Nina - Un rifugio - 1/2

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Piove quando la moto di Elliot si spegne nel bel mezzo del bosco.

Mi guardo intorno, non riconosco questo posto ed è strano: dentro Onis è sempre la fitta vegetazione attorno al lago il mio rifugio.

Sono gli alberi a farmi sentire a casa: i faggi e i pini rossi sono molto diffusi in questa zona. Le cime si stagliano imponenti intorno a noi, è un abbraccio che mi fa sentire al sicuro. La pioggia scende su di noi con forza crescente e le gocce s'infrangono sulla visiera del casco.

Elliot aziona il cavalletto centrale e scende dalla moto, poi allunga una mano coperta da un guanto in pelle nera. La guardo per un secondo in più prima di afferrarla e quando lo faccio sento lo stomaco torcersi e punirmi con una fitta.

Io non mi merito niente di tutto questo.

Abbandono la moto e sento i piedi nudi sprofondare nel fango freddo. Entrambe le sue mani sono ora sul mio casco: Elliot lo rimuove e le grosse gocce bagnano i miei capelli che presto si incollano sul volto. La parte che colpisce la ferita brucia a contatto con l'acqua. Socchiudo gli occhi per sopportare meglio il dolore e mi accorgo che Elliot ha piegato la testa di lato, serio in volto. Sta studiando i margini della ferita che ha invaso la mia faccia.

Per quanto io ci provi, non riesco a sostenere il suo sguardo. Il ragazzo si toglie un guanto, la mano è presto sospesa a mezz'aria, le dita vicinissime alla mia pelle. La piega che prendono le sue sopracciglia è quella del dubbio e della preoccupazione.

«Dove siamo?» chiedo con un filo di voce.

Non sono sicura che sia riuscito a sentirmi, le gocce d'acqua cadono in modo ancora più violento adesso. Elliot mi indica una siepe a pochi metri da noi e attraverso il fitto strato d'acqua individuo un cancello in ferro. Al di là della siepe, nascosta da un verdeggiante giardino incolto, intravedo un'abitazione. I mattoni grigi quasi si confondono con le nuvole che si addensano nel cielo sopra di noi.

«Andiamo, gli altri ci raggiungeranno... forse» replica Elliot senza guardarmi.

Inizio a tremare e non credo sia solo per il freddo: quel forse pesa un quintale sul mio petto, mi fa sentire sbagliata.

Avrei dovuto immaginarmi uno scenario del genere, una realtà in cui i miei amici vengono a cercarmi e riescono perfino a salvarmi. Ma da chi e a quale prezzo?

So perché Elliot non riesce a guardarmi: vorrei tanto credere che sia per la ferita che ora mi rende tanto diversa, più brutta. Ma realizzo che è per la sua diretta conseguenza: il mio potere è cresciuto e questo vuol dire solo una cosa. Ho passato tanto tempo dentro Onis rendendolo così più instabile. Adesso la mia forza è maggiore, così grande da riuscire a sentire tutti gli Shinri attorno a me, compreso lui.

Nessuno può sentire me, però.

Questo silenzio strano lo disturba, lo fa al punto che guardarmi è diventato impossibile.

Elliot apre il cancello e mi fa un breve cenno di seguirlo. Gli alberi ci riparano dalla pioggia adesso e così posso aprire meglio gli occhi e osservare la casa di fronte a me: sembra una vecchia villa abbandonata, adornata da decorazioni in stile liberty, tanto diverse da ciò che si vede qui nelle zone di Edimburgo.

Attraversiamo il giardino interno. Elliot apre una porta in vetro con un paio di vecchie chiavi. Dal mobilio che intravedo, un divano e un tavolo, riconosco un antico soggiorno che si articola attorno a un camino. La cenere al suo interno mi conferma il fatto che qualcuno sia stato qui prima di noi, nonostante il forte odore di umidità releghi ancora la casa a uno stato di abbandono.

Guardo i piedi sporchi di fango ed esito ad entrare.

"Non importa, è qui che abbiamo pensato di nasconderti per proteggerti".

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