2. Cosa posso fare?

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Eva si raddrizzò e con frenesia prese a raccontare:

- Fu dopo la promulgazione delle leggi razziali,... i fascisti sequestrarono il terreno di mio marito e la nostra casa; lui si ribellò alla confisca e lo ammazzarono sotto i miei occhi.

Io e Samuel trovammo una brava persona che ci accolse per un po' di tempo, ma poi fummo costretti a sfollare per la paura di essere deportati in Germania.

A Bologna stavamo nascosti da circa un anno con altri ebrei nella cantina di una scuola. Qualcuno ci denunciò e la Gestapo venne per portarci via. Era dicembre, non ricordo il giorno esatto.

Alla stazione vidi per la prima volta il maggiore Jӓger presso il treno del bestiame; non stava con gli altri soldati e ci osservava da lontano. Aveva uno scudiscio in mano e lo batteva sulla coscia con ritmo costante come stesse valutando tra sé e sé quanti fossimo. Mi parve che per un attimo fissasse proprio me e Samuel e i suoi occhi erano di ghiaccio. Eravamo in tutto una quarantina: uomini, donne, bambini, vecchi. Un ufficiale ci ordinò di salire sul vagone e alcuni obbedirono. Vidi che a pochi passi c'era la porta aperta forse di un magazzino, forse dei servizi igienici. L'ufficiale e un altro soldato non guardavano verso di noi, io allora bisbigliai a Samuel di correre e rifugiarsi lì dentro.

Samuel, seduto vicino alla mamma, continuava a stringerle le dita, ascoltando con attenzione.

- Il mio bambino scappò. Pensai che poteva farcela, perché la porta era vicina e l'ufficiale e l'altro soldato erano impegnati a sollecitare dei poveri vecchi a salire più in fretta. Ma l'ufficiale si girò proprio allora. E ho visto il maggiore Jӓger ... stava correndo verso di noi, mentre l'altro gridava in tedesco di aprire il fuoco contro mio figlio. Samuel era veloce e riuscì a varcare la porta, ma troppo tardi... L'avevano visto! Il maggiore arrivò per primo e fece cenno agli altri soldati che sarebbe entrato da solo, bastava lui per uccidere mio figlio! Aveva l'arma in pugno mentre spariva all'interno del magazzino. Io gridavo:

- Abbiate pietà, lasciatelo stare! È un bambino! È solo un bambino! - poi udii il colpo e smisi di vivere. Urlai il nome di Samuel con la disperazione di una madre a cui viene strappato il cuore; un nazista mi colpì con uno schiaffo per farmi tacere, poi mi spinse dentro il vagone e mi ritrovai semisvenuta in mezzo alla calca dei miei fratelli di sventura.

-Mamma! Io ho sentito che mi chiamavi!- esclamò d'improvviso il bambino- Ma non potevo rispondere!

Eva lo guardò dolcemente. La gioia della presenza del figlio faticava a cacciare il dolore antico del distacco. Ancora non riusciva a penetrare nel cuore la consapevolezza che quel nazista tanto odiato avesse salvato suo figlio. Eppure lui era lì, il suo Samuel, era vivo, era vivo, non era un sogno. Chinò il volto a sfiorare i capelli corvini del bimbo. Lo baciò sul capo. Lo guardò. Lo baciò.

Gilberto azzardò una domanda. La sua voce era dolce e posata.

-Posso chiederle signora Diena come è riuscita a salvarsi? Dove l'hanno portata?

Eva annuì. Guardò un istante gli occhi scuri dell'uomo ma poi riabbassò lo sguardo sul bambino.

-A Milano.- disse -Sono stata rinchiusa in carcere con altri ebrei per molto tempo, non mi chieda quanto, i giorni erano tutti uguali. Qualcuno dei compagni di cella lo conoscevo, era di Bologna. C'era gente di Roma e di Firenze e di altre città. Poi grazie a un carceriere che mi ha preso in simpatia ho saputo che ci avrebbero presto deportati ad Auschwitz. E così è successo, sono venuti a prenderci i fascisti insieme ai tedeschi delle SS. Grazie a quel carceriere io non sono stata inserita nel gruppo che hanno prelevato, ma sono rimasta in carcere. Sono stata liberata circa due anni dopo.

-Samuel ... - il sorriso era faticoso -Raccontami ... cosa è successo in quel magazzino? Io ho sentito lo sparo. Ho visto uscire quel maggiore tedesco... Samuel! Ho creduto che fossi morto!

Il figlio annuì più volte. Lacrime inaspettate cominciarono a scorrergli sulle guance. Valeria Calò fece per alzarsi ma il marito la trattenne per il braccio.

-Ho avuto paura, mamma- rivelò il bambino. Eva accettò il fazzoletto di cotone che l'uomo aveva sfilato dalla tasca e le porgeva. Asciugò dolcemente le lacrime del figlio.

-No, no ... piccolo mio, non piangere, nessuno ti farà più del male.

Samuel proseguì imperterrito.

-Non c'era posto, mamma, non c'era posto per nascondermi! Avevo paura, sentivo le urla ... poi è entrato quell'uomo con la pistola. Io ero bloccato, non riuscivo a muovermi. Volevo te, mamma!

Il braccio di Eva lo riaccostò a sé per consolarlo.

-Cosa ti ha fatto il maggiore, Samuel?

-Niente, mamma. Ha fatto così ...- il bimbo toccò la punta del naso con l'indice più volte-e ha sparato al muro. Poi ha rifatto così ... e ancora Samuel ripeté il segno di tacere. Poi è uscito e ha chiuso la porta. Tu mi hai chiamato, mamma, ma io non potevo venire, ero bloccato. Avevo troppa paura, mamma, non sono venuto!

Il bimbo riprese a piangere. Eva capì che si sentiva in colpa per non aver obbedito al suo richiamo. Subito avvicinò le labbra al suo orecchio e gli sussurrò che aveva fatto bene perché i soldati lo avrebbero catturato di nuovo, forse lo avrebbero ucciso. Insisté, lo baciò, finché il bambino non ne restò persuaso.

-E poi, Samuel ... cos'hai fatto?

-Nulla, mamma. Sono rimasto fermo e ascoltavo i rumori. Poi non ho sentito più le voci e pensavo che potevo uscire. Ma la porta si è aperta e c'era ancora quell'uomo. Mi sono molto spaventato, ma poi ho visto che sorrideva e non aveva la pistola. Mi ha preso per mano.

-Ti ha portato dai signori Calò.

-No, mamma. C'era buio fuori e una macchina nera. Sono entrato dietro e ha detto di sdraiarmi nel sedile. Mi ha messo una coperta su e poi ha detto: zitto o ti scoprono! Io sono stato fermo fermo quasi senza respirare. La macchina si è fermata, c'era un posto di blocco ma poi è ripartita ... poi ci siamo fermati di nuovo! Non ne potevo più, mamma, volevo sgranchirmi un po'...

-Dove ti ha portato, Samuel?

-Una casa grande con un grande giardino. Lui non parlava, così volevo parlare io, ma ho aperto la bocca, e non usciva la voce ... che paura, mamma! Ho pensato di essere diventato muto!

Eva scoppiò in lacrime e ancora l'abbracciò. La gioia d'avere accanto a sé il figlio ritenuto morto ammazzato si mescolava al senso di colpa per l'odio coltivato contro l'uomo ritenuto colpevole d'averglielo ucciso e invece rivelatosi un angelo inviato da Dio per salvarlo.

- Non so dirvi quanto vi sono grata - cominciò -per esservi presi cura di Samuel.

La signora Calò scosse la testa sorridendo, i riccioli biondi ciondolarono. Ribadì quanto il bambino fosse entrato nella loro vita e quanto avrebbero sentito la sua mancanza.

- Avete un posto dove andare? - domandò ed Eva annuì.

- Sto con altri sopravvissuti in una casa rimasta vuota per i bombardamenti. Ho una stanza tutta per me ... la metterò a posto ... poco alla volta.

- Perché non venite a stare da noi? - azzardò la donna bionda - Samuel ha già la sua stanza e voi potreste stare con lui, se lo desiderate, o nella stanza degli ospiti.

Il signor Calò appoggiò la proposta della moglie.

- Ormai Samuel è di casa e anche voi, sono certo, stareste molto meglio qui che altrove. Restate! Almeno finché non avrete trovato qualcosa di meglio.

Eva commossa ricominciò a piangere. Annuì. Le balenò il pensiero che il maggiore Erich Jӓger sarebbe stato fucilato proprio a causa della sua deposizione al processo; ricordò le parole violente che gli aveva rivolto, lo sputo in faccia, ricordò l'espressione fortemente angustiata del viso del suo nemico, mentre la fissava stracciare e calpestare sotto il piede i frammenti del biglietto che le aveva scritto.

Tuttavia, appena i soldati l'avevano trascinato fuori dalla sala, per curiosità aveva voluto ricongiungere quei pezzi di carta e leggerne il contenuto: c'era un indirizzo, quello dei signori Calò e un nome: Giuseppe. Poi, sotto, una breve supplica: cercate Giuseppe!

- Dio mio! -esclamò -Devo porre rimedio a un'ingiustizia. Ma come? Come? E sono ancora in tempo?

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GIUDITTA E OLOFERNEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora