1. Auschwitz

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8 novembre 1943

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8 novembre 1943

Ci costrinsero a salire su un camion sotto la pioggia e, gettando un'occhiata ogni tanto alla strada nel buio e sotto l'acqua, non riuscii a capire dove ci stessero portando. Poi la pioggia cessò e arrivammo alla nostra prima destinazione. Scendemmo, sempre sotto minaccia, e vidi una costruzione davanti a me che mi parve una caserma. Non ci fu tempo di pensare. Fummo spinti all'interno e costretti ad avvicinarci ad un tavolo dove sostavano altri poliziotti tedeschi. C'erano varie cose su quel tavolo tra cui soprattutto soldi e gioielli. L'ufficiale ritto in piedi batteva a ritmo un frustino sopra i suoi alti stivali. Ci ordinò con un brutto accento italiano di depositare tutto ciò che avevamo appresso di valore. Più tardi seppi che il nome di quell'uomo era Dannecker e che era l'incaricato delle SS per le operazioni di deportazione. Non avevamo fatto in tempo a prendere molto con noi, io lasciai una catenina d'oro, regalo della nonna defunta e un piccolo orologio che non valeva molto. Mia madre fu obbligata a togliere l'anello d'oro giallo che papà le aveva donato per il matrimonio. Altri ebrei entrarono dopo di noi poiché nel frattempo era arrivato un altro camion. Fummo introdotti in uno stanzone con delle cuccette dove molti ebrei, uomini, donne, bambini, stavano in piedi aspettando il turno per essere schedati. Capii quasi subito che separavano gli ebrei misti dagli ebrei puri. Un uomo era seduto e trascriveva i nomi. Un vecchio mi disse che l'avevano costretto a farlo: era suo genero ariano e si chiamava Ettore. Erano entrambi senesi. Dopo aver preso i nostri nomi fummo inseriti nel gruppo dei "puri". Il giorno dopo fummo condotti con il nostro gruppo ormai numeroso attraverso un cortile pieno di pozzanghere e costretti a risalire su un camion. Venimmo trasportati alla stazione di Bologna e a forza di spintoni e frustate caricati sui vagoni bestiame del treno che proveniva da Firenze. C'erano altri ebrei su quel treno forse catturati in quella città. Papà salì per primo per aiutare la mamma e me.

-Papà, mamma, restiamo vicini.

- Hashem[4] aiutaci! Aaron, dove ci portano?

- Mia cara moglie ... non temere. Siamo insieme, confidiamo nell'aiuto di Dio ... siamo suoi servi, non ci abbandonerà.

-Papà! Papà! Insomma fatemi passare! Oh papà, sono schiacciata qui dentro, non respiro!

- Fratelli! Fratelli! Cerchiamo di aiutarci tutti! Coraggio Giuditta, resisti figliola ... se solo potessimo avvicinarci alla grata, anche per un solo minuto!

Il treno si mosse e la piccola folla nel mio vagone si sbilanciò, qualcuno cadde sopra un altro, qualcuno si afferrò al braccio del vicino, qualcuno s'addossò alle pareti, i più fortunati che si erano inchiodati presso le quattro finestrelle rischiarono di perdere la loro provvidenziale posizione. Subito la folla si riassestò e cominciò il lungo viaggio. Con il trascorrere delle ore il vagone sotto il sole divenne rovente.

- Che caldo! Aaron, la temperatura sale di ora in ora, sembra d'essere in un forno, sono fradicia di sudore.

- Papà, che tanfo di urina!

GIUDITTA E OLOFERNEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora