Era felice di essere di nuovo in campagna, in quella che realmente era casa sua, si sentiva meno tesa, meno schiacciata dalle aspettative che tutti avevano su di lei a Londra.
La nonna, dopo il ritorno dello zio Michael, aveva deciso di darsi all'organizzazione di un grande evento, così da distrarsi un po' e calmare i nervi: il giorno seguente tutte le più importanti famiglie della nobiltà inglese sarebbero giunte ad Hathor House per quello che forse sarebbe stato l'avvenimento più memorabile di quella stagione.
Juliet era stata incaricata di passare in rassegna tutte le stanze degli ospiti, che, va specificato, erano davvero tante, per assicurarsi che tutto fosse in perfetto ordine, lei però ne aveva approfittato per curiosare qua e là, ma di certo non lo avrebbe mai ammesso.
Attraversò il corridoio privato che conduceva ad un salone più piccolo rispetto a quello principale, dove si apriva uno scalone in marmo che conduceva all'ala privata della famiglia, in cui si trovavano tutte le loro camere.
In una nicchia, proprio alla fine della scalinata, si trovava la statua di Bastet, la dea gatta, mentre dal lato opposto, in fondo al corridoio, si trovava la sua controparte: Sekhmet, la leonessa.
"Non sono davvero meravigliose? Di certo i miei reperti preferiti tra quelli che possediamo, due lati di una stessa persona: la protezione e la guerra" disse a Camille, che la accompagnava in quello che era letteralmente un viaggio, avrebbero camminato molto, Juliet non era sicura di aver mai percorso tutti i corridoi in una stessa giornata.
"Lo sono signorina" le rispose la cameriera, lei sorrise soddisfatta.
La prima camera ad aprirsi proprio di fronte alle scale era lo studio, Juliet decise di darci un'occhiata veloce, aprendo la porta e restando sulla soglia: da bambina aveva passato ore in quella stanza, osservando il nonno lavorare, e trovarla vuota le faceva sempre uno strano effetto, come se qualcosa mancasse.
Comunque, come aveva sospettato, tutto lì era in perfetto ordine.
Passò quindi davanti alla camera di Howard, che era certamente perfettamente rassettata visto che il fratello non sopportava il disordine, oltrepassò poi la piccola biblioteca e la sua stanza, alla quale seguiva quella di Raphael e poi quella di Daniel. Di fronte si trovavano le camere degli zii e dei suoi genitori, e, proprio vicino alle scale la camera di Frederick, aprendo la porta si ritrovò immersa nel caos, ma tanto nessuno sarebbe mai entrato nella stanza del cugino, quindi di certo non sarebbe servito un richiamo da parte sua.
Di fianco a questa si trovava la porta che conduceva agli appartamenti del conte e della contessa, decise di non ispezionare quella stanze che di certo sarebbero state perfette.
Si diresse quindi in fondo al corridoio, dove si trovava una delle stanze degli ospiti più belle, seconda soltanto a quella riservata a sua maestà nel caso avesse fatto loro visita: la nonna l'aveva assegnata ad Edward, che sarebbe giunto lì quel pomeriggio, prima degli altri ospiti, visto che aveva approfittato di quell'evento per andare a controllare la sua tenuta di campagna, quella confinate con la loro. La nonna, non volendo che scomodasse la servitù e volendo comportarsi da impeccabile padrona di casa, lo aveva invitato a soggiornare da loro.
La camera era ovviamente perfettamente pulita, Juliet si limitò quindi a lasciare sulla scrivania, in bella mostra, il programma per quella settimana che la contessa aveva fatto stampare.
Si spostò quindi nell'area ovest della grande villa, ripetendo lo stesso procedimento per tutte le stanze degli ospiti.
Alla fine di tutta questa operazione scese al piano terra, andandosi a sedere, ormai sfinita, nel salottino rosa, il suo preferito.
"Non pensavo potesse essere tanto faticoso" affermò, buttando la testa all'indietro osservando il bel soffitto affrescato "Camille, non è che riusciresti a preparami un bagno?" Chiese poi, portando lo sguardo sulla cameriera.
"Certo signorina, vado subito" rispose l'altra.
"Grazie mille."
Rimase quindi sola, indecisa sull'andare in biblioteca a prendere qualcosa da leggere o meno, i suoi pensieri furono però interrotti da Wilson:
"Miss Byrne, mi dispiace disturbarvi" le disse il maggiordomo.
"Oh, non preoccuparti Wilson, che succede?" Domandò dunque lei.
"Vostro fratello Raphael è giunto qui in questo momento."
"Fallo pure accomodare qui con me, sarà di certo esausto poveretto... E fai portare del tè, con quei biscotti al burro che a lui piacciono tanto... Oh, poi dovresti di certo informare gli altri."
"Certo signorina."
Fece quindi un veloce inchino, per poi sbrigarsi ad esaudire tutte le richieste che Juliet gli aveva fatto.
"Oh Raphael!" Esclamò quando il fratello la raggiunse nel salottino, andandogli incontro per abbracciarlo.
"Sorella" la salutò lui.
"Allora come è andato il viaggio?" Gli fece cenno di sedersi.
"Molto bene."
"E i tuoi studi?"
"Vanno bene."
Juliet lo fissò per un momento, lisciandosi la gonna del vestito.
"Hai davvero soltanto questo da dirmi? Non ci vediamo da quasi quattro mesi oramai, sarà pur successo qualcosa di interessante."
"Sono successe molte cose in realtà, ma Juliet non sono sicuro che potrei dirtele senza essere linciato dalla nonna."
"Argomenti non adatti alle orecchie di una giovane debuttante? Qualcosa di scandaloso fratello?"
"Esattamente."
"Di certo non puoi aver fatto peggio di Howard, sai che è finito su un giornale di cronaca scandalistica?"
"Ho letto quell'opuscolo in realtà... La mamma che ha detto? Oh cielo, non oso immaginare la reazione della nonna..."
"In realtà non sanno niente."
"Ma... come è possibile? Loro sanno sempre tutto."
"L'opuscolo potrebbe aver preso fuoco accidentalmente."
"Accidentalmente dici?"
"Mhn mhn" annuì.
"Non starai ricattando di nuovo Howard."
"Può darsi..."
"Juliet sei davvero terribile! E poi ti descrivono come la donna più angelica di Londra... Chissà se avresti ancora tutti quei pretendenti se sapessero come sei davvero" Raphael scosse la testa, più divertito che altro.
"Ti assicuro che sta volta è per una buona causa, sto aiutando un'amica."
"Lo spero davvero."
Una cameriera entrò nella stanza con il tè che aveva ordinato, e velocemente sistemò il tutto sul tavolino.
"Grazie, faccio io" disse Juliet, facendo segno alla donna di uscire dalla stanza, volendo continuare a parlare liberamente col fratello.
Versò quindi la bevanda calda nelle due tazzine.
"E tu in che casino ti sei andato a cacciare invece?" Chiese quindi al fratello, dopo essersi assicurata che la domestica fosse ormai abbastanza lontana dalla stanza.
"Non credo questo sia il luogo più adatto, e soprattutto più sicuro per parlarne."
"Allora è qualcosa di grosso! Non è così fratello? Voglio sapere tutto, che ne dici se a mezzanotte in punto ci incontriamo nella piccola biblioteca così da fare quattro chiacchiere in completa libertà? Come ai vecchi tempi."
"Con come ai vecchi tempi intendi qualche mese fa?"
"Sembra ormai passata un'eternità, dal mio debutto mi sembra di essere un'altra persona... Non hai risposto alla mia domanda."
"Ci sto" le disse infine, appoggiandosi sullo schienale della poltrona, con fare rilassato, socchiudendo gli occhi, finendo quindi seduto in un modo che la nonna non avrebbe di certo definito elegante.
La mamma li raggiunse proprio in quel momento:
"Raphael, tesoro mio, stai bene? Il viaggio è stato pesante? E gli studi?"
Il ragazzo al suono di quella voce si tirò su dritto all'improvviso, probabilmente sospettando che ci fosse anche la nonna al seguito, ma con lei c'era soltanto loro padre.
Juliet soffocò una risata.
"Mamma! Sono tante domande insieme" disse Raphael, alzandosi così da abbracciare la donna, posandole un bacio sulla guancia con affetto.
"Scusami è che non ti vedo da tanto tempo."
"Comunque gli studi vanno a gonfie vele, mi piace molto ciò che sto apprendendo attualmente."
"I tuoi insegnati parlano molto bene di te" disse Peter, dando poi una pacca sulla spalla al figlio "continua così mi raccomando."
Raphael annuì.
"Gradite del tè?" Si intromise Juliet, sollevando leggermente la teiera.
"Sì, grazie mille cara" rispose la mamma, dandole una carezza sulla guancia prima di accomodarsi sul divano a due posti di fianco al marito.
Per un momento Howard si materializzò sulla porta del salottino, sorridente come non lo vedeva più da un po' ormai.
"Ben tornato fratellino! Più tardi potremmo fare una partita a biliardo" propose a Raphael.
"Certo fratello" rispose l'altro.
"Abbiamo tanto di cui parlare."
Poi sparì nuovamente e andò a fare chissà che cosa, chissà dove.
Per un momento Juliet si sentì amareggiata: avrebbe voluto che ammettessero anche lei a quelle partite, ma i suoi fratelli e i suoi cugini ci tenevano sempre a specificarle che quello era un passatempo solo da uomini. Il problema più grande era che, essendo lei l'unica nipote femmina della famiglia, durante quelle loro serate di gioco lei si ritrovava sempre a ricamare insieme alla mamma e alla nonna nel salotto, e le due donne non mancavano mai di darle consigli non richiesti su come accaparrarsi un marito il più velocemente possibile. Non riusciva a credere che il suo unico scopo nella vita potesse essere sposarsi.
Avrebbe voluto viaggiare, scoprire cose nuove, essere quantomeno la metà di ciò che era stato suo nonno, e forse se avesse incontrato la persona giusta avrebbe potuto avere tutto questo, ma sapeva che nella maggior parte dei casi il matrimonio per una donna era cercare di avere un figlio, maschio possibilmente, così da assicurare un erede al marito.
L'idea che tra qualche mese si sarebbe potuta ritrovare in attesa la faceva rabbrividire: non che non volesse bambini, tutt'altro, ma le sembrava fosse ancora troppo presto e aveva ancora così tanto da fare prima di dover dedicare tutta se stessa alla famiglia. Non aveva mai capito perché agli uomini fosse sempre concesso più tempo...
Insomma, suo fratello aveva ventisei anni e ne avrebbe fatti ventisette a luglio, eppure nessuno gli metteva pressione, mentre lei, che avrebbe compiuto diciannove anni il mese successivo, doveva sposarsi il più in fretta possibile per non ritrovarsi zitella.
Sorseggiò il tè, cercando di nascondere la sua irritazione.
"Signorina" Camille entrò nel salottino, riportandola alla realtà "il vostro bagno è pronto."
"Certo" si alzò di scatto "ci vediamo più tardi allora" disse poi per salutare i suoi familiari, prima di avviarsi insieme alla cameriera verso il piano superiore.
Nel salone che precedeva le scale incontrò la nonna, che si dirigeva verso il salottino rosa.
"Juliet!" Esclamò fermandola.
La ragazza le rivolse un sorriso cordiale, pregando che la lasciasse andare in fretta, non vedendo l'ora di immergersi nell'acqua calda e rilassarsi un po'.
"Edward dovrebbe giungere qui tra qualche ora, potresti accoglierlo tu?" La contessa lo chiamava spesso per nome, lo conosceva fin da quando era un bambino, di certo era stata quasi una terza nonna per lui, dato la grande amicizia che l'aveva unita con l'ormai defunto conte di Stamford.
Comunque se le faceva quella domanda c'era solo un motivo: anche lei aveva constatato che improvvisamente aveva iniziato a trattarla con più interesse, che ormai poteva essere considerato come un vero e proprio corteggiatore. Come aveva potuto essere così stupida da pensare che nessuno nella sua famiglia lo avesse notato?
Lei ed Edward avevano cenato insieme, danzato e passeggiato probabilmente più di quanto fosse consono, e poi i fiori che le inviava... sembravano sempre scelti con attenzione al significato, un significato inequivocabile per chi come sua nonna conosceva alla perfezione il linguaggio dei fiori.
L'ultimo era stato un grazioso mazzo di viole: pensami.
A quel punto a Juliet era sembrato che il mondo avesse cambiato il suo asse, si era quindi trovata completamente disorientata.
"Lo farò" rispose alla nonna, pur avendo tutti quei pensieri a martellarle in testa.
Riuscì infine a raggiungere il bagno: Camille le raccolse i capelli in un morbido chignon, l'aiutò svestirsi, e finalmente poté immergersi nell'acqua calda e profumata di gigli.
Per un momento chiuse gli occhi, e tutto quello che poté udire fu pace, inspirò profondamente, prima di portare lo sguardo sulla sua cameriera.
"Camille, tu sei mai stata innamorata?" Le chiese quindi: sentiva quel dubbio insinuarsi sempre di più nel suo cuore, e se Edward fosse realmente stato quello giusto?
Forse era talmente ingenua da farsi scappare dalle mani una cosa magnifica come l'amore.
"No, ma ho visto tante persone innamorate... Sapete mia sorella maggiore si è sposata appena qualche mese fa con l'uomo che ama, e poi ho visto la vostra famiglia. Credo di aver imparato qualcosa sull'amore ormai" rispose la ragazza, Juliet annuì.
Si sentiva incredibilmente stupida, era circondata da amore eppure non aveva idea di come fare a riconoscerlo, forse aveva davvero passato troppo tempo con la testa sopra ai libri, in un mondo polveroso di antichi manufatti riemersi dalle sabbie del deserto, forse davvero avrebbe dovuto fare più attenzione alle parole di sua nonna, piuttosto che immaginare di trovarsi a dirigere una campagna di scavi.
Aveva passato troppo tempo ad immaginare un futuro che probabilmente non si sarebbe mai avverato, dimenticandosi della realtà.
"Tu come lo descriveresti?" Le sembrava ormai ovvio che Camille ne sapesse più di lei in materia.
"Credo sia difficile trovare parole adatte in verità... però è quell'emozione che ti fa battere forte il cuore e ti fa brillare gli occhi, quella sensazione che la vita sia meravigliosa grazie alla presenza di quella persona. L'amore è il miglior dono che la vita possa farci."
"Pensi che l'amore possa anche farti sentire disorientata?"
"Forse sì, ma parlo senza averlo mai sperimentato signorina... Di certo il più delle volte non basta un solo sguardo, ci vuole tempo e una coltivazione premurosa, proprio come si fa per crescere una bella pianta, ma alla fine la consapevolezza dell'amore colpisce sempre all'improvviso, quando meno te lo aspetti, in un certo senso si ha sempre quel cosiddetto colpo di fulmine."
Juliet restò poi a riflettere, senza più dire una parola.
Forse si era innamorata."Lord Stamford benvenuto!" Esclamò accogliendo l'ospite cortesemente come le era stato insegnato, il suo futuro era diventare una padrona di casa dopotutto "Il viaggio è andato bene?"
"Alla perfezione, non vedevo l'ora di respirare di nuovo un po' d'aria di campagna, trovo Londra soffocante" rispose lui.
"Non sono l'unica ad avere questa opinione allora".
Rimasero quindi qualche momento a fissarsi negli occhi, uno sguardo profondo, che cercava di dire molte cose.
Ad un certo punto, in imbarazzo, Juliet interruppe quel contatto visivo che la faceva sentire fin troppo a nudo.
"Sarete stanco" continuò quindi dopo un momento di esitazione "lasciate che vi mostri la vostra camera."
Gli fece quindi strada verso il corridoio che conduceva alle camere, naturalmente sempre scortata da Camille che le faceva da chaperon.
"Queste sono tutte le stanze della mia famiglia, quella porta conduce ad una piccola biblioteca, vi custodiamo alcuni volumi molto interessanti" spiegò quindi Juliet, non riuscendo più a tenere la bocca chiusa, il silenzio era sempre troppo assordante per i suoi gusti.
"Ad esempio?" Le chiese Edward, le sembrava realmente interessato.
"Per me i libri più preziosi sono i diari scritti da mio nonno durante le sue numerose spedizioni, un'opinione naturalmente del tutto personale e per niente oggettiva, comunque ci sono anche edizioni rare di molti poeti greci e latini, sia in lingua originale che tradotti in inglese."
Giunsero quindi alla fine del corridoio e Juliet non poté fare a meno di posare per qualche istante lo sguardo sulla meravigliosa statua della dea leonessa: era magnifica e le dava sempre una certa carica, della forza in più.
Aprì poi la porta della camera degli ospiti.
"Ecco la vostra stanza, mia nonna ve l'ha assegnata personalmente e spera sia di vostro gradimento" gli disse quindi.
"È perfetta, grazie" rispose lui.
"Ora vi lascio riposare, di certo ne avrete bisogno, ma se vi va più tardi potrei mostrarvi la casa, Hathor House è davvero immensa ed è difficile orientarsi inizialmente, servirà una bella rinfrescata di memoria anche a voi che ne siete stato un assiduo frequentatore. La cena è alle sette."
Fece quindi per andarsene, ma fu bloccata dall'altro proprio sull'uscio della porta.
"Miss Byrne" disse lui.
"Sì?" Juliet era praticamente pietrificata, non sapeva che cosa aspettarsi, avrebbe potuto dirle qualsiasi cosa in quel momento, fare una battuta come chiederle di sposarlo.
Oh cielo! Si era cacciata in un disastro, in un completo disastro!
Avrebbe dovuto badare meno ad Edward e passare più tempo con Lord Lewis.
Lui però non continuò e forse quello le fece ancora più paura delle parole: odiava il silenzio, non lo sopportava, soprattutto se era uno di quei silenzi che non parlava, che non serviva ad esprimere qualcosa per cui non esistevano termini.
"Lord Stamford?" Sperava che le dicesse qualcosa, che completasse quella conversazione lasciata a metà, sospesa in modo davvero irritante.
"Fa niente... Ringraziate vostra nonna per la premurosa accoglienza" le disse infine, e lei non seppe con quale autocontrollo riuscì a non sbottare.
"Lo farò."
Uscì quindi da quella stanza, sentendosi all'improvviso senza fiato, come se lo avesse trattenuto per tutto quel tempo, e forse effettivamente era così: si era aspettata una frase, una qualche risposta alle sue domande, un qualcosa insomma! Invece in quel momento si trovava con ancora più quesiti a farle esplodere il cervello, a farle sentire un peso sul petto, ed era sicura che per qualche giorno sarebbe stata tormenta da tutto ciò senza possibilità alcuna di scacciare via il pensiero dalla sua mente.
Si rintanò in camera sua, e si ritrovò a fissare il soffitto in cerca di una risposta.
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Fiori di Luna (in revisione)
Historical FictionNon riuscì a ribattere, la sua bocca rimase semiaperta, ed Edward non riusciva a staccare lo sguardo da quel viso angelico, da quelle labbra rosse che imploravano di essere baciate. Non potè trattenersi, gli fu impossibile, annullò la distanza fra i...