3. La lettera

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Giuditta si fermò a contemplare l'ingresso della trattoria: era stato ristrutturato dopo i bombardamenti del 43. I piedritti in marmo bianco sormontati da un arco ellittico della stessa pietra erano stati rifatti e incorniciavano il vecchio portone di legno nero riverniciato. La grata in ferro battuto, protezione ulteriore dell'ingresso, era nuova e, in quel momento, spalancata fino a quasi poggiarsi sulla parete. Risaltava col suo nero brillante sul bianco candido del muro anch'esso intonacato di fresco. L'insegna "Da Rocco" non era cambiata: le lettere in ferro brunito, saldate tra loro, spuntavano come una freccia dal lato destro del portone. C'era ancora la lanterna fissata in alto al lato dell'ingresso, anch'essa con il telaio in ferro e accesa, nonostante la luce accecante del giorno.

Erano trascorsi due anni dalla sua fuga in Svizzera, ma il desiderio di ritornare a Bologna, dove era vissuta gran parte della sua vita, era rimasto nel cuore e nella mente, finché aveva deciso che era giunto il momento di realizzarlo.

Varcò la soglia.

L'ambiente la stupì perché non era mutato affatto: l'odore della cucina intriso di dolci promesse al palato completava l'immagine familiare del locale; le pareti ocra tappezzate di quadri, i soliti quadri, raffiguranti il paesaggio fresco della campagna in periferia, le due file di tavolini da quattro posti rivestiti da tovaglie a quadri bianchi e rossi, il piancito in coccio, le grosse travi in legno a sorreggere il solaio.

-Dio mio, Giuditta!

La voce di Rocco era calda, sorpresa, gradita.

Non lo vedeva da più di due anni, ma aveva ricevuto alcune lettere da lui, una delle quali l'aveva messa al corrente dei bombardamenti e dei danni subiti dalla trattoria.

-Giuditta!- L'abbraccio era forte e affettuoso così come Rocco: un uomo generoso e volitivo.

-Piccola, sei sempre più bella... Sapevo che ti avrei rivista... E i tuoi? Aaron e Dina sono con te?

-No, no, Rocco, sono rimasti in Svizzera. Papà coltiva il sogno di emigrare in Palestina. Qui ci sono troppi brutti ricordi.

-Capisco. Ma tu? Sei tornata per restare?

L'abbraccio si sciolse. Giuditta lo fissò con un triste sorriso.

-Lui è tornato?

-Lui? ... Parli del maggiore Erich Jӓger ?

-Sì.

-Mi ricordo di quel giorno... Promise che se fosse sopravvissuto alla guerra, sarebbe tornato a cercarti...' Da me'.

Giuditta annuì.

-E tu sei tornata per questo?

-Sì, Rocco, anche per questo.

-Sono dispiaciuto di dovertelo dire... Non ho più visto il maggiore Jӓger dopo quel giorno, Giuditta. Il capitano Müller, lui sì, comparve alcune volte nel mio locale, prima di lasciare Bologna. Mi disse che gli era giunta notizia che fosse disperso nel fronte russo, ma qualcuno giurava d'averlo visto ferito gravemente o rinchiuso in un campo di prigionia. Non c'era nessuna notizia certa su di lui. Sarà ancora vivo? Mia cara, è difficile saperlo. Ma qui non è tornato.

-Allora è morto.

-Temo di sì. Vuoi sederti? Ti offro qualcosa di fresco... Stavo guardando la posta... Ho quasi finito. Così parliamo di te.

-Come sta tua moglie Anna?

-Mia moglie sta bene, grazie. Adesso è in cucina. Tra breve la chiamo, sarà felice di vederti.

-Non disturbarla... entrerò io più tardi a salutarla.

Giuditta si avviò al primo tavolo vuoto. Gli avventori erano pochi, una ragazza girava sollecita consegnando piatti fumanti.

Rocco si affrettò a sfogliare la decina di buste affrancate rimaste: due fatture, una lettera della nonna (la mamma di Anna), alcune pubblicità, ... poi la vide.

La busta era leggera e portava una breve annotazione come indirizzo: Giuditta c/o Rocco Scalisi - Bologna.

Sembrava il destino, Giuditta era lì e adesso anche quella lettera per lei era tra le sue dita.

Sussultò e subito la raggiunse al tavolo, scostò la sedia e s'accomodò davanti a lei, allungando il braccio con il piccolo plico.

-È per te.

-Per me?

-Pare di sì.

-Da parte di chi?

-Non l'ho aperta. Leggila.

Giuditta sbirciò l'estremo sgualcito della busta e contemplò il suo nome; speranzosa l'aprì, senza fretta, cercando di non lacerarla.

Il foglio all'interno era piccolo e conteneva poco testo. La firma in calce attirò la sua attenzione e le fece balzare il cuore: Erich.

-É del maggiore?

-Sì, Rocco.

-È incredibile. Nessuna notizia e ora questa lettera lo stesso giorno in cui tu ti presenti al locale. Se questa non è opera divina ... Cosa dice?

Giuditta lesse ad alta voce.

"Mia amata Giuditta,

in questi lunghissimi mesi il vostro ricordo e la speranza di potervi finalmente rivedere mi hanno tenuto in vita, nonostante la durezza della prigionia e l'aggravarsi della ferita alla gamba. Un mese fa sono stato liberato e, dopo un lungo penare per ricevere i permessi necessari e un lungo viaggio, sono arrivato a Bologna. Sembra tuttavia che l'ira divina, che fino ad ora mi aveva preservato dalla morte, facendomi sperare di poter cominciare una nuova esistenza, mi chieda con urgenza di espiare con la vita le mie gravi colpe. Sono stato riconosciuto e arrestato e processato. Vi scrivo questa lettera perché sappiate che, come promesso, sono tornato, che vi amo e vi amerò fino al mio ultimo istante. Fra due giorni sarò fucilato e il sangue che ho versato sarà, spero, saziato dalla fine della mia vita. Dio vuole il mio sacrificio perché troppo grande è il mio peccato! Ma se l'amore, come ritengo, è più forte della morte, potrà sopravvivere anche ad essa! Vi amerò per sempre.

Erich"

-Rocco! Rocco! Dio mio, qual è la data della lettera?

-La posta arriva quando vuole, Giuditta... vediamo il timbro... ecco, guarda ... è di una settimana fa.

-Allora è morto! Dio mio, Rocco, Erich è morto!

GIUDITTA E OLOFERNEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora