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— ESME —

Si dice che il tempo guarisca ogni ferita e che con esso, pian piano, anche il minimo ricordo venga cancellato. Ma come può avvenire se ciò che hai vissuto, lo rivivi sulla pelle ogni giorno?
Come si può far pace con se stessi e andare avanti?

Io non lo capivo e ciò che avevo dentro si stava scatenando come un uragano in tempesta. Dentro me infuriava un vento gelido, che non cessava di smettere. Io mi sentivo come una foglia in pieno inverno, che presto sarebbe stava portata via insieme a tutte le altre, ma che a fine corsa si sarebbe ritrovata sola.

Ero così piccola quando il passato tornava a turbarmi che non riuscivo neanche a ragionare con lucidità. Per questo avevo cominciato a pensare che fossi io quella che non era mai abbastanza per gli altri e così non degna del loro affetto. Per questo, ogni tanto ricadevo nel vizio di tagliarmi e togliere così un po' di dolore.

Quando arrivammo a casa di Ramon -un appartamento di due locali, un po' in periferia e pieno di cianfrusaglie- saranno state le undici passate. La serata era risultata più lunga di quanto io volessi ammettere.

«Tranquilla, non c'è nessuno. Nemmeno mia zia in visita.»

Il battito ora andava regolarmente, ma il fatto che la signora Herrera non fosse in casa, mi rasserenò. La zia del mio amico era una donna simpatica la maggior parte del tempo, se non fosse per il fatto che forse si preoccupava un po' troppo per il figlio.

Lo chiamava quasi ogni giorno, da Marsiglia -dove abitava – e di tanto in tanto andava pure a trovarlo fermandosi a dormire per qualche tempo. Quando accadeva, si notava sempre. Lui arrivava a lavoro vestito di tutto punto, con camicia e cravatta abbinata alla giacca.

Ramon si lamentava spesso di queste sue ossessioni, io invece avrei pagato oro pur di avere qualche attenzione in più da mio padre.

Mi invitò a sedere e lui fece altrettanto, dall'altra parte del tavolo. Io allora presi un bel respiro e cominciai a spiegare, dal principio. Non gli avevo detto della mia trovata altrimenti mi avrebbe fermato immediatamente e se devo essere sincera, forse in fin dei conti non era una brutta idea. I miei vecchi ricordi non sarebbero mai venuti a galla se non mi fossi inventata quel finto appuntamento.

Ramon mi ascoltò per tutto il tempo, senza fiatare e lasciandomi finire con i miei tempi – che non furono del tutto brevi dato che ero ancora parecchio scossa e a momenti riprendevo a piangere.

«Devi stargli lontana» disse quando conclusi. Si sfregava la barba, sotto il mento, chiaro segno che si stava agitando. «Dii a Nuñez che non puoi ricavarci nulla e di farti tornare in azienda.»
Scossi la testa, prendendomela tra le mani. «Non posso, mi licenzierebbe.»

Lui allora mi fissò con serietà. «Esme Diàz. Sei la mia migliore amica, non voglio che tu soffra per un uomo. Specie se un maniaco che non sa tenere le mani al suo posto.»

Restai in silenzio, continuai a guardare in basso pensando però alla fortuna che avevo ad aver un amico come lui a mio fianco. Anche quando ci siamo conosciuti era così, disponibile e vicino come nessun altro. Non ci eravamo più lasciati d'allora e io gli volevo bene quasi quanto ne volevo a May. E sapevo di poter sempre contare su di lui, avrebbe fatto di tutto pur di non farmi soffrire.

Mi sorrise incoraggiante e alzò, andando al fornello. Lo accesse e preparò qualcosa che poi mi passò in un tazza fumante che emanava un odorino a dir poco invitante.
«Bevi. Questa ti tirerà su.»

Lo ringraziai con un mezzo sorriso e bevvi un sorso nonostante scontasse leggermente. Mi bruciai, ma non mi scomposi. Ero abituata al dolore e una piccola e innocua scottatura di quel genere non mi avrebbe peggiorato.
Ramon mi imitò e per qualche minuto ci fu solo il silenzio della notte.
Rassicurante e avvolgente.

CRASH | Errore di PercorsoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora