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— ESME —

Mi annoiai per tutto il tempo che stetti lì nella sala accanto al ricevimento, a dir la verità.
Tuttavia, non volevo stare con lui per troppo tempo nella stessa stanza.

Avevo paura che potesse ancora farmi del male sebbene l'avessi appena assorto.

Desiderai chiamare May, per avere un consiglio su come gestire la cosa, ma non mi aveva più richiamato dopo l'ultimo messaggio. Non era la prima volta che capitava, essendo così impegnata, ma ci rimasi comunque male.
Io avevo davvero bisogno di lei.

Comunque, non gliene feci una colpa. Ho sempre saputo che saremmo state spesso lontane e che avesse un lavoro molto impegnativo. Avevo visto una sua storia su Instagram qualche giorno prima, ora era in un'altra capitale europea e nella didascalia aveva scritto: "altra città, altra scoperta."

L'ultima volta che ci eravamo chiamate, mi accennò che stavano per arrivare a un modo per salvaguardare le piante attraverso una strana provetta se non sbaglio.

Io onestamente non avevo mai capito cosa ci trovasse di così tanto eccitante nell'osservare minuscoli batteri e bestioline varie attraverso il microscopio, ma d'altronde io e la scienza eravamo acerrime nemiche.

Ero portata per l'area più culturale a scuola: lettere, arte, lingue straniere...lei invece era il genio della matematica e adorava tecnologia - un'altra delle materie in cui ero un disastro.

Rendeva ogni cosa difficile in semplice come niente fosse e forse è stato proprio per questo e con il tempo mi ci ero affezionata.

*

«Signorina, tutto bene?» il receptionist mi sveglia, facendomi sobbalzare.
«Si, tutto apposto» balbettai.

Lui mi guardò, non del tutto convinto. Gli occhi color nocciola fissi su di me e le sopracciglia scure aggrottate. «É un po' pallida. Vuole che le chiamo un medico?»
«Oh, no, non serve. Devo solo...con permesso.» Mi alzai e chiesi dove fosse il bagno, così da andare a darmi una ripulita.

Una volta fatto, presi anche il taglierino che tenevo sempre in borsa. Una prima incisione la effettuai sul polso e poi un'altra. Come ogni volta lasciai che il sangue alleggiò nel lavandino per un po'.

Poi, quando si sentii meglio, mi sciacquai e avvolsi una fascia intorno alla mano e poi la coprii con la manica della felpa di cotone che avevo addosso. Il tutto per nascondere la ferita sul braccio.

Uscii quindi e dal fondo del corridoio intravidi Riva arrivare insieme agli altri. Mi affrettai, tornando alla poltrona e fingendo naturalezza, nonostante il taglio bruciasse ancora.

Mi costrinsi a resistere peccato che la mia copertura saltò quasi subito.

«Che hai fatto al braccio?»
Lui se ne accorse, prendendomi per il gomito per dare un'occhiata. Io non glielo permisi e strattonai il braccio per liberarmi della sua presa.
«Nada...» ribattei tirando ancora di più la manica.

«Non l'avevi prima e qui c'è del sangue ancora fresco» disse in controbattuta tentanto di riafferrarmi. Io parai la mano dietro la schiena, per impedirglielo.

«Non sono affari tuoi, dottore
Sbuffò e scoccò uno sguardo di assoluta disapprovazione. «Già...suppongo di si, so-tutto-io

Hernández allora interviene dicendo che fosse meglio andare a cena e poi a dormire dato che il giorno dopo sarebbe stato davvero impegnativo. Era la prima gara e i due piloti dovevano essere in forma.

Tutti convenimmo che avesse ragione e quindi andammo al ristorante molto intimo, con pochi coperti e dal menù molto spartano, in zona. Io ordinai solo un secondo con l'acqua. Non avevo molto appetito.

CRASH | Errore di PercorsoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora