Meno due ore alla scomparsa di Nina
L'infermiera entra nella mia stanza al secondo e ultimo piano dell'Hopevale Hospital.
I suoi passi riescono a svegliarmi, tanto la pianta del piede sbatte contro il pavimento rivestito di vecchio linoleum arancione. È incazzata con il mondo.
«È l'ora del prelievo» sancisce. Il tono di voce è assertivo, non ammette dissensi di qualsiasi natura.
Una mano afferra il mio braccio rimasto fuori dalle coperte, sopravvissuto alla lotta che durante la notte ho portato avanti con l'insonnia. Ovviamente ha vinto lei, almeno fino a un secondo prima che decidessi di finire dentro Onis per non sentire più nulla.
«Perché tutti questi prelievi?» bofonchio, passandomi una mano sulla fronte per massaggiare le tempie doloranti. Usare il potere così a lungo per viaggi del genere non è uno scherzo: ho deciso di diventare un ibrido ma quando l'ho fatto non ero consapevole delle conseguenze. Sapevo che sarebbe stato faticoso e immaginavo che gestire due poteri insieme avrebbe affaticato corpo e mente: ma non fino al punto da finire qui, in un letto d'ospedale a farmi torturare da un'infermiera frustrata e in guerra con il mondo.
«I dottori vogliono isolare la schifezza che gira in accademia».
L'ago del prelievo s'infila nella piega del braccio senza preavviso, sarebbe una gentilezza troppo grande per una come Beth avere riguardo per la mia pelle.
Buona fortuna allora, vorrei rispondere; ma non dico niente. Mi limito a fissarla nei suoi occhi piccoli e vacui, circondati da un pesante strato di ombretto azzurro glitterato, in parte sciolto sugli zigomi gonfi.
Sbuffo, abbandonandomi contro lo schienale del letto. La rete metallica cigola appena sotto di me e Beth solleva un sopracciglio, contrariata.
«Quando mi dimettono?»
«Tra due giorni, mancano ancora un paio di esami».
Sbatte le provette piene di sangue nella reniforme di metallo e con il pollice spinge un batuffolo di cotone nel punto che ha torturato con l'ago. Non servirà a nulla, il livido verrà fuori lo stesso.
«E comunque non te ne andrai prima di aver fatto una bella chiacchierata con la polizia, questo è sicuro».
Beth crede di spaventarmi ma io non voglio darle questa soddisfazione. Sorrido davanti la sua espressione colma di disappunto e mi porto le mani dietro la nuca per ostentare una posizione più rilassata.
Mi manca la mia playlist "armi acciaio e malattie". L'ho chiamata così perché lì c'è tutta la musica che mi fa sentire al sicuro; pericoloso come un pistola carica e puntata alla tempia, senza mai rompermi come l'acciaio, freddo spietato e incapace di saperlo come le malattie più letali. Purtroppo le cuffie sono a casa e io non voglio affrontare mia sorella. Non ancora, almeno. Penso a mia madre e la immagino al capezzale di mio padre; l'eventualità di chiamarla e chiederle di portarmele va a farsi fottere, quindi: mi farebbe tante domande scomode e io non ho risposto a troppe chiamate da parte sua. Mi resta solo Max, a cui però devo ancora far sapere che non sarò presente alle prove della band per il resto della settimana. Merda, mi aspettano un paio di conversazioni complicate e da questa prospettiva forse Beth non è poi così male.
Le lancio un'occhiata mansueta, magari così sarà più disposta a dimenticarsi del suo ruolo primario e cioè quello di odiare tutto e tutti all'interno di queste mura.
«Sai se al minimarket al piano terra posso trovare un paio di cuffie?» chiedo.
La donna trattiene a stento una risata.
«Hai ancora le tue gambe e sai muoverle, o sbaglio?»
Si sposta non senza difficoltà verso il carrello dei farmaci e lì resta per un po' a controllare qualcosa all'interno del primo cassetto, respirando a un volume anche troppo alto per i miei nervi.
Non la sopporto più.
Scendo dal letto e un'altra fitta mi colpisce la tempia.
Strizzo le palpebre e conto fino a dieci. In genere quando arrivo a sette il dolore diminuisce e posso riaprire gli occhi. Questa volta però conto fino a nove. Sto quasi per abbandonare l'idea di scendere al piano terra dell'ospedale ma poi la stilettata finalmente scompare e tutto torna come prima. O quasi, perché al dolore si sostituisce un vago senso di nausea.
Devo davvero dosare bene i miei viaggi dentro Onis, le conseguenze iniziano a pesarmi e io odio sentirmi prigioniero di questo letto d'ospedale.
Abbandono Beth dentro la mia stanza e scendo le scale di servizio esterne all'edificio. L'aria fredda del primo di novembre placa per un po' l'emicrania e mi aiuta a pensare con più lucidità. Ho bisogno della mia musica, così potrò rilassarmi. Sono molto nervoso perché il piano del Samhain non è andato come speravo e questo vuol dire solo una cosa: passeranno al piano B, quello più aggressivo e complicato.
Ho fallito e questa sensazione brucia.
Adesso per Gyles Moss ed Eric Noordman non sarà più semplice fidarsi di me. Ma io ho ancora bisogno di conoscere i loro movimenti, di sapere se saranno davvero in grado di accentrare tutto il potere Shinri necessario a riportare in vita una persona morta sedici anni fa.
Se succede, allora anche mio padre ha qualche speranza.
Supero il parco con il laghetto artificiale che decora lo spazio tra il parcheggio dei visitatori e l'ospedale e raggiungo l'entrata "commerciale" in cui si trovano un fioraio, un barbiere e il minimarket. Cammino all'interno del locale e un campanello elettrico avvisa il proprietario della mia presenza. L'uomo è seduto al bancone ma non reagisce al suono artificiale. Di lui intravedo solo le mani pallide e paffute; il resto è nascosto dietro il giornale locale, il Ladby Post. In prima pagina leggo i caratteri cubitali dell'articolo sul Samhain: Grande evento in onore della storica confraternita Omega.
La foto di Gyles Moss in bianco e nero s'incastra per bene nel mio cervello: l'uomo è invecchiato tantissimo da quando il rituale che ho eseguito con Eric l'ha trascinato dentro Onis insieme a Cora, la madre di Evie.
Questa dimensione ti prosciuga lentamente, fino a ridurti in polvere se non sei abbastanza forte e il tuo potere non è in grado di resistere all'instabilità.
È dalla notte prima del Samhain che ho smesso di instaurare un contatto con Gyles e so che questa mia latitanza lo farà andare fuori di testa. Al momento sono abbastanza forte da avere il controllo dello spazio: posso entrare dentro Onis e finire nel luogo che voglio, attirare gli Shinri che desidero.
Gyles non è così forte, ha bisogno di più instabilità per farlo.
L'immagine di Evie che nella notte riapre gli occhi spaventata e confusa dentro la foresta mi placa: è forse per questo che oggi ho un'emicrania debilitante, ma lo rifarei ancora e ancora.
Tutto pur di attirarla dove voglio io e mettere a tacere il mio senso di frustrazione per non essere stato in grado di catturare Nina dentro Onis.
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Light Academy - L'accademia di luce
Fantasy[Sequel di Dark Academy] Una ragazza scomparsa, un potere instabile, una confraternita piena di segreti. Ci sono ombre attorno a Nina, incertezze che la consumano sempre di più e su cui è necessario fare luce. Riuscirà a mettersi in salvo e a scopr...