PROLOGO III LIBRO: CAPITOLO 1

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<sei pronta?> mi chiese mia madre. Mi stava pettinando i capelli davanti allo specchio, mentre mi sistemavo il vestito nero sui fianchi. Era in seta, lungo fino alle caviglie. Aderiva perfettamente a contatto con la mia pelle, e lasciava scoperta più di metà schiena. Ai piedi avevo pochi centimetri di tacco che già sentivo scomodi. Il poco trucco che avevo messo risaltava il colore chiaro dei miei occhi, mentre i capelli ricadevano morbidi, coprendo la schiena. Mia madre indossava anch'essa un vestito nero, molto più sobrio, elegante e accollato del mio. Aveva uno scollo a barchetta e le maniche arrivavano poco più sotto del gomiti. Il tessuto era più rigido e le arrivava fino alle caviglie, stretto fino ai fianchi per poi cadere dritto lungo le gambe lunghe e sottili. Era nuovo per me poterla ammirare ma ero già arrivata alla conclusione che fosse una donna bellissima.

Annuii, ma con la gola stretta. Ripensai all'ultima volta che lo avevo visto, e di colpo la frenesia di poterlo vedere di nuovo mi fece accaldare. Era passato quasi un mese e mezzo, e sarei stata una bugiarda a dire di non aver desiderato una sua lettera.

Qualche giorno prima...

Stavamo facendo colazione tutti e tre insieme, mentre Teddy ci serviva. Mia madre era concentrata nel leggere la gazzetta del profeta, mentre mio padre era ansioso di sapere tutto ciò che aveva riguardato la mia vita fino a quel momento, e che inevitabilmente si era perso.

<padre, i babbani non usano gufi per comunicare, basta mandare una email> affermai sogghignando. Non sapeva proprio niente dei non-maghi.

<una...cosa?> con le sopracciglia aggrottate, mi guardò, aspettandosi che gli spiegassi. Ma io scoppiai in una risata, la prima vera risata da quando li avevo riportati a casa.

<El, abbiamo passato tanto tempo lontani sia dal mondo magico sia dai babbani, e poi non usavano gufi neanche prima.> mia madre abbassò il giornale, quel tanto che riuscimmo a scorgerne il viso. Aveva i capelli legati in una crocchia bassa e disordinata.

<Hai ragione, mia cara> rispose mio padre <la mia era solo pura curiosità> puntò i suoi luminosi occhi cervone color smeraldo verso i miei.

<mi spiegherai con calma che cosa sia questo modo di comunicare, queste..imali> mi sorrise, e si concentrò sulle sue uova.

Ripresi anch'io a mangiare la mia colazione, ancora divertita. Però mia madre aveva ragione. Avevano passato così tanto tempo rinchiusi che avevano perso il contatto con la realtà. In molti sarebbero impazziti, ma loro sono rimasti lucidi contro tutto e tutti, affidandosi all'amore.

<vuole altre uova padrona Cass?> chiese Teddy.

<no, grazie mille. E posso aiutarti a sparecchiare se vuoi> gli sorrisi riconoscente. Ted rimase per un'attimo allibito.

<oh no, farà tutto Teddy, lui non desidera che la padrona Cass lo aiuti, adesso> rispose.

<va bene Teddy, ma-> non riuscii a finire la frase, poiché sentimmo il campanello suonare. Ci scambiammo qualche sguardo, e mi alzai per prima.

Attraversai la sala da pranzo e l'ampio salotto, arrivando all'ingresso principale. Quando aprii la porta mi ritrovai un uomo. Aveva una maschera nera, come i suoi vestiti. Si trattava di un mangiamorte. Il sangue si bloccò nelle mie vene. Mi allungò un braccio, porgendomi una busta.

Non sapevo cosa contenesse, e avevo paura di scoprirlo. Il mangiamorte mi osservò senza dire niente, prima di voltarsi e andarsene. Volevo fermarlo e chiederlo ma non feci in tempo. Si smaterializzò. La mano tremante che aveva afferrato quella busta quasi mi bruciò la mano.

L' Ultima DiscendenteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora