Epilogo

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— ESME —

La serata si stava rivelando tranquilla e piacevole. La musica classica in sottofondo in ogni area riempiva gli spazi di silenzio alleggerendo un po' la seria atmosfera che si respirava là dentro.

Mi sembrava un sogno essere lì.

Insomma..io, una persona comune, in mezzo a milioni di persone ben più benestanti e con carriere da capogiro all'interno del mondo delle corse.

«E racconta. Con chi sei venuta?» mi chiede Dario dopo aver mandato giù un sorso del suo calice di Rosso.

Posai il mio bicchiere vuoto. «Con Riva.»

«Ahh...forte.» Lo disse con non poco sorpresa nella voce e fece praticamente di tutto per trattenersi dal dir qualcos'altro.

Stavamo parlando da un po' ormai. E lui aveva attaccato bottone offrendomi un cocktail, ma la chiacchierata stava prendendo una strana piega.

Dario Bonini: Italiano DOC e amante del vino, ma non per questo ubriacone – a detta sua almeno. Pilota di una Martini 6 sulla quarantina (circa) con un curato taglio di capelli scuri e un po' spenti, occhi azzurro mare e una carnagione molto chiara. Indossava uno smoking da sera alla moda e nel suo sorriso aveva un che di sbarazzino.

«Che c'è di strano?»
«No, niente..solo, lui è particolare. Non trovi?»
Corrugai la fronte. «In che senso?»
«OH, non te l'ha detto. Lui...»

Lo fissai in attesa che continuasse, ma non ne ebbe la possibilità. Dal nulla spunto il soggetto in caso e lo afferrò per il colletto della camicia azzurra.

«Andres.»

Tentai di chiamarlo diverse volte, nel tentativo di calmarlo, ma non ci fu verso. Riva proseguì con la sua concezione della scena e portò Bonini fino al poggiolo della balconata.

L'uomo stava così alto che se solo Riva avesse mollato la presa, l'altro sarebbe caduto di sotto. La maggioranza degli invitati allora si accerchiò intorno a loro e io in prima fila, più vicina di chiunque.

«Andres. Lascialo. Rimettilo a terra subito.»

Mi feci sempre più avanti con cautela e facendo attenzione a non inciampare sul vestito. E quando fui abbastanza vicino, gli sfiorai la spalla. «Lascialo.»

Riva esitò più di un istante. I suoi occhi erano profondo petrolio e l'espressione sul suo volto di completa follia.

«Ti prego, lascialo» ripetei per una terza volta.

Lui mi guardò con assenza e alla fine m'assecondò, rimettendo a terra Bonini che gli lanciò un'occhiataccia.
«Fanculo, psicopatico.»

Quell'imprecazione mi colpì come un proiettile, ma m'imposi di rimanere calma. Già uno di noi aveva rischiato di perder la testa. Se mi ci mettevo anch'io, sarebbe stata la fine.

La sciame di paparazzi curiosi se ne andò pian piano e allora andai da Andres che stava poggiato al balcone con aria perduta.

Stava fissando un punto immaginario in lontananza e per un attimo mi parve di rivivere la sera in cui lo sorpresi ad andar in giro di notte, durante la nostra permanenza al Nevegal.

Si era appena accesso una sigaretta e dopo averla finita, se ne prese subito un'altra. Io invece mi feci coraggio.

«Dimmi la verità. Che cos'hai?» cominciai parlando piano.

Andres espirò e volse verso di me. Ma non mi guardò. «Lui stava flirtando con te.»
«No. Stavamo solo parlando e se vuoi saperlo, di una nuova Lambo in uscita» spiegai in mia difesa.

Lui abbassò gli occhi, imbarazzato. «Scusa...credevo...»
«Stavi per ammazzarlo» lo interruppi brusca. «Mi dici qual è il tuo problema?»

A quel punto ci fu una lunga pausa.

Andres non disse una parola per almeno dieci minuti. Apriva la bocca solo per infilarsi tra le labbra la prossima sigaretta.

E a un certo punto mi innervosì quindi gliela presi. «Rispondimi, per favore» lo pregai.
«Un disturbo...di personalità. Riesco a gestirlo, ma non sempre e...»

Ebbi un tuffo al cuore.
Mi volsi, portandomi una mano alla bocca per reprimere ciò che stava per invadermi. E poi realizzai tutte le volte in cui mi aveva detto di non stargli vicino, che lui era un'anima dannata. Ramon che continuava a dirmi di non seguirlo perché m'avrebbe distrutto.

E infine anche tutte le volte in cui all'inizio mi ha ferita prendendosi libertà che non gli spettavano.

«Vattene, ti prego» ordinai.

Lui mi venne incontro, provando a sfiorarmi il braccio. «Tesoro mio...no, non fare così. Non avere paura di me. Che ti ho fatto ora?»

Era come avesse un'amnesia e mi feci urtar i nervi.
Come poteva non ricordare ciò che avevo appena rischiato di commettere?

«Come posso non averne, Andres? Mi hai allontanato tu per tutto il tempo, affinché non mi avvicinassi.»

Ora eravamo l'uno di fronte all'altra. Faccia a faccia. Uno contro uno.

Andres sospirò ferito. «Lo so, ma ora è diverso. Io sono diverso.»

«Come? Sentiamo» domandai in risposta alzando le braccia, esasperata. Come avevo fatto a mettermi in quel pasticcio?

Perché mi ero lasciata andare? Perché?

Lui interruppe ancora i miei pensieri. «Stiamo insieme e questa è la cosa più bella che potesse capitare un'anima dannata come la mia.»

Mi si spezzò il cuore. «Non ti credo!»

Allora feci per andarmene il più lontano possibile da lui, avviandomi nuovamente verso la sala del ricevimento. Ma lui m'afferrò il polso.

Mi costrinse a guardarlo e nei suoi occhi, non più neri, lessi immenso smarrimento.

«Esme, ti prego. Non andare via.»

Negai e con un colpo secco mi liberai dalla sua presa. «Perché? Dammi una sola ragione per cui dovrei restarti affianco.»

Le mie parole lo ferirono e lo capii dal modo in cui mi osservò il minuto successivo. Il mio cuore batteva ancora per lui, tentando di ricordare a me stessa anche i momenti di felicità che m'aveva regalato, ma la ragione cercava in qualunque modo di non udirlo.

Si fece avanti senza provar nulla.

«Io sapevo fin dall'inizio che sarebbe andata così se ti avessi rivelato il mio segreto, ma il cuore ha fatto un casino e ora...non posso più stare senza te, Esmeralda Diàz.»

Ci fissammo a vicenda senza parole.

I nostri respiri come unico suono nell'aria frizzante della sera.

La luce della luna in cielo a illuminarci come un riflettore al centro della scena.

Andres azzardò a baciarmi portando una mano dietro il mio collo, ma lo bloccai. Gli posai l'indice sulle labbra e abbassai la testa.

Le campane di una chiesa nelle vicinanze risuonarono nella notte; scoccando la mezzanotte.

«Non posso...» sussurrai impotente.

Dunque me ne andai, vedendo con la coda dell'occhio Riva scagliare un pugno contro il parapetto. Volli fermarmi per controllare se si fosse ferito, ma mi imposi il contrario e così, continuai.

La lacrime cominciarono a bagnarmi il viso.
La delusione si spargeva dentro me come un virus difettoso.

Il cuore in mille piccoli pezzi.
Addio, Andres Riva

CONTINUA...

CRASH | Errore di PercorsoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora