Il loro soggiorno ad Alessandria fu breve, e pochi giorni dopo il loro arrivo si trovavano già al Cairo. Alloggiavano in una bella villa situata sul corso del Nilo, e Juliet già amava starsene per ore nel patio ad osservare il panorama, con lo scroscio delle acque in sottofondo, ammirando le piramidi che si scorgevano a distanza.
Non vedeva l'ora che Basim l'accompagnasse a visitare il sito, per il momento avevano speso i primi giorni ad ambientarsi.
Edward la raggiunse all'esterno, e si sedette accanto a lei sulla sedia in vimini col cuscino blu che adornava quel patio.
Juliet chiuse gli occhi e si godette il venticello che tirò per qualche momento: era così diverso da quello di Londra, tutto in realtà era diverso, Il Cairo era mille volte più caotica, eppure era anche così colorata, così allegra, laddove Londra le pareva solo grigia e nuvolosa. Era come se fosse tutto perfetto, perfetto per lei quantomeno.
"È strano che qui mi senta molto più a casa che a Londra?" Domandò, senza però aspettarsi una risposta.
"Casa non è necessariamente il posto in cui si vive, è quello che ti fa stare bene, e credo sia evidente che qui tu abbia trovato il tuo" rispose lui, spostandole dietro l'orecchio una ciocca che era sfuggita dalla crocchia disordinata in cui la moglie si era raccolta i capelli quella mattina.
"Sei tu che mi fai stare bene."
Edward sorrise, certo di provare lo stesso, sapendo che con Juliet sarebbe stato felice anche nel posto più remoto al mondo.
Tirò poi fuori dalla tasca un messaggio che gli era appena stato recapitato e lo consegnò alla donna.
"È dal signor Hussein, dice che questo pomeriggio alle quattro potrà condurci alle piramidi" le disse, e subito lo sguardo di lei si illuminò.
Doveva assolutamente visitare la tomba scoperta dal nonno, forse avrebbe avuto il permesso di studiarla meglio per qualche tempo: aveva letto decine di volte della scoperta di quella sepoltura, e sapeva che la struttura appariva strana, come mancante di una parte, e se invece un tesoro fosse stato nascosto proprio sotto il loro naso?
Sì, doveva di certo portare avanti una ricerca, dopotutto era lei l'erede di Joseph.
Sperava inoltre che Basim potesse condurla all'interno della piramide di Chefren, il cui ingresso era stato scoperto soltanto l'anno precedente.
C'era così tanto da scoprire in quella terra, e probabilmente la sua intera vita non le sarebbe bastata per visitare ogni monumento e vedere coi suoi occhi ogni reperto.
Juliet rivolse quindi un sorriso a suo marito.
"Non vedo l'ora" gli disse.Juliet era in sella ad un bellissimo cavallo color miele, davanti a lei le piramidi erano ormai ben visibili. Stavano lasciando alle loro spalle la folta vegetazione che cresceva intorno alle sponde del Nilo per essere accolti fra le braccia del deserto.
Si fermarono alle pendici della piramide di Cheope e Basim fece un ampio gesto indicando una scaletta in pietra appena visibile, che andava a confondersi con la sabbia.
"Credo sia la prima cosa che vogliate visitare Juliet" le disse l'egiziano, facendole segno di entrare.
"Voi non scendete?" Gli domandò lei, dopo avergli rivolto un sorriso.
"È un momento speciale per voi, dovete godervelo appieno."
Juliet iniziò quindi a scendere i gradini, seguita da Edward, ed una volta giunta in quel cunicolo completamente affrescato, con colonne a forma di palma, non poté fare a meno che pensare alle parole del nonno:
Quello che mi ritrovo davanti agli occhi è una meraviglia, qualcosa che mai mi sarei aspettato di trovare.
Mi sento piccolo difronte a tale grandezza, a una tale sapienza posseduta dagli antichi che costruirono questo luogo.
Era proprio vero, Juliet si sentiva talmente piccola, un insulso granello di povere, ed istintivamente strinse fra le mani la collana con l'occhio di Horus che portava al collo: era stata rinvenuta lì vicino.
Camminò lentamente, non sapendo nemmeno su che cosa posare lo sguardo tanta era la bellezza costudita in quel luogo.
La bocca era semiaperta per lo stupore, e senza che nemmeno se ne fosse resa conto si ritrovò con il volto rigato da lacrime di commozione.
Sentiva come se avesse il nonno al suo fianco, come se finalmente riuscisse a capirlo appieno, nel profondo, riusciva ad immaginarlo nel momento in cui il primo di quegli scalini era venuto alla luce, vedeva i suoi occhi brillare di gioia, l'impazienza durante le operazioni per liberare l'ingresso, l'esitazione prima di avventurarsi nel tunnel che conduceva alla camera funeraria, e poi vedeva lo stupore dipingersi sul volto di Joseph, che andava ad illuminare quello spettacolo con una lanterna, lo immaginava commuoversi come era accaduto a lei, con mille emozioni a farle battere il cuore forte nel petto.
Juliet si bloccò nella camera funeraria, dove i due sarcofagi in granito che avevano ospitato le spoglie dei due sposi erano ancora situati: era tutto ciò che la tomba aveva donato agli archeologi che la scoprirono, oltre agli amuleti e oggetti personali ritrovati addosso alle mummie.
Era proprio quella ad essere una delle perplessità del nonno e dei suoi collaboratori: quella sepoltura non sembrava mai essere stata violata eppure mancava il tesoro, anzi la camera dove questo avrebbe dovuto essere conservato sembrava inesistente.
"È...è... Cielo! Meraviglioso non basta..." disse Juliet, guardando il marito, senza però riuscire a trovare le parole giuste per descrivere ciò che aveva davanti agli occhi "Magico, suggestivo di certo..."
"Sublime" provò ad aiutarla Edward, lei annuì, ripetendo poi quella parola, ritenendosi quindi soddisfatta per quella definizione.
Juliet passò le due ore successive a fare schizzi di ogni dettaglio di quella struttura, soffermandosi di tanto in tanto su qualche dettaglio che le appariva strano. Passando la mano su una parete si era resa conto che un affresco rappresentante un falco appariva leggermente in rilievo e realizzato in stucco. Era certa che nulla di simile fosse mai stato documentato, e non rammentava che il nonno avesse mai parlato di un simile dettaglio nel diario della spedizione: che fosse un elemento sfuggito a lui e a suoi collaboratori?
"Edward, vieni qui" disse, voltandosi verso di lui, che a sua volta si era messo a realizzare schizzi, contagiato dall'entusiasmo della moglie.
Gli prese un polso e gli fece passare la mano sulla figura del falco, così che anche lui potesse notare che era in rilievo.
"Non trovi sia strano?" Gli domandò quindi.
"Non lo so, credo dovresti dirmelo tu."
"Be', io non ho mai sentito di nulla del genere."
Edward fece le spallucce: non era in grado di darle una risposta, e se nemmeno lei non sapeva che pensare probabilmente nessun altro avrebbe potuto rispondere a quel quesito.
Il marito chiuse poi il blocco su cui aveva tracciato gli schizzi.
"Credo sia ora di andare" commentò poi, e Juliet annuì, aveva perso la cognizione del tempo, ma era comunque certa di essere rimasta lì dentro fin troppo.
Mentalmente però si promise che sarebbe tornata in quella tomba per studiare meglio ciò che aveva scovato, per trovare delle risposte e magari anche un tesoro perduto.
Il sole nel cielo si era spostato, e stava per iniziare la sua discesa verso ovest.
Basim stava aspettando all'ombra della grande piramide, con un turbante intorno alla testa per proteggersi dal sole e sorseggiando qualcosa da una fiaschetta in metallo.
Alla loro vista si alzò in piedi, andando loro incontro.
"Allora, vi è piaciuta?" le domandò l'uomo, andando ad infilare la fiaschetta nella tasca interna della giacca.
"Molto, un capolavoro dell'antichità di certo" rispose Juliet "E ora Basim, mi chiedevo se poteste condurci all'interno della piramide di Chefren, so che l'ingresso è stato scoperto da poco."
"Sì da un italiano, Belzoni, ma ne siete proprio certa? Ci saranno vari cunicoli angusti da attraversare."
"Ciò non mi spaventa, non sono delicata quanto sembra, ed è piuttosto difficile tenermi chiusa in una gabbia, amo troppo l'avventura... Portateci all'entrata."
Basim sorrise, facendo quindi loro un cenno con la testa per invitare la coppia a seguirlo, dirigendosi quindi verso il lato della struttura su cui si apriva l'ingresso.
Percorsero dunque un lungo corridoio, stretto e basso, ed erano costretti in alcuni punti a proseguire accovacciandosi. L'aria era soffocante, umidissima, e faceva sudare loro la fronte. Le pareti non erano come quelle della tomba scoperta da suo nonno che assomigliavano quasi alla Cappella Sistina, completamente affrescate, erano spoglie, soltanto di nuda roccia. Eppure quel cunicolo, semplice com'era, illuminato soltanto dalla torcia che Basim teneva in mano, aveva un'aria mistica, le faceva provare suggestione.
Appena il corridoio si fece più ampio Juliet si fermò e annodò la gonna del suo abito lasciando scoperti i polpacci, così da avere più libertà di movimento, mentre Edward si decideva ad abbandonare le convenzioni e a sfilarsi giacca e panciotto, che abbandonò per terra decidendo che li avrebbe recuperati uscendo, restando solo con la camicia, a cui arrotolò le maniche, ormai troppo stremato dal caldo.
Ripresero poi a camminare senza dire una parola, accompagnati soltanto dallo scoppiettio delle fiamme. Era come se la presenza del faraone li stesse osservando, e loro proseguivano quindi col capo chino, in religioso silenzio, proprio come avevano fatto, millenni prima, i sudditi di quel dio che aveva camminato sulla terra.
Giunsero infine all'entrata della camera sepolcrale, e, dopo essersi accovacciati un'ultima volta, furono accolti da un ambiente grandissimo, degno di un re che era anche un dio. Il soffitto a spioventi doveva essere alto circa cinque metri.
La prima cosa che Juliet notò fu la scritta lasciata dall'esploratore italiano, e che andava ad occupare quasi l'intera parete.
"Scoperta da G. Belzoni. 2 Mar. 1818." lesse Juliet, traducendo dall'italiano, e lasciando i suoi due compagni sorpresi.
"Non sapevo conoscessi anche l'italiano mia cara" disse Edward, sentendosi fiero di avere Juliet come moglie.
"Una volta mi ero messa in testa di dover leggere La Divina Commedia in lingua originale, alla fine dovetti aiutarmi con la traduzione inglese, ma in compenso imparai un po' d'italiano" spiegò distrattamente la moglie, avvicinandosi al sarcofago che una volta aveva accolto le spoglie del faraone, iniziando a realizzarne un veloce schizzo.
Edward sorrise: era proprio da lei in effetti. Andò poi a sedersi in un angolo della sala, riposando così le sue gambe stanche da quella passeggiata per i cunicoli, che si erano rivelati più insidiosi di quanto avesse immaginato.
Una mezz'ora più tardi furono di nuovo all'aperto, ed Edward fu grato come non mai dell'aria fresca.
Basim mostrò loro qualche ritrovamento interessante qua e là per il sito, e poi presero la strada per il ritorno mentre il cielo si colorava di rosso.
Quando giunsero a casa la luna aveva ormai occupato il posto del sole, e una donna, che teneva due bambini sui cinque e dieci anni per mano, li aspettava sul viale che conduceva alla porta di ingresso. Indossava un abito di un azzurro molto acceso, e che le ricadeva addosso molto morbidamente, il capo era coperto da un velo dello stesso colore, che lasciava intravedere solo la parte frontale dei capelli, le ricordò un dipinto cinquecentesco della Madonna che aveva visto una volta in una chiesa in Scozia.
Consegnarono i cavalli allo stalliere, e Basim si diresse verso la donna parlando in arabo. Edward e Juliet si guardarono, domandandosi se ci fosse da preoccuparsi.
L'egiziano si voltò poi verso di loro, sorridendo e prendendo in braccio la bambina che doveva avere circa cinque anni.
"Posso presentarvi mia moglie Bashira, e i miei due figli più piccoli: Aida e Samir" disse poi, e i due bambini salutarono timidamente con la mano.
La donna fece invece un passo verso la coppia, e facendo un piccolo inchino disse, in un inglese più incerto rispetto a quello del marito:
"Sono felice di conoscervi, Lord e Lady Stamford."
"Vi prego, chiamatemi soltanto Juliet" disse lei, rivolgendo un sorriso candido alla donna: non voleva che le formalità riuscissero ad afferrarla anche lì, dove finalmente si sentiva libera.
Parlare con quella donna le risultò facile, quasi come se l'avesse sempre conosciuta, e subito seppe che il loro legame sarebbe diventato presto molto solido.
Juliet quindi invitò la coppia e i loro due figli ad entrare in casa e fermarsi per la cena.
"Non vorremmo essere di peso" ribatté Bashira, chinando leggermente il capo.
"Non lo sarete, ve lo assicuro" la rassicurò lei, prendendola sottobraccio e allungando una mano verso Samir con gentilezza, prendendo quindi il bambino per mano, iniziando a camminare verso l'ingresso "Vostro marito ha fatto talmente tanto per me dal mio arrivo qui che il minimo per ripagarlo è offrirvi una cena."
Bashira le sorrise riconoscente.
"Non vi dispiace signor Hussein, vero?" Chiese Edward, allungando una mano verso la piccola Aida così da condurla in casa.
"No, naturalmente" rispose lui, sorridendo, invitando la figlia ad accettare la mano che il conte le porgeva.
La bambina iniziò quindi a camminare timidamente a fianco di quell'uomo, con Basim a seguirla, felice dell'affetto con cui la coppia inglese trattava la sua famiglia.
"Aida, è il nome di una principessa se non sbaglio" disse poi Edward, volendo conquistarsi le simpatie della bambina.
"Mi piacerebbe essere una principessa, e avere un castello" rispose lei annuendo, in un inglese piuttosto buono.
"Allora vi invito a visitare la mia proprietà nello Lincolnshire quando vorrete, è un meraviglioso castello."
Lo sguardo della piccola si illuminò di gioia.
Giunsero quindi in salotto dove Juliet, che aveva fatto accomodare lì gli ospiti in attesa della cena, intratteneva madre e figlio raccontando loro il mito di Orfeo ed Euridice.
"Non la rivide più?" Domandò il bambino a Juliet, una volta che lei fu giunta alla fine della storia.
"Be', lui continuò ad amarla per tutti gli altri giorni che gli dei gli concessero, e alla fine, quando anche lui scese nell'Ade la ritrovò, così ora si aggirano lì, fianco a fianco" spiegò lei, e Samir annuì, più soddisfatto da quel finale.
La cena fu semplice, ma comunque ottima, tanto da far ricevere alla cuoca complimenti da tutta la tavolata.
Juliet osservò Edward parlare ai bambini con dolcezza e simpatia, riuscendo subito a buttare giù il muro della timidezza e a farseli amici. Si chiese come sarebbe stato quando avrebbero avuto dei figli, forse la vita sarebbe assomigliata a quell'adorabile scena che si svolgeva davanti ai suoi occhi. Dopotutto la nonna aveva ragione quando le aveva detto che Edward sarebbe potuto essere un padre meraviglioso.
Alla fine della cena tornarono nuovamente in salotto, dove Edward offrì del liquore a Basim, mentre Juliet prendeva a conversare con Bashira.
Continuarono a parlare fino a tardi, come se fossero stati vecchi amici.
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Fiori di Luna (in revisione)
Historical FictionNon riuscì a ribattere, la sua bocca rimase semiaperta, ed Edward non riusciva a staccare lo sguardo da quel viso angelico, da quelle labbra rosse che imploravano di essere baciate. Non potè trattenersi, gli fu impossibile, annullò la distanza fra i...