltandosi verso di lei, con un sorriso e gli occhi determinati, molto più maturi di qualche giorno prima.
Qualcosa di cui non era a conoscenza doveva averla cambiata, pensò Camille.
Scesero quindi al piano inferiore, passando dal salotto dove l'intera famiglia stava trascorrendo quell'annoiato pomeriggio, la mamma subito si alzò nel vederla.
"Juliet" disse, quasi come se avesse un miraggio davanti, un fantasma "stai meglio?"
"Molto meglio in realtà," rispose lei, usando un tono quasi autoritario, come se stesse pronunciando un discorso molto importante "esco per una passeggiata."
"Ne sei certa?" domandò poi preoccupata la nonna, che sentiva quello scandalo aleggiare sopra le loro teste, pronto a cadere loro addosso da un momento all'altro, rovinando il buon nome della famiglia.
"Sì, lo sono nonna, credo sia ormai tempo di rimostrare la mia faccia alla società, la scusa dal leggero malanno non sarà più plausibile tra un po', devo trovare un marito, non era questo l'obiettivo?"
La nonna decise di non ribattere, non trovando nessuna obiezione, avendo capito oltretutto che Juliet aveva bisogno di trovare un marito al più presto, non sapeva quale fosse l'effettivo scandalo dato che Howard aveva tenuto la bocca cucita, ma probabilmente quello era l'unico modo per soffocare ogni singola voce.
"Bene! Ci vediamo più tardi allora" salutò lei, sorridendo, lasciando la famiglia un po' perplessa per quel suo improvviso cambiamento d'umore.
"Juliet!" suo fratello la fermò sulla soglia della porta, avvicinandosi a lei "cosa vuoi fare?" sussurrò dunque, temendo di aver già intuito le sue intenzioni.
"Lo vedrai fratello, lo vedrai" rispose lei, in tono serio, uscendo poi di casa prima che chiunque altro potesse farle un'altra domanda.
Camminò per un po' in silenzio, con lo sguardo puntato davanti a sé, pensando soltanto alla sua meta, alle parole che avrebbe dovuto usare per far intendere chiaramente le sue intenzioni.
"Signorina, se posso chiedere, dove siamo dirette?" le domandò cautamente Camille ad un certo punto.
"A casa di Lord Stamford" rispose lei, senza smettere di camminare a passo spedito, senza smettere di pensare alle frasi che avrebbe pronunciato.
Furono davanti al portone d'ingresso di quest'ultimo in poco tempo, dato che abitava nella strada parallela rispetto all'abitazione del conte di Halifax, Juliet salì gli scalini che conducevano al pianerottolo ed esitò prima di bussare, ma poi si fece coraggio: non avrebbe lasciato che lui le rovinasse la vita, che decidesse quale sarebbe stato il suo futuro, si era già detta che sarebbe stata lei stessa l'artefice del suo destino e quel suo pensiero non sarebbe di certo cambiato.
Non sarebbe stata un premio, un oggetto in vendita per il miglior offerente, avrebbe scelto lei ciò che voleva, chi voleva al suo fianco per il resto della vita.
Bussò quindi con tre colpi alla porta, e subito dopo il maggiordomo venne ad aprirle, riconoscendola all'istante.
"Miss Byrne" disse dunque, e Juliet per un momento si chiese se Edward non avesse dato ordine di non farla accedere in casa sua, be' poco importava ormai.
"Lord Stamford è in casa?" domandò lei, senza perdere sicurezza, le sarebbe servita tutta per ciò che si apprestava a fare.
"Sì, è giusto sceso a consumare la colazione."
Juliet non ci pensò quindi due volte, oltrepassando il maggiordomo quasi di corsa, fregandosene delle buone maniere e di ciò che l'etichetta avrebbe imposto, raggiungendo quindi con passo deciso la sala dal pranzo, di cui ricordava l'ubicazione per via della cena di ormai molte settimane prima. Ci entrò quindi dentro, chiudendosi la porta alle spalle senza dare la possibilità a Camille di seguirla, voleva essere sola con il suo interlocutore, non le importava se si sarebbe diffusa qualche voce in giro per la città.
Non le importava più nulla in realtà, se non ottenere quello che in quel momento desiderava.
"Juliet!" Esclamò Edward, tirandosi in piedi di scatto.
"Credo sia Miss Byrne per voi, Milord" disse lei fredda, sapendo che in nessun modo quella volta si sarebbe fatta condizionare dalla sua presenza così vicino a lei.
Edward abbassò il capo.
Juliet fece quindi qualche passo avanti, con quell'aria altezzosa che usava quando voleva farsi rispettare.
"Suppongo che dovremmo parlare Lord Stamford, e vi prego di tenere a mente che ciò che sto per dirvi non è di certo una supplica, piuttosto un promemoria di quelli che sono i vostri doveri in quanto gentiluomo e quindi uomo d'onore" disse quindi sicura, scegliendo accuratamente le parole da usare, riuscendo, in un modo che sorprese persino lei stessa, a non far aprire la bocca ad Edward con un semplice gesto della mano, proprio come faceva sempre la nonna.
"Milord, vi siete preso delle libertà con me, l'abbiamo fatto entrambi in realtà, senza pensare alle conseguenze, ma ora che questo è accaduto, non potendo naturalmente tornare indietro e cambiare ciò che è stato, dovremo pensare alle conseguenze che ciò che abbiamo fatto potrebbe portare" continuò quindi "lo sapete di certo meglio di me che potrei in questo momento essere in attesa, che potrei aspettare vostro figlio" sottolineò per bene quelle due parole sperando di scatenare in lui una specie di senso di colpa.
Camminò avanti e indietro per qualche momento, sperando che lui prendesse la parola, rassicurandola in qualche modo, dicendole che avrebbe fatto la cosa giusta, ma non lo fece, quindi lei si ritrovò a dover proseguire:
"Dunque Milord, credo ormai di essermi resa conto che non siate esattamente incline al matrimonio, non sono così stupida, ma allo stesso tempo so ciò che dice il codice d'onore che voi dovreste seguire... Dovete sposarmi, e dovete farlo in fretta, altrimenti credo che mio fratello si vedrà costretto a sfidarvi a duello e non è di certo ciò che voglio" si avvicinò quindi a lui, guardandolo negli occhi alla ricerca, in attesa di una risposta.
"Dovete farlo, non potete negarlo" disse ancora, per un momento la sua voce si spezzò, e ormai quasi presa dalla disperazione di non ricevere una risposta si lasciò cadere su una sedia, e delle lacrime silenziose le rigarono le guance.
"Edward tu me lo devi, dopo tutto questo me lo devi, non puoi lasciarmi in questo modo, non puoi... Non mi importa se non ci sarà amore, se in questo maledetto matrimonio ci sarà solo odio, potremo vivere vite separate, non parlarci mai più, ti rispetterò solo perché mi sarà richiesto di farlo e tu farai lo stesso con me, non sarà necessario l'affetto... non sarà diverso da tutti gli altri matrimoni dell'alta società come avevo sperato, ma ormai non mi importa più" fissò il suo sguardo in quello di lui "Potrei essermi rovinata, potrei essere incinta lo capisci? Non voglio essere un dispiacere per la mia famiglia, un orrore per la società... Non voglio essere la sola a pagare per tutto questo, per i nostri errori, mentre tu ne uscirai indenne, se dovrò scendere fino all'inferno a causa dei nostri peccati tu lo farai con me. Quindi te lo chiederò in modo chiaro per l'ultima volta, appellandomi al tuo senso dell'onore, sperando che ne sia rimasto anche solo un briciolo, mi sposerai Edward?"
Respirò profondamente, tentando di ricacciare indietro quel turbine di sentimenti, di rabbia e disperazione, e forse anche di amore, che minacciava di venire fuori tutt'insieme all'improvviso come un temporale estivo.
Edward le asciugò le lacrime, non sopportando di vederla in quelle condizioni, sapendo per di più che era stato lui a ridurla in quello stato, come aveva potuto? Come aveva potuto spezzarle il cuore? Eppure non si era persa nella disperazione, aveva ritrovato lucidità e sicurezza, riuscendo a ricordare anche a lui quale fosse la retta via.
"Lo farò Juliet, ti sposerò" rispose dunque "Te lo prometto, e ti prometto anche che queste sono parole sincere: non scapperò più, cercherò, almeno in parte di essere l'uomo che ti meriti."
"Bene" disse lei in un sussurro, ricomponendosi leggermente "Farai le cose per bene naturalmente, dovrai prima andare da mio padre, a chiedere la sua benedizione, e lo farai il prima possibile: voglio che entro domani il nostro fidanzamento sia ufficiale. Non credo sarà necessaria nessuna licenza speciale, sono tre settimane dalle pubblicazioni... tre settimane, non sono un tempo esageratamente lungo, possiamo aspettare, anche se fossi in attesa nessuno potrebbe notarlo, ci saranno meno voci, meno pettegolezzi se non affrettiamo le cose."
"Sono d'accordo."
"Vi aspetterò con ansia Milord" disse infine alzandosi, salutandolo con un cenno del capo, per poi dirigersi in fretta verso casa, un po' più serena e un po' più agitata allo stesso tempo.

Fiori di Luna (in revisione)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora