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— ESME —

circa due mesi dopo...

Domenica.
Il mio giorno della settimana preferito.
Niente lavoro e solo relax e qualche commissione per riempire il tempo.

Stavo dosando le medicine a mio padre, quando il telefono squillò. Il numero dell'agenzia sul display mi fece prendere un colpo, ma mi ricomposi e poi accettai la chiamata.
«Pronto?»
«Signorina, l'ho appena iscritta ad una conferenza. Venga in azienda tra 5 minuti» Nuñez mi mise giù senza neanche darmi il tempo di ribattere.

Sbuffai infastidita, al pensiero che la mia giornata che doveva essere all'insegna della tranquillità, era stata distrutta da un compito dell'ultimo minuto.

Ad ogni modo, non potevo sottrarmi al dovere quindi dissi a Felipe di far da solo e andai a cambiarmi dal momento che ero ancora in pigiama – giustamente. Scelsi la prima cosa che trovai nell'armadio: un completo blu notte con pantaloni a palazzo e giacca elegante. Misi una camicia bianca sotto e arraffai la borsa, buttandoci dentro al volo il cellulare.

Uscii sbattendo per sbaglio la porta e sentii mio padre imprecare. Odiava quando lo facevo, ma in quel momento andavo così di corsa che non potevo preoccuparmene.
Non era certo importante e io non potevo permettermi di arrivare in ritardo.

Salii sulla mia Panda 4x4 grigia del 1983. Mio padre me la comperò dopo aver passato l'esame per la patente e io l'ho sempre amata. Era piccola, ma comoda e perfetta per me che dovevo usarla solo per andare avanti e indietro da lavoro o al supermercato.

Feci retromarcia e mi inserii nel traffico cittadino, cercando di superare i perditempi dove mi fu possibile, premendo sull'acceleratore un po' di più rispetto a quanto indicavano i cartelli. Per fortuna, non ero troppo lontana quindi arrivai in poco tempo, ma ebbi qualche difficoltà a trovare parcheggio.

Fui costretta a farlo lontano dall'agenzia e così per non sforare di troppi minuti, corsi nonostante io non sia mai stata il tipo adatto a fare sport.
Arrivai che mi mancava il fiato, i capelli completamente spettinati e qualche rigolo di sudore sulla fronte. Impresentabile, in sintesi.

Mantenni la calma e mi sistemai un attimo come riuscii per poi alzare le mani e mostrarmi sicura. «Se mi date due minuti dopo... Possiamo andare?»

Il mio capo e l'uomo in sua compagnia, che probabilmente era l'autista, mi squadrarono dalla testa ai piedi per qualche secondo con disgusto, ma poi il primo annuì. «Ok, salga» decise, facendomi segno di entrare nell'abitacolo del gioiellino poco lontano: una Maserati Ghibli, nera e lustrata a regola d'arte.

Un imponente berlina lunga quasi cinque metri e larga circa due. Vi avvicinai, osservando con curiosità la sua linea, muscolosa e filante, data anchedal tetto distante soli centoquarantasei centimetri dal suolo che le conferisce la grinta di una coupé. È Il connubio di sportività e lusso e questo si ritrova pure nell'abitacolo, elegante e realizzato con ampio ricorso a materiali pregiati: i rivestimenti in pelle sono di serie per i sedili e altri dettagli in fibra di carbonio, legno laccato oppure radica.
Confortevole, grazie in particolar modo alle sospensioni elettroniche e bene insonorizzata a velocità costante con cambio rapido, automatico, sequenziale a otto rapporti. Insomma, una vera "belva" capace di dare grandi soddisfazioni in strada quanto in pista.

Lui mi seguii e l'altro uomo, un armadio per via della sua stazza piuttosto mascolina, si infilò dietro il volante per mettere in moto e partire.

«Bella vero?» iniziò alludendo all'auto.
«Si, davvero. Quanti cavalli ha?» dissi in risposta sistemandomi sul sedile di pelle bianca.
«Può variare dai 330 ai 580. Questa ne ha il massimo e va da zero a cento in 4,3 secondi.»

CRASH | Errore di PercorsoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora