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— ESME —

Presi una confezione di insalata dallo scaffale e la buttai nel carrello, proseguendo poi lungo la corsi a del supermercato – era necessario fare la spesa altrimenti non ci sarebbe stato più nulla da mangiare per quando Felipe fosse tornato a casa.

Contrai la lista sul cellulare e mi arrivò un messaggio. Lo aprii senza guardare chi fosse.

- Nora: Ehilà. Sei libera stasera?

Ci pensai su un momento arrivando alla conclusione che in fondo non avevo molto da fare quel giorno. Era sabato e avevo già staccato sia in azienda che all'Azul.

Scrissi che ero disponibile e lei mandò un emoji sorridente che sparava coriandoli colorati con una trombetta.

A quel punto, mi venne un'idea. Le chiesi se potevo invitare un'amica, acconsentii senza obiezioni quindi io cercai il numero di May e la chiamai.

La conversazione non durò a lungo, ma c'accordammo per vederci a casa mia per le 19:30. Poi saremo andate a casa della mia collega -che forse ormai era diventa un'amica- per la sua festa di compleanno.

«A dopo allora» riagganciai e misi in tasca il telefono, dirigendomi alla cassa.

Una volta fuori, effettuai qualche commissione come andar a prelevare un po' di contanti e controllare che il mio stipendio fosse arrivato.

Dopo di che, controllai in posta dove non c'era nulla di nuovo e infine salii in macchina per andare all'ospedale.

Non appena arrivai, vidi mio padre aprire gli occhi e il mio cuore si avvolse di calore. M'avvicinai con il sorriso sulle labbra e mi sporsi ad abbracciarlo per un minuto.
«Sono contenta tu stia meglio.»

Ringraziai al cielo il Signore e riguardai Felipe che sembrò accennare una smorfia gentile. Mi osservò con i suoi occhi d'erba in maniera assente poi, ma non m'importò. Ero abituata e comunque pensai che fosse del tutto normale. Aveva appena ripresa coscienza, d'altronde.

A questo punto, un medico dai capelli corvini e con addosso un lungo camice bianco irruppe nella stanza. Mi chiese un minuto, per parlare e io naturalmente glielo concessi.

Così, ci accomodammo nel suo studio due porte più avanti rispetti a quella della camera in cui stava mio padre. Come il resto dell'edificio era asettico e total white. L'unica cosa che cambiava era l'arredamento, formato da: un lettino per i pazienti, un carrellino con tutti gli utensili e una scrivania con due sedie dove mi fece accomandare.

«Suo padre sta meglio, come avrà potuto constatare» iniziò giungendo le mani, i gomiti sul piano. «Tuttavia, come penso sia già al corrente, il signor Diàz non ha un sistema cardiaco molto forte. Il suo cuore, signorina, è debole e non si può prevedere quando possa succedere il prossimo attacco.»

Non riuscii a trattenere un singhiozzo, ma cercai di rimanere seria tirando su col naso e respingendo le lacrime che minacciavano di uscire.

Sapevo bene che la patologia di papà non l'avrebbe aiutato a vivere a lungo, ma non potevo certo arrendermi.

Io avevo bisogno della sua presenza, anche se per lui non contavo nulla.

«Ma ci deve essere un modo per guarirlo, no?»
«Purtroppo signorina. Non c'è cura per questo male, noi possiamo solo consigliarle di farlo rimanere a casa da lavoro per il momento. Gli sforzi non giovano alla sua salute, specie se grandi e per questo io le consiglierai di sottoporlo a periodici controllai per monitorare la situazione.»

«D'accordo. Grazie dottore.»
Mi alzai e uscii, cominciando a preoccuparmi seriamente.

I costi della vita erano alti e io guadagnavo abbastanza con i miei due impieghi, però non potei fare a meno di chiedermi se quei soldi sarebbero bastati ancora quando Felipe avrebbe lasciato l'officina e così la sua passione.

CRASH | Errore di PercorsoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora