Zoe - Interludio III - 2/2

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«Prego, si accomodi».

La voce monocorde dell'uomo avvolto dal camice bianco mi riporta alla realtà e mi fa sentire fuori posto.

Lo seguo all'interno dello studio con lo stomaco aggrovigliato su sé stesso, tanta è la paura; è la stessa sensazione dell'essere su un aereo che ha iniziato la sua discesa in modo troppo brusco, causando violente turbolenze. Come il viaggio di ritorno da Tokyo a Phoenix di un mese fa.

Il dottor Fox, così recita il cartellino sul petto, ha più o meno quarant'anni. Pelle scura, volto disteso, sembra quasi sia tornato da una lunga vacanza al mare.

Mi siedo di fronte a lui e approfitto del fatto che stia sfogliando con calma la mia documentazione per pensare alla prima domanda che gli farò. Sento che devo essere io a iniziare la conversazione, oppure lo farà lui e quello che mi dirà forse non mi piacerà affatto.

«Sarà lei a...» faccio una pausa, sento la bocca farsi di colpo secca «eseguire la procedura?».

L'uomo solleva il suo sguardo glaciale su di me, inchiodandomi alla sedia senza aver ancora spiccicato parola.

«Quanta fretta, procediamo con calma» dice poi.

Una smorfia di frustrazione contrae i muscoli del suo volto, da cui distolgo immediatamente lo sguardo. Sento la nausea tornare, è più forte di quella latente che mi accompagna già da un po'.

Ricordo bene la prima volta in cui il mio cervello l'ha registrata: è stata durante la cerimonia di conseguimento del master, quando mi hanno offerto un calice di prosecco. È bastato un sorso a mandarmi di corsa al bagno.

Mentre vomitavo con la faccia dentro il water dei bagni dell'università, ho pensato ai giorni a Tokyo. Ho stretto le palpebre con forza, mentre i conati si facevano sempre più intensi. Nel buio dello sforzo, il tuo volto è tornato a tormentarmi.

«Quando ha fatto il primo test di gravidanza?» mi chiede il dottor Fox.

La sua voce è sempre monotona ma adesso che la mia mente è appena uscita dal ricordo di quel giorno, è quasi un appiglio a cui mi aggrappo con tutte le mie forze per darmi conforto.

«Dieci giorni fa» mormoro, anche se non sono più sicura di quanto tempo sia davvero passato. Da quando l'ho scoperto ho smesso di dormire e le giornate si sono fatte tutte uguali. Sembra tutto un giro infinito delle stesse ventiquattro ore.

«Bene. Che cosa ne pensa il suo ragazzo?» mi chiede l'uomo, mentre con una mano mi fa cenno di avvicinarmi al lettino dietro di me.

Deglutisco. No, mi sbagliavo, non posso trovare conforto qui. Il dottor Fox non può capirmi. C'è una barriera spessissima che ci divide e che mi fa sentire ancora più sbagliata.

«Non ho un ragazzo, è stato un incontro occasionale».

Ho impiegato tutte le forze che mi restavano per ammetterlo e ora ho davvero paura di non poter aggiungere altro alla nostra conversazione.

Ma il dottor Fox non lo sa e continua a parlare.

«Quindi il padre del bambino non è al corrente?».

Abbasso lo sguardo e mi fisso le mani. Con le unghie gratto via una pellicina sottile fino a farmi sanguinare il pollice. Questo, per un po', sarà in grado di placare il giro di pensieri ossessivi.

«No» ammetto.

È una menzogna, lo so, ma è il modo più veloce per uscirne.

Chiamarti in realtà è stata la prima cosa che ho fatto. Ero ancora sotto shock e ho parlato a raffica. Sapevo che era l'unico modo per non scoppiare a piangere, per non lasciare che la tua voce aprisse in due il mio cuore.

Light Academy - L'accademia di luceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora