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— ESME —

Era già passato qualche giorno dall'inizio del mio "nuovo" lavoro e già mi mancava il mio amico alla mattina. E il caffè che mi offriva era una coccola da cui era difficile separarsi.

Comunque, quel mattino, dopo essermi preparata presi il telefono. Un messaggio del mentore apparve sullo schermo. Lo lessi, sbuffando.

Dovevo andare allo stadio prima e non sarebbe stato un problema se non avesse comportato di stare in compagnia di Riva più tempo.
Ad ogni modo, non ci potei far nulla quindi salutai mio padre, augurandogli buon lavoro e me ne andai.

Arrivai al palazzetto e parcheggiai, vedendo che i tre uomini erano già sul posto. Controllai l'orario, constatando che in effetti, ero leggermente in ritardo, ma non m'importò. Anzi, pensai che nel caso si fossero lamentati, potevo giocarmi la carta dell'essere una donna e che per questo mi ci vuole un po' per prepararmi.

"Non risulteresti molto credibile, cara"

Sospirai. Il mio subconscio aveva ragione. Io ci mettevo cinque minuti ogni giorno. I vestiti li preparavo la sera e alla mattina a forza dell'abitudine, ci impiegavo poco ad applicare il trucco – che comunque, era fatto solo da mascara e una riga di eyeliner.

Mi feci coraggio e venni accolta da Alexio che si prese la confidenza di abbracciarmi.
Restai un po' spaesata. Era piuttosto inopportuno e per questo non ricambiai. Lui si staccò dopo un secondo, sorridendo. «Hola!»
Io mi strinsi nelle spalle e accennai un sorriso.

«Andiamo su» disse Hernández prendendo le chiavi dell'auto. Era un SUV della Nissan grigio topo, un Qashqai per la precisione. Dietro aveva un rimorchio, piuttosto grande e io non potei far a meno di chiedermi cosa ci fosse all'interno. Per un momento pensai di domandarlo, ma alla fine non lo feci. Era poco professionale la mia curiosità. O meglio, andava oltre quello a cui dovevo sottostare.

Tuttavia, non riuscii a trattenermi del tutto. «Dove?»
Il pilota mi si avvicino alla spalle, con un sorrisetto. «In un bel posto, fidati
Quella parola mi face rabbrividire. Non risposi, ignorandolo e vidi il couch caricare quello che sembrava esser proprio un rivelatore di velocità e una cassetta degli attrezzi.

Una volta fatto, ci invitò a salire e così facemmo. Vega si sistemò sui sedili posteriori, insieme a me e Riva -del finestrino centrale- ci notò. Chiuse quei suoi chiari occhi grigi in due fessure, guardandoci con sospetto per qualche secondo. Non disse nulla, però.

Poi si drizzò e allungò il braccio per impostare il navigatore. La sua postura era disinvolta e non parve intenzionato a far commenti. Anzi, era sicuro di se, come un re sulla sua montagna. Convinto di poter avere qualunque cosa, anche l'impossibile.

Mi convinsi che stava tenendo quell'atteggiamento solo per infastidirmi e così incrociai le braccia, sbuffando e fissando lo sguardo fuori dal finestrino. Hernandez allora partì e passammo il viaggio a chiacchierare.

Vega continuava a fare battute assurde, ma divertenti. Tanto che a un certo punto, mi si formò persino un dolore allo stomaco. Parlava di argomenti banali, tirando fuori qualche doppio senso innocuo ogni tanto e faceva semplicemente morire dalle risate tutti quanti.

*

Quando arrivammo, il paesaggio era decisamente diverso da quello di città.
Eravamo in campagna, ma non troppo. Da laggiù riuscivo a intravedere degli edifici, segno che ci fosse un centro abitato e un cartello sulla strada mi aveva informata del fatto che fossimo nei dintorni di Granada, in Andalusia.

Scesi dall'auto e respirai a pieni polmoni, contenta e con la meraviglia negli occhi sebbene non fossimo in chissà quale speciale luogo.

Il fatto era che non mi ero mai mossa da Barcellona. Ero nata a Cuba -nazione di cui era originaria mia madre- ma poi i miei genitori si trasferirono e io naturalmente crescei nel caos della metropoli. Per tutto il periodo degli studi, ebbi la fortuna di studiare vicino a casa e allora stesso tempo aver un'impiego per pagarmi in seguito l'università.

CRASH | Errore di PercorsoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora