Ventiquattro ore prima della scomparsa di Nina
Fisso l'infermiera Beth a lungo negli occhi, ormai questa sembra diventata una specie di gara.
«Te lo ripeto, cara, l'orario delle visite è dalle due del pomeriggio alle sei».
«È importante» protesto.
Sento un fremito percuotermi il petto, forse è il modo in cui la donna ha pronunciato la parola cara a infastidirmi; la lingua ha emesso uno schiocco di disgusto, mentre gli occhi hanno seguito la classica linea dall'alto al basso, per studiare meglio la mia reazione e affibbiarle il connotato mentale di eccessiva. Esagerata.
Ma io resisto, con entrambe le mani aperte sul banco informazioni, senza battere ciglio.
L'infermiera sospira, poi si allunga verso il cassetto già aperto a lato della scrivania per controllare una cartella clinica.
«Il signor Hans non accetta visite da parte di familiari, c'è scritto proprio qui, nero su bianco» conferma con aria vittoriosa.
Bene, allora: vuole passare alle maniere forti.
Mi porto una mano sul cuore e sbatto le palpebre con eccessivo vigore: i muscoli del volto si contraggono nell'espressione più afflitta che io possa architettare.
«Non sono un familiare, sono solo...» faccio pausa per prendere fiato, che però si tramuta in un mezzo singhiozzo, così forzato da sembrare un rantolo, «sono solo una ragazza molto innamorata. Ma lei, Beth, forse non può capire».
Pronuncio il suo nome con estrema lentezza, per farla sentire più a disagio. La donna però non si lascia impressionare; dopotutto sembra essere qui dal giorno in cui l'ospedale di Ladby è stato inaugurato, ne avrà viste di tutti i colori.
Ma forse la mia sfumatura le manca, perché poi solleva un sopracciglio.
«Quanti anni hai, ragazzina?».
Sbuffo, sto davvero perdendo la pazienza.
«Lei sa chi è mio padre?».
La donna si sposta sulla sedia, questa conversazione sta iniziando a essere scomoda per lei.
«E mia madre?» incalzo, anche se qui lo strato di ghiaccio sul quale ho deciso di camminare si fa più sottile.
«Beh, ecco...»
«Cora Moss è una neurologa e lavora qui da tanto tempo».
Mi acciglio un po' mentre lo dico ad alta voce, in questo modo così teatrale. Di certo l'espressione che ho sfoggiato ha una crepa, come quelle che spuntano nelle pareti delle case dopo un terremoto. Per fortuna non ho uno specchio davanti; se ce l'avessi, attraverso i miei occhi capirei una verità molto più profonda di questa che ostento per vincere il consenso dell'infermiera.
Sì, Cora Moss è una neurologa all'Hopevale Hospital ed è anche mia madre.
Ma non la vedo da più di tre mesi e di certo la sua assenza giustificata con un certificato medico presentato tramite suo fratello, Eric Noordman, biologo, patologo ed ex professore della Grand Chilton, non ha destato particolari preoccupazioni. Anche la sua è una faccia alquanto conosciuta qui.
Il volto di Beth subisce una contrazione strana, come se qualcuno l'avesse schiaffeggiata di colpo. Poi, d'un tratto, si addolcisce. Se non fosse appesantita dalla dura corazza di infermiera in via di pensionamento direi quasi che questo sia proprio un sorriso. Ma non posso esserne davvero sicura. Lo sono però del suo tono di voce mellifluo con cui decide di rispondere.
«Ci manca tanto, me la saluti e le auguri buona guarigione da parte mia?».
Una mina esplosa dentro le pareti del cuore avrebbe fatto meno male. Annuisco velocemente, distogliendo in fretta lo sguardo per dirigerlo oltre la donna, verso la camera che voglio raggiungere. Devo allontanarmi da questa sensazione di orrore che vuole cucirsi addosso la mia pelle stanca prima che l'ultimo nodo venga stretto per sempre.
«Allora... posso andare?».
«Stanza 102, hai massimo dieci minuti» mormora Beth, adesso con cautela, per non farsi sentire dai colleghi che ci passano accanto senza davvero accorgersi di noi.
«Grazie» le mimo con le labbra.
La donna ripone la cartella nel cassetto della scrivania e poi lo chiude con eccessiva veemenza. Quando sono ormai oltre il banco accettazione, la sua voce mi raggiunge ancora una volta, in mezzo al brusio del resto dei dottori e allo squillo lontano e costante di un telefono fisso.
«E potete per favore smetterla con qualunque sia la droga che gira in accademia? Quella roba vi brucia il cervello».
Sospiro e faccio un cenno confuso, anche se so perfettamente a che cosa si sta riferendo: questo è il terzo incidente nel giro di tre mesi e ogni volta si finisce qui, con sintomi inspiegabili e diagnosi improbabili. Io stessa sono stata la prima vittima.
STAI LEGGENDO
Light Academy - L'accademia di luce
Fantasy[Sequel di Dark Academy] Una ragazza scomparsa, un potere instabile, una confraternita piena di segreti. Ci sono ombre attorno a Nina, incertezze che la consumano sempre di più e su cui è necessario fare luce. Riuscirà a mettersi in salvo e a scopr...