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— ANDRES —

«Sei così brutale con lei. Perché? Che t'ha fatto?»

Alexio mi stava tenendo le punte dei piedi in modo che io mi allungassi per raggiungerle e stendere i muscoli.

Lo guardai male. «La sua presenza, mi da fastidio» risposi soprappensiero, soffermandomi però a guardare Esme.
Proprio in quel momento stava salutando il suo accompagnatore, che aveva un'aria davvero famigliare...come lei.

Lo vidi scoccarle un bacio sulla guancia e poi andare lasciandola a Hernández che prese a parlarle di qualcosa. Non avevo ancora idea di dove quella ragazza mi avrebbe portato, ma mi ritrovai a pensare che il modo in cui rigirava la penna tra le dita era qualcosa di assolutamente sexy. E ipnotico, sebbene non fosse nulla di che.

«Magari è simpatica in fondo» ribatté in sua difesa il mio amico risvegliandomi con una pacca sulla spalla.
Sbuffai, nauseato. «Odio il tuo ottimismo, è eccessivo» mi alzai con agilità. «E poi, davvero, sai che palle averla intorno tutto il tempo?»
Vega mi ignorò e cambio discorso. «Beh, io devo andare. Ci vediamo stasera, no?»

Annuì e lo lasciai andare. Lo vidi andar a congedarsi anche con la giornalista e il nostro mentore che decide di accompagnarlo. Io allora, colsi l'occasione per avvicinarmi a lei, che si stava allontanando verso uno spogliatoio. La seguii di soppiatto e poi, feci la mia entrata.

«É il tuo ragazzo, il moro?»
Lei sobbalzò e si volse verso di me, che si avvicinai sicuro pretendendo una risposta.
«No, è solo...carino con me» disse scrollando leggermente le spalle.
«Io non ne sarei così sicuro.»

Era evidente che tra i due c'era qualcosa e non mi andava giù. Per qualche motivo a me ancora sconosciuto, lo odiavo.

«Senti, stanne fuori, ok? Non sono affari tuoi.»
Fece per uscire, ma la bloccai, parandola contro il muro di strucco. Il braccio destro a ostacolarle la strada così da non farla scappare.

Mi soffermai un momento sui suoi occhi, così verdi e brillanti. Ma allo stesso tempo vuoti e spenti.
Il mio cuore, ebbe un sussulto, ma lo ignorai e passai oltre sebbene il mio subconscio mi dicesse di smetterla perché in realtà io non ero così.
«Sarà, ma a questo punto neanche tu dovresti essere qui.»

«RIVA!»
Venimmo interrotti proprio quando stavo per sfiorare la sua pelle.

Hernández mi strattonò lontano da lei, che ne approfittò per andarsene prendendo la borsa al volo. Scappò come una ragazzina impaurita e io mi resi conto di cosa avevo fatto, anche se improvvisamente un piccolo stato di confusione mi invase.

Il coach mi schioccò le dite davanti al naso per aver la mia attenzione e io sbattei le palpebre. «Lei resta. Può scriverti un bel articolo e fare la differenza per la tua immagine, quindi cerca di non mostrarle solo la parte peggiore di te.»
Detto questo, mi liberò. Quindi, andai a farmi una doccia fredda.

Dopo di che, arraffai le mie cose e uscii dal palazzetto constatando che anche Pedro era andato a casa. Fermai un bus che stava passando e salì.
Mi fermai all'ospedale, decisamente più tranquillo di qualche momento prima e una volta attraversate le porte scorrevoli all'ingresso, mi diressi al reparto neonatale.

Il personale in servizio alla reception mi accolse e io salutai in risposta con un cenno. Proseguii fino a metà corridoio e mi fermai davanti alla porta numero dodici. Bussai e una vocina mi invitò a entrare.
La stanza era quella di sempre e il bambino sul letto anche, ma diversamente dalle volte precedenti sembrava -per fortuna- stare meglio. I suoi lineamenti erano meno stanchi, i capelli castani attraversati da qualche ciocca rossiccia erano in ordine e i suoi piccoli occhi color nocciola splendevano.

CRASH | Errore di PercorsoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora