13. Jack Daniel's 🥃🌶️

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Eravamo scampati a una rissa, a una bisca clandestina, alla polizia ma, soprattutto, eravamo arrivati a una frazione di secondo dal ritrovarci completamente nudi.

E non mi riferivo allo Strip Poker, bensì a quell'attimo fuori dall'hotel, mentre ci fissavamo negli occhi saggiando chi tra noi avrebbe fatto il primo passo, chi tra noi avrebbe dato inizio a quel pasto, sfiorando la pelle dell'altro con le labbra.

Era chiaro che l'eccitazione non era solo frutto di adrenalina e alcol. Era qualcosa di più: era promiscuità, desiderio, quel vedersi ma non potersi toccare.

E io, a un certo punto, il lume della ragione l'ho proprio spento, soffiandovi sopra come fosse stata una candelina sulla torta di compleanno. Puff.

« Anche tu hai un debito con me. » gli sussurrai sulle labbra, come poco prima lui aveva fatto con me.

Sentii le sue mani cercare di allontanarsi da me e io, in risposta, strinsi più forte i suoi polsi.

Dante mi guardò, i suoi occhi erano attraversati dalla mia stessa eccitazione e desiderio. La via a senso unico verso la perdizione.

Senza distogliere gli occhi dai suoi, feci scivolare le sue mani sui miei glutei, obbligandolo a toccarli e stringerli. Un sospiro uscì dalla mia bocca, compiaciuta da quel gesto di desiderio platealmente esibito, leggendo nel suo sguardo il piacere tattile provocato dalla morbidezza della mia pelle.

Avvicinai il mio bacino al suo, per rendere più facile il suo tocco e avvertii la sua erezione, sintomo che quel gioco di dominazione lo eccitava tanto quanto eccitava me.

« Viv... » sospirò sul mio viso, quasi implorando.

Eravamo sulla stessa lunghezza d'onda, avevamo imboccato quella strada di desiderio carnale trattenuto e abbozzato in gesti impacciati e brevi, deboli tentativi dell'anima di predominare l'una sull'altra in un gioco libertino.

Lasciai andare la presa delle sue mani e portai un dito sulle sue labbra.

« Sh. » sussurrai « Lo hai già dimenticato? »

Corrugò la fronte, cercando di capire il significato dietro quelle parole, mentre le sue iridi dorate sembravano essere state inglobate dal nero delle sue pupille. C'era poca luce nel parcheggio, giusto qualche lampione che emanava uno sfarfallio debole, interrotto da qualche falena notturna che stava intrattenendo una danza di morte con quelle luci artificiali. La stessa danza che io e Dante volevamo cominciare: ero io la farfalla attratta dalla sua luce, consapevole che quel contatto mi avrebbe bruciata più di qualsiasi altro. Ma quella era la mia natura, cosa potevo farci? Come potevo reprimere il mio essere?

Piegai le labbra in un sorriso di soddisfazione, prima di enunciare il suo peccato nei miei confronti.

« La mia camicia. Quella che mi hai rovinato la notte in cui ci siamo conosciuti. » dissi, cominciando a slacciargli i pantaloni con movimenti lenti delle dita, saggiando la sua reazione. « Non pensi che anche il mio capo meriti la sua giusta ricompensa? »

« Sei ubriaca. » tagliò corto in un tono che lo voleva far sembrare distaccato. Non era credibile. La sua pelle scottava, i suoi occhi erano l'invito a spogliarmi, le sue labbra erano l'articolazione perfetta della menzogna.

Alzai un angolo della bocca e lasciai scivolare la mano destra nei suoi slip. Le dita sfiorarono il bordo dell'elastico. Lui mi fermò.

« No. »

« Avanti, sei più eccitato di un quindicenne. » scherzai, lusingandolo.

Menzionò un sorriso, quel tanto che gli permise di abbassare la guardia.

Non è CioccolatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora