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Ai primi posti in università si stava bene, lontani dal caos, dalle persone, dai gruppi. Era un posto sicuro per Crystal, poteva ignorare la consapevolezza di essere in una stanza piena di altre persone capaci di vederla e giudicarla. Poteva vedere solo ed unicamente la professoressa e fingere di essere in pochi in quell'aula da quattrocento. Non sarebbe mai intervenuta, era terrorizzata dall'idea di parlare ad alta voce davanti a tutti o di sbagliare qualcosa davanti al professore universitario.

Crystal soffriva la propria solitudine, ma non la soffriva tanto quanto avrebbe potuto soffrire l'inadeguatezza, il rifiuto. Dunque la solitudine sembrava essere una prigione dolce a confronto, per questo un brivido di agitazione la passo da testa a piedi quando una ragazza che mai aveva visto si sedette alla sua stessa fila, a qualche posto di distanza.
Era strano non l'avesse mai notata prima, al secondo anno avrebbe dovuto, ma magari era nuova o di un altro corso.
Rilassò i nervi vedendo non fosse interessata a comunicare con lei, ma provò anche un briciolo di amarezza e dispiacere.

Osservò la sconosciuta aprire il libro di Psicometria e iniziare a leggerlo in attesa dell'arrivo della professoressa.
Aveva lunghi capelli neri, spazzolati lisci fin sotto alle spalle. Era di una bellezza oggettiva, ma particolare. Gli zigomi alti, il pallore, il naso appuntito con una gobbetta. Forse era il suo stile tendente al nero a donarle un tipo di fascino diverso, elegante. Indossava gli anfibi, una gonna lunga nera, un top che le scopriva la pancia e sopra un blazer rosso ricamato.
Era truccata, non esageratamente, ma abbastanza da mettere in soggezione con un'occhiata.

Crystal cambiò la visuale di scatto puntandola dentro la propria borsa quando la sua compagna le rivolse uno sguardo infastidito dalle sue attenzioni. Le sue iridi verdi la tagliarono nell'animo. Si sentì immediatamente in colpa, non voleva farla sentire fissata, era solo curiosa e interessata al suo stile eccentrico e drammatico.

«Eccomi ragazzi. Scusate il ritardo», si preparò il Prof. La lezione passò in fretta, ma Crystal non riusciva a non tirare occhiate curiose alla misteriosa ragazza alla sua destra. Trattenne il resprio quando questa, con tutto confort fece una domanda al professore. Studiò il modo in cui la sua voce suonò, forte e imperturbabile, noncurante degli occhi di tutti su di lei. La invidiò un po' e ne fu attratta, un mix che era usuale provare. In cuor suo sarebbe stata una bella storia se avessero fatto amicizia, ma non sarebbe mai successo. Non le avrebbe mai parlato per prima, la sua ansia sociale glielo avrebbe impedito, e quella ragazza stupenda sicuramente non avrebbe mai avuto ragione di parlarle o avvicinarsi a lei.

«Avrete bisogno di formare delle coppie, o massimo gruppi da tre, per questo lavoro», al suono di quella consegna il panico avvolse Crystal. Non le era mai capitato l'obbligo di fare lavori di gruppo fino a quel momento e si era sempre tenuta fuori da qualsiasi possibilità. Le sue orecchie iniziarono a ronzare per l'angoscia. Non stava più ascoltando il professore, mosse meccanicamente la testa verso il basso, ruotandola leggermente verso il muro. Non voleva girarsi verso la bella ragazza e chiederle di fare il lavoro insieme, non voleva girarsi verso di lei e scoprire che aveva già fatto coppia con qualcuno delle file dietro, ma doveva. Era da fare. Doveva sopravvivere. Doveva trovare la forza e girarsi, e qualsiasi opzione sarebbe stata ugualmente catastrofica, perché in ogni caso avrebbe dovuto PARLARE con qualcuno, e ASCOLTARE e RISPONDERE. E sopportare il logorante peso degli occhi di qualcuno sulla sua figura, e sopportare la distruttiva consapevolezza che qualcuno potesse osservarla da fuori e farsi un'idea -sicuramente orribile e sfigata- di lei.

Devi farlo. Puoi farcela.
Comunque devo farmi alzare la dose di psicofarmaci perché non mi sembra di non avere ans-

«Facciamo il lavoro insieme?»
Crystal sentì la voce al suo fianco e rimanendo paralizzata, mosse solo il collo girandosi verso la ragazza, che a quanto pare nel frattempo si era seduta al posto di fianco al suo. Come aveva fatto a non sentirla? Da quanto era lì? Era stata così veloce! Perché le stava parlando? Cosa doveva fare a quel punto? Perché da così vicina era ancora più figa? Perché il suo sguardo era così intimidatorio? Perché stava continuando a pensare cose e guardarla al posto che rispondere?

She Tastes So GoodDove le storie prendono vita. Scoprilo ora