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— ESME —

Passò qualche giorno e nonostante May si rifiutasse ancora di rispondere a me o Asher, cercai di lasciare i miei pensieri fuori dal lavoro.

Ramon mi aiutò un po', incoraggiandomi e dicendomi che forse è forse una fase. "Tornerà, vedrai" mi disse.

Io non gli credetti, ma quel giorno avevo altre questioni per la testa.
Era il ventitré agosto e ciò significava solo una cosa: Tanti auguri papà.

Era il suo compleanno e io allora, la mattina, mi ero attrezzata per fargli una piccola torta col preparato che vendevano al supermercato. Non ero granché come cuoca quindi era meglio non rischiare. Se ci avessi provato, probabilmente sarebbe andato tutto in fumo.

Prima però, avrei dovuto dovuto timbrare il cartellino dell'uscita in azienda, cosa che fui molto felice di fare quando furono le tre del pomeriggio.

Salii in macchina e andai a casa decisamente più rilassata e senza il pensiero di dover andar al bar più tardi.

«Papà...» esordii varcando la soglia di casa.
«Dimmi, figliola.»

Accennai un sorriso a denti stretti e m'avvicinai. «Devo dirti una cosa» dissi raggiungendolo al banco della cucina. «I medici, quando ti ha dimesso...hanno detto che...»

«Cosa Esme? Io sto bene, ora.»

Annuii abbassando lo sguardo, giungendo le mani a mo' di preghiera. «Lo so e non sai quanto desideri non dirti che...devi lasciare il lavoro.»

Un minuto di silenzio. Lui si bloccò e non fiatò per circa una decina di secondi. «Cosa?! Non esiste, io amo ciò che faccio e me la cavo benissimo» sbottò alzandosi dallo sgabello.

Quest'ultimo cadde a terra e per poco non colpì il piccolo Micky che spaventato, mi saltò in grembo. «No, non esiste, Paulina

Tornò a far finta che fossi una completa sconosciuta e se ne tornò a lavoro, sbattendo la porta con forza. Il chiasso che seguì fece ancora una volta sussultare il povero Micky.

Io sbattei le palpebre un paio di volte per riprendermi e poi mi misi le mani tra i capelli. Sapevo che sarebbe andata male.

LO SAPEVO. LO SAPEVO. Perché gliel'avevo detto?

"Perché ci tieni a lui e non puoi permettere che gli succeda qualcosa" mi rispose la coscienza. E quanto aveva ragione.

Io non potevo abbandonarlo, neanche nel momento più buio in cui non riconosceva neanche dove si trovasse. Anche se non volevo, dovevo essere un piccolo faro a illuminare la via per lui.

Non l'avrebbe mai ammesso, nemmeno a se stesso, ma gli servivo più di quanto potesse immagine. E io non avrei mai mollato finché potevo anche la sola e minuscola speranza che potesse tornare da me, prima o poi, con lucidità.

Micky si stiracchiò impiantando le zampine e mugolò. Io invece sbuffai e presi un bicchiere di frutta dal frigo. Ne bevvi un sorso, lasciando che lo sguardo si perdesse oltre l'orizzonte dove il solo era ancora altro e splendente.

All'apparenza, sembrava una giornata perfetta da passare con amici e famigliari...peccato che per me si era rivelata totalmente l'opposto. Come spesso accadeva con ogni cosa. A partire dall'amore, quello era del tutto off-limits per la sottoscritta.

La mente tornò alla folle corsa in autostrada. Il modo con cui Riva arrivò in pochi secondi alla quinta marcia fu impressionante.
E ancora di più la sua padronanza del volante. Spostava lo sguardo, attento e imperscrutabile, su ogni auto in strada.

CRASH | Errore di PercorsoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora