Evie - Il lupo - 1/2

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Dodici ore prima della scomparsa di Nina

Passo diverse ore con gli occhi puntati sulla porta dell'ufficio semichiusa dietro cui mio zio trascorre il tempo a sfogliare gli antichi manuali della confraternita. Ogni tanto, quando il ronzio del vecchio generatore di elettricità sopra la mia testa non è così assillante, riesco a percepire un leggero movimento, forse lo scricchiolio della sedia sul quale è seduto.

Forse dovrei affrontarlo una volta per tutte, chiedergli di smettere di mentire, di dirmi tutta la verità su mia madre e Leonard Hans. Mi merito di sapere, ma trascorro le ore qui rannicchiata a immaginarmi la conversazione che avremmo, le parole che potrei usare e quelle che farei meglio a evitare; Eric non deve sapere del Samhain e del fatto che io sia diventata una Shinri. Forse è anche questo che mi trattiene dallo scendere le scale e parlargli: ormai ho la certezza che mi abbia nascosto qualcosa ma temo che questo nuovo potere possa compromettermi troppo.

Meglio restare in silenzio per ora, osservarlo da lontano. Attaccare significherebbe uscire allo scoperto e forse è troppo rischioso. La sensazione della sabbia che mi graffia la faccia riaffiora alla mente: è il ricordo più vivido che ho del Samhain, della mia prima volta dentro Onis e dell'ultima in cui ho rivisto mia madre, o quel che è rimasto di lei. Sento un nodo stringersi più stretto intorno alla bocca dello stomaco.

Cerco di spegnere la sensazione di disgusto, se continuasse diventerebbe un sonoro conato e non voglio che mio zio mi scopra. Non deve sapere che ho iniziato a monitorare i suoi spostamenti. Un fiotto di bile mi risale in gola mentre ripenso alla sensazione del potere Shinri che si propaga dalla mano di Nina e si diffonde fino al cervello.

È iniziato durante il rituale come una specie di formicolio sordo, fino a diventare una vera e propria tempesta di scariche elettriche concentrate tutte nel cranio.

E poi, il vuoto.

La gravità è svanita, l'aria è stata risucchiata dai polmoni e un freddo bruciante ha invaso ogni parte del mio corpo.

E così sono scivolata dentro Onis; come mia madre, che però era una Shizen come Lucilla Hans, con lo stesso controllo sul fuoco e sull'acqua. Per gli Shizen è impossibile raggiungere Onis, così ci è sempre stato detto. Il potere a volte però può farlo: è stato in questo modo che Lucilla ha raggiunto Onis durante il rituale del Samhain, per salvare Nina ed Elliot. Ma il suo corpo è rimasto ben ancorato alla realtà, non è sparito, non si è fatto di polvere nera.

Che cos'è successo a mia madre?

Sento le palpebre farsi sempre più pesanti, è ormai notte fonda ma niente schioda mio zio dalla sedia del suo vecchio archivio. Odio il fatto che sia diventata una Shinri, anche se l'ho fatto per proteggere Nina dall'eventualità di restare intrappolata dentro Onis.

Mi rende forte e debole al tempo stesso: posso accedere a una realtà soprannaturale ma la mia mente è un maledetto libro aperto per tutti gli Shinri più forti di me.

Sbatto le palpebre con più forza, mentre sento il petto farsi più pesante e premere, insieme alle mie braccia, contro le gambe che ho stretto a me.

Una fitta rapida mi attraversa il cranio e d'istinto porto entrambe le mani all'altezza delle tempie. La vista si fa più annebbiata, i pensieri più confusi.

A ogni minuto che passa mi sento scivolare in un sonno inquieto: il ronzio del generatore si fa lontanissimo e quando riapro gli occhi non sono più nascosta sul soppalco del magazzino.

I movimenti sono leggermente rallentati e intorno a me c'è una sostanza strana, come una specie di polvere fosforescente che volteggia nell'aria e la rende difficile da respirare. Attorno a me un bosco scuro, grigio. Sento il panico aumentare mentre realizzo la conclusione di cui ho avuto più paura nelle ultime ventiquattro ore: è il suo potere che mi attira qui, dentro Onis.

Sono in trappola.

«Evie».

Lo spostamento dell'aria calda mi solletica il collo, mentre Leonard Hans pronuncia il mio nome come se fosse una parola proibita, con la voce bassa e calma di chi ha tutto sotto controllo.

Sussulto e mi accorgo così che il ragazzo è apparso dietro di me. Ha ancora addosso i vestiti che aveva in ospedale qualche ora fa. Mi volto per investirlo con un'occhiata truce: voglio sconvolgerlo almeno la metà di quanto riesca a fare lui ma ci metto un nanosecondo a capire che niente è in grado di smuoverlo davvero. Dai suoi occhi neri arriva uno sguardo pieno di interesse che si intensifica quando piega leggermente la testa di lato.

«Che diamine vuoi da me?»

Non riesco più a trattenere la rabbia, mi fiondo verso di lui e con entrambe le mani afferro la maglietta nera per attirarlo a me. Per un attimo sembra così facile strattonarlo. Sento una scarica di adrenalina attraversarmi il corpo perché per la prima volta sono in grado di fargli del male, seppur minimo, seppur insignificante. Vorrei che il movimento crescesse fino a dargli un ultimo profondo scossone e farlo finire per terra. Ma questo non succede perché le mie dita perdono forza e la rabbia raggiunge i miei occhi, facendoli lacrimare. Odio quando succede ma so anche che qui dentro Onis i miei pensieri sono un urlo continuo di dolore per i momenti che non passerò mai più insieme a mia madre.

«Lo stai ancora tenendo d'occhio?» mi chiede e so che si riferisce a mio zio.

Ancora questa voce così spocchiosamente pacata, non la sopporto più.

«Fanculo, Leonard» sputo tra i denti.

Mi guardo intorno: siamo in un punto del bosco di Ladby, riconosco gli abeti secolari e la forma irregolare delle cime agitate dal vento. La sostanza fosforescente danza attorno a noi come i residui di una scintilla.

«Non ti fidi nemmeno del tuo stesso sangue» mormora.

«Nemmeno tu, però» rispondo puntando di nuovo i miei occhi nei suoi. Sa che mi riferisco a Lucilla e allo scontro che hanno avuto al Samhain.

Mi guarda con un cipiglio intenso, che mi fa tremare. Ma è come tuffarsi nelle acque gelide del mare: l'impatto è così violento che ti toglie il fiato, ma poi i secondi passano e il respiro torna a farsi regolare. Diventi parte di quella stessa acqua che ti avvolge e in qualche modo ti fa sentire al sicuro. Ed è sempre lo stesso mare che in un qualsiasi momento, con un'onda più forte, potrebbe risucchiarti nel suo fondale per sempre. Sollevo una mano e la porto con rabbia al suo volto, voglio tirargli uno schiaffo. Leonard ha già captato le mie intenzioni e mi afferra il polso per stritolarlo nella sua stretta ferrea e bloccare così il mio attacco.

«Mi piace da morire quando cerchi di ribellarti» dice poi.

Piega la testa di lato e mi osserva come se fossi un animale in gabbia, con una smorfia divertita e un po' sadica. Sento i muscoli sotto la sua mano abbandonarsi del tutto alla presa, come se mi fossi abituata a questo tocco, come se l'avessi già sentito un'altra volta.

Tutto questo è già successo? 

Tutto questo è già successo? 

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