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— ANDRES —

Era pericoloso, ma non m'importava più.

Esmeralda Diàz aveva accettato di avermi nella sua vista e permesso persino di toccarla. Non potevo mandare tutto a puttane.

Ero nel suo mirino ormai e ne fui colpito. La colpa era mia, sicuramente, per non esser stato capace di resistere agli istinti. Ma come si fa quando hai davanti la ragazza giusta?

Volevo vergognarmene e non ci riuscivo.

Sapevo che ero nei guai eppure andai loro incontro senza preoccuparmene perché seppur senza far materialmente nulla, lei era riuscita a portarmi in posti in cui non ero mai stato.

Tipo la pace assoluta; quando parlavamo.

Forse saremo stati un problema, però non volevo pensarci. Se l'avessi fatto, sarei andato dritto da Esme a confessare tutto distruggendo anche quella piccola fetta di bontà che avevo riservato apposta per lei da anni.

*

Arrivò dicembre e i giorni di conseguenza si fecero più freddi e corti. Io ed Esme cominciammo a uscire sul serio insieme e oltre alle notti passate a esplorare l'uno l'altra sotto finte spoglie; io da buon partner tenevo a mostrarle quanto fossi contento di averla a mio fianco. E proprio per questo verso la fine del mese, un weekend, le mandai un messaggio di prima mattina sapendo di non disturbarla.

- Ore 9:00 sotto casa tua. Non fare tardi.

Dove mi porti? -

- Sorpresa, mia cara. Sorpresa.

Posai il cellulare sul tavolino davanti alla poltrona del salotto e mi voltai. Ammirai la mia libreria piena di romanzi classici e poesie.

Li passai velocemente con lo sguardo e m'allungai per coglierne uno in alto a destra. Una raccolta di Shakespeare. Alcune pagine mancavano perché trattarsi di un'edizione limitata e risalente al diciannovesimo secolo. 

Avevo da sempre una passione per l'arte letteraria e a me piaceva pensare che fosse stata la mia nonna materna a trasmettermela. Era l'unico membro della mia famiglia che davvero avevo conosciuto perché ogni tanto veniva a trovarmi.

Lei come me coglieva la profondità di quelle parole incise con l'inchiostro e seriamente ponderate da coloro che le avevano trascritte.

Cercava la meraviglia nella parola, nel linguaggio di altre culture e andava in esplorazione di nuovi pensieri filosofici da prendere come ispirazione per la quotidianità. E io per questo l'adoravo perché molto simile a me.

Le prime volte in orfanotrofio non si presentò ufficialmente per non destar sospetto ai miei veri genitori che invece si fregavano altamente del proprio figlio. Poi imparando ogni volta a conoscermi maggiormente si concesse qualche confidenza.

Si chiamava Enriqueta Piper e portava vestiti di un'altra epoca, orlati da pizzi e merletti, occhiali tondi e una borsetta rossa. I capelli grigiastri stavano raccolti in una chiocciola dietro la nuca e la pelle era costellata da macchie date dall'età. Ma non importava il suo aspetto, era mia amica. La prima e unica che avessi mai avuto.

Comunque, lei purtroppo non riuscii a venir per molto e presto fu costretta a lasciarmi per un attacco di cuore che me la portò via.

Da quel giorno però pregai ogni giorno che stesse bene in paradiso e m'osservasse da lassù, guidandomi verso la retta via.

Mi insegnò l'affetto e l'importanza della nostra voce, ma non penso immaginava diventassi un pilota di auto che per esser all'altezza aveva imparato a fottersi alla volte delle persone per non esser calpestato. Ma non è certo colpa sua.

CRASH | Errore di PercorsoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora